L’Omosessualità non è peraltro il solo problema. È il più scottante ma non è il più importante. Più importante è quello derivante dall’accettazione della scelta antropologica nel giudicare i comportamenti della persona umana. L’aver sposato le idee della rivoluzione antropologica della Modernità ha condotto la Chiesa di Roma, almeno in certe sue frange molto adulate e considerate nelle alte sfere della intellettualità laicista, ad accantonare il concetto di peccato. Mi spiego meglio. Sostenendo, ad esempio, che l’aborto non è questione religiosa ma che riguarda l’antropologia, si è nella prassi legittimata l’autorità degli Stati e quindi dell’Uomo nel determinare ciò che è moralmente legittimo e opportuno. Legittimità e opportunità che sono variabili nel tempo e sono nel potere del libero arbitrio del legislatore di turno. Un legislatore che si fa scudo del principio democratico e che, sulla base di questo, si arroga il potere di legiferare su tutto ciò che riguarda le relazioni sociali dell’Uomo, senza alcun vincolo esterno, senza cioè un presupposto metafisico che fissi dei paletti inamovibili, unica garanzia per le minoranze e per i diritti inalienabili della persona umana. La democrazia senza i paletti dei principi non negoziabili finisce, quasi sempre, per divenire la dittatura di maggioranze episodiche o scaturite dopo martellanti campagne di indottrinamento basate più sull’emotività a seguito di eventi sconvolgenti.  Con l’affermazione gravissima che l’aborto e (anche se non è stato ancora affermato espressamente) l’omosessualità appartengono non alla sfera religiosa ma all’antropologia, la Chiesa di Roma ha abdicato al suo magistero di madre e maestra per seguire pedissequamente il mondo moderno mettendosi a rimorchio di esso e non più alla guida. Con questa affermazione pericolosa e distruttrice quanto la lancia che trapassò il costato del Fondatore della Chiesa, il costato di quel Cristo che si sacrificò per la salvezza di molti, la Curia di Roma, per bocca del suo più alto esponente, ha legittimato l’orrendo peccato dell’Aborto e lo ha trasformato in una banale questione di opportunità, un fenomeno semplicemente umano secondo la nuova antropologia, un fenomeno appartenente esclusivamente al giudizio dell’Uomo.

Questo è un problema ben più grave del pur gravissimo marciume dell’omosessualità sdoganata e resa anche essa una questione non più afferente alla sfera religiosa ma riguardante semplicemente la sessualità, cioè la normalità dell’Uomo, un aspetto della vita sociale come tanti altri e, per questo, soggetto alla volontà variabile nel tempo e nello spazio delle maggioranze. Se uno Stato, democraticamente, sceglie di rendere legittimo il matrimonio fra due persone dello stesso sesso o la concezione eterologa o la paternità e/o maternità di due persone dello stesso sesso, gli atti compiuti dagli individui diventano legittimi e posti sullo stesso piano di quelli tradizionali fondati sulla famiglia formata da un uomo e da una donna. Se la Chiesa tollera questi principi senza alzare la voce per affermare che essi sono esecrabili e contrari alla volontà divina, lascia intendere ai suoi fedeli che differenti forme di famiglia possano coesistere senza recare danno alla comunità umana nel suo insieme, senza tener conto che gli esempi di comportamenti immorali legittimati sono nocivi al benessere collettivo in quanto relativizzano i doveri di fedeltà e di solidarietà a tutela delle generazioni future. Quando il peccato viene accettato come fenomeno sociale esso si diffonde e prospera come accade per ogni comportamento eversivo laddove venga tollerato e/o tutelato. La conferma di questo risultato è dimostrata da quanto è avvenuto proprio all’interno della Chiesa cattolica con la tolleranza del diffondersi della omosessualità. Se un vizio non viene represso immediatamente si allarga e si diffonde come ogni abitudine che, considerata vietata e disdicevole, prende coraggio e forza quanto più cresce il numero di chi la adotta.  Il peccato come ogni malattia dell’uomo cresce e si diffonde quanto più tarda è stata la reazione per contrastarlo.

I problemi che hanno fatto esplodere la crisi della Chiesa e dei suoi vertici sono quindi molti, giacché quelli qui indicati sono soltanto due: l’Omosessualità e l’Aborto. Il problema in realtà è uno solo e cioè l’aver messo da parte l’irrinunciabilità dei Principi non negoziabili, dalla cui violazione scaturisce il peccato. Se si abdica dalla Morale di origine divina si segue il mondo e ci si perde con esso, proprio come sta avvenendo.

La Chiesa dal Concilio Vaticano II ha deciso di accostarsi al mondo moderno non per illuminarlo ma per seguirne il cammino come un compagno di strada.  Una volta la Chiesa si metteva in cammino per fare lunghi pellegrinaggi a beneficio della salvezza eterna. Al giorno d’oggi essa è in cammino con il mondo moderno, o meglio, con la Modernità, ma invece di portarlo sulla buona strada si è fatta trascinare da esso. Dove?  Dove si trova ora con problemi che mai si sono avuti da quando essa esiste. Problemi che hanno a che fare con la tolleranza del peccato accettata da quando si è rinunciato a contrastare le scelte peccaminose fatte dagli Stati moderni contro la legge naturale. Scelte che molto spesso sono state accettate passivamente da persone che si dichiaravano cattoliche. Il peccato è entrato in trionfo negli Stati dell’Occidente e la Chiesa invece di porsi a paladina dei valori cristiani, cioè di quei Principi non negoziabili posti da Dio a difesa tanto dei Suoi comandi quanto soprattutto della dignità della singola persona umana, ha finito per condividere quelle scelte. Condivisione che si verifica anche quando quelle scelte vengono tollerate come male minore. Minore o maggiore un male è soltanto male e se accettato per una gran massa di esseri umani diventa una male di grandezza pari alla sua diffusione. Una male diffuso è un male enorme e non un male minore. Che la Chiesa debba accompagnare il mondo è fuori discussione ma lo deve fare come l’Arcangelo Raffaele nel racconto biblico di Tobia.  E quest’accompagnamento la Chiesa, invero, lo ha sempre fatto, come dimostrano le sue opere e soprattutto i contrasti che ha avuto con i vari Stati ove essa ha operato. I contrasti sono stati sempre a difesa di principi fondamentali dell’essere umano. Contrasti sovente anche aspri e talora violenti a difesa di questo o quel principio etico o per la integrità morale delle genti cristiane.

Per aprirsi meglio al mondo la Chiesa ha optato, col Concilio Vaticano II, la democratizzazione delle sue strutture territoriali che già furono oggetto di ampia discussione nel lontano Concilio di Costanza e rinnovate con maggiore vigore in quello di Basilea, senza peraltro ottenere la firma di convalida del pontefice. Quei concili sono distanti oltre mezzo millennio dall’oggi. Per tradurre concretamente quei principi la Chiesa si è servita in modo particolare delle conclusioni della 32^ Congregazione Generale della Compagnia di Gesù chiusasi il 7 marzo 1975. Da quel giorno fatidico la Compagnia di Gesù si avviò a cambiare la chiesa gerarchica, la dottrina, la liturgia e altre strutture della Tradizione richiamandosi al Concilio e, molto più spesso, allo spirito del Concilio che non era altro che il suo stesso spirito, distorcendo il Gesuitismo classico con le sue basi spirituali che consistevano nella lotta fra il Mondo (Lucifero) e Cristo (la Chiesa). Basi che indirizzavano la Compagnia a combattere per il Regno con le armi dei Sacramenti, della liturgia e dell’economia della sofferenza su scala planetaria a riparazione parziale del peccato del mondo. Da quella data le armi divennero quelle della Rivoluzione e il regno sognato quello del benessere materiale, mentre il nemico diveniva economico, politico e sociale divinizzando così la lotta politica. Del peccato, al contrario, si parlava sempre meno, sommerso com’era dall’invasione della misericordia a buon mercato.