di don Stefano Carusi

Si è mantenuto lo stile orale 

Don Milani e il donmilanismo, il titolo è azzeccato. Perché distingue il problema di un personaggio complesso e malato, come fu don Milani con le sue idee bislacche e sconnesse, dal “donmilanismo” come è stato ribattezzato, ovvero quella struttura di pensiero che nell’esperienza del Forteto trovò – dicono le sentenze – una sua sistematizzazione aberrante. 

Laddove la lotta alla famiglia e la sua sostituzione con modelli ricostruiti, artefatti, che avrebbero fatto meglio di Dio quando creava, trovava una sua compiutezza teorica, aberrante appunto, come aberrante è la teorizzazione e l’elogio della sterilità volontaria, rispetto alla fecondità della famiglia numerosa. 

Come si poté arrivare a tanto, come fu possibile che si giungesse a teorizzare, senza voler fare anacronismi, quasi la famiglia omosessuale, o quantomeno i prodromi di essa. E qui faccio notare che alcuni contributi presenti nel libro sono solo di dieci anni or sono e ancora quasi si dice o si lascia intendere che nessuno teorizzerebbe la famiglia omosessuale. Oggi ci siamo – ed anche ai piani alti – come è stato possibile? 

Ritorniamo alla nostra adolescenza o una generazione fa, chi mai avrebbe pensato si potesse giungere a tanto. Eppure a ben vedere tante premesse erano già lì.

E il libro sembra dirci: perché il donmilanismo – aldilà del povero prete di Barbiana coi suoi problemi esistenziali e le sue reazioni un po’ scomposte -, perché il domilanismo già c’era ed era all’opera come una grande struttura, con appoggi in alto loco, come un piano, coi suoi attori, che non erano i montanari di Barbiana e nemmeno il loro curato…

Ma una potentissima struttura che gestisce il pensiero collettivo, che crea intellettuali o che fa diventare intellettuali dei ciuchi se utili al discorso unico, e che utilizza, anche aldilà della loro stessa volontà e consapevolezza, l’uno o l’altro personaggio.

In fondo tutti gli interventi di questo libro ci parlano del legame tra don Milani e il donmilanismo, e ci invitano  a ricostruire faticosamente certe trame…

Ma come è stato possibile?

Ma davvero è così grave la situazione, financo nella Chiesa ? Non riesco o piuttosto non voglio crederlo…e istintivamente ci si annebbia la coscienza dicendo il male è troppo grave non voglio vedere…

E poi perché il sistema si servì dei preti rossi? Non bastava Peppone? No, Peppone aveva già perso, bisognava per corromper il popolo fino in fondo che anche Don Camillo dicesse cose di sinistra…

E allora, sempre in questa ricerca del legame tra don Milani e il donmilanismo ci si chiede, ma c’è un filo rosso che lega tutti questi eventi di cui vedo tanti indizi ? 

E, se don Milani fu il povero pazzerello che descrisse il futuro Giovanni XXIII, allora il donmilanismo e le deviazioni aberranti del Forteto non potrebbero essere semplicemente l’epigono di qualche altrettanto pazzerello strampalato con gusti contro natura, che approfittò d’una situazione a lui favorevole per fare i suoi comodi, e lì finisce? 

Accetteremmo questa provocazione riduttiva se non ci fosse stata tutta la stampa di regime a difendere don Milani e crearne il mito, a rovinare quel pover’uomo e povero sacerdote, che avrebbe fatto meno male senza la stampa, dalla quale peraltro egli era anche infastidito…

Accetteremmo questa provocazione riduttiva se oggi non ci trovassimo nella teorizzazione sistematica dell’antifamiglia.

Accetteremmo la provocazione se qualcuno non l’avesse sobillato, appoggiato e forse in parte anche creato come falso mito. 

Ma come siamo arrivati a tanto? Ma come è possibile che sia uscito un documento dal Vaticano che approva la benedizione delle coppie omosessuali? Come è possibile? 

E guai a voi se non vi scandalizzate, vuol dire che il donmilanismo ha invaso i cuori. Se non ci scandalizziamo più, se non gridiamo che la casa brucia, allora la via non dico alla riproduzione di altri fenomeni come il Forteto è aperta, ma è aperta la via alla loro istituzionalizzazione.

Che legame c’è fra l’aberrante apertura all’omosessualismo del documento vaticano recente, sulla cui portata abbiamo discusso in altra sede, leggete il nostro sito Disputationes Theologicae, e l’attacco alla tradizione cattolica che avvenne nel pre-Concilio, durante il Concilio e nel post-Concilio ?  

Direte voi: ma mai e poi mai Paolo VI avrebbe voluto una simile aberrazione della benedizione delle coppie omosessuali. 

Certo, ma è il cedimento, seppur parziale all’epoca, ai poteri mondani e alle idee dell’illuminismo massonico ciò che causa l’indebolimento delle menti, il loro rammollimento, ne sfibra il nervi fino a renderli talmente allentati che – a piccoli passi – accetteranno poi tutto. Perfino il “matrimonio omosessuale” e l’adozione di bambini innocenti da parte di due invertiti.

E’ la logica delle cose, un piccolo errore nei principi si fa enorme nelle sue conclusioni. Ecco perché la Chiesa era vigilante appena gli errori spuntavano quasi invisibili. Perché vanno disinfettati subito per non diventare enormi bubboni. 

Vedete questa matita che ho sul tavolo, posso spostarla di pochissimi millimetri, in maniera impercettibile quasi, ma se ne prolungo la traiettoria il punto d’arrivo sarà l’angolo destro o l’angolo sinistro di questa sala, le conclusioni di un piccolo spostamento nei principi diventano enormi nelle conclusioni.

E vengo al punto.

Quale sarebbe il filo rosso che lega il donmilanismo cattocomunista al recente, aberrante, permesso di benedizione delle coppie omosessuali (ma ricordiamoci anche che in Italia le unioni omosessuali sono state legalizzate dal governo del catto-martiniano Matteo Renzi), se non quella serpe che è l’eresia modernista che si è infiltrata nella Chiesa e che si traveste di luce umanitaria e bonaria per meglio nuocere? 

Per chi lo ignorasse l’eresia modernista è quel fenomeno di infiltrazione nella Chiesa di un pensiero che è di matrice protestante e illuminista, che vuole stravolgere tutti i dogmi senza dichiararlo, che vuole creare in maniera utopica un mondo migliore di quello che Dio ha creato e delle verità da Lui rivelate. E che oggi non guarda più la creazione con occhi ammirati per capire quale legge naturale Iddio ha iscritto nella cose e per giungere al bene seguendola, ma che crea la realtà, crea le sue regole in maniera razionalista – sto semplificando certo -, ma fa degli schemi, calcola, si vuole ultrarazionalista per un verso e crea poi una sua fede sentimentale che piaccia alle mode del momento. 

Perché non è importante la realtà, ma il sistema creato a tavolino, non è importante ciò che Dio ha rivelato, ma conta solo quel sentimento che sento e che mi fa star bene con la religione che mi sono ricamato addosso…

E’ come se ci si spremesse le meningi per ricreare l’uomo e le regole della vita stessa, sull’onda di quel sentimento che passa per la testa, senza nessun legame col reale. 

Quindi attenzione, quel razionalismo che nei libri di don Milani diventa quasi schizofrenia, si vedano quegli schemi tra l’infantile e lo sconnesso di Lettera a una professoressa, esso va a braccetto col sentimentalismo creatore. 

Per loro la realtà è divisa in due – non a caso nel libro si parla di gnosi – ultrarazionale in un campo, sentimental-delirante nell’altro. 

Ricordiamo che è la stessa centrale del poter che propone l’impero dell’intelligenza artificiale (ma se “intelligenza” vuol dire intus legere non va chiamata “intelligenza”…al limite è un buon calcolatore) e la famiglia omosessuale in nome…dell’amore.  

E ricordiamo anche che i modernisti, ci avverte San Pio X, maestri d’eresia, vivono spesso come asceti, s’atteggiano a santoni pieni di carità, che gli altri non avrebbero, si occupano del popolo e dei suoi bisogni, hanno perfino l’aria pia, ma non sono da Dio…perché ne tradiscono la verità.

E prima di tradire Dio nella sua Chiesa, hanno tradito la realtà.

In parole più prosaiche quando ad un uomo di campagna fu chiesto perché era contro l’omosessualismo rispose: perché due arieti non hanno fatto mai un agnello.

Perdonate, ma è abbandonando proprio questa semplicità di ragionamento che si finisce al delirio di legge Zan. Ed e ritornando a tale semplicità agreste che ci vaccineremo dai virus dell’intelligenza…e siamo in piena pandemia.

E’ chiaro che don Milani non avrebbe mai detto ai suoi montanari che avrebbero dovuto allevare solo arieti o solo tori o solo galli, perché forse nemmeno lo pensava.  Ma è noto che le rivoluzioni sono solite andare più in là di quello che pensavano coloro che ne hanno posto le premesse.

E le premesse di questi ragionamenti disordinati, già c’erano nell’idealismo, ovvero l’idea anche irrealizzabile deve imporsi sulla realtà, idealismo che era egalitario negli anni Sessanta, ricreatore perfino del proprio sesso oggi, utopico, sconnesso, imposto senza saper perché…e accettato perché ci hanno sfibrato i nervi dell’intelligenza naturale con la…deficienza artificiale

E se qualche benpensante progressista non capisse questo concetto e volesse difendere l’idea che i due arieti si amano e perciò stesso è bene che si allevino due maschi, non perdiamo tempo ad andare oltre nel ragionamento col “pazzerello”, sarebbe come ragionare con un tronco d’albero, direbbe Aristotele e c’è solo da pregare…per chi vuol condannare la natura alla sterilità, per condurci trionfalmente verso il nulla, anche se con tanta carità e amore ai poveri, come dicono loro.

E sono quei poveri contadini, commiserati dal donmilanismo perché non capiscono i loro ragionamenti farlocchi, perché – a differenza del borghese progressista – la sera devono preoccuparsi di far cena. E sanno bene che se nella stalla non c’è una pecora insieme all’ariete non mangeranno l’agnello e non ci sarà nemmeno latte per il formaggio e quindi – non avendo lo stipendio procuratogli da quell’amico di partito, ma dovendo confrontarsi col reale – preferiranno, invece di due arieti, avere una pecora, un ariete e tanti begli agnellini.  

Non ci sarà nemmeno il formaggio, lo dico per quei progressisti cittadini, che sono favorevoli alle teorie gender, ma che non sanno che la pecora e la mucca non fanno il latte tutto l’anno, lo fanno dopo il parto…se quindi vuoi il formaggio…Anche questa è filosofia aristotelica, alla quale è più che mai vitale tornare assieme alla fede di sempre.

Ripeto, nonostante quella lettera a Pecorini, don Milani rimane un sacerdote che crede in Dio e che si sottomette alla morale cattolica, in chiave forse un po’ troppo da moralismo, visto come serie di regole cui obbedire per non peccare, piuttosto che di comprensione profonda dell’armonia tra fede e ragione, in chiave più da moralismo anni Cinquanta che non da ricerca della virtù come nella civiltà medievale.

Anche qui risiede una grossa parte del “problema don Milani”, egli denuncia infatti qualcosa che era necessario riformare, come il moralismo un po’ farisaico del Dopoguerra, l’obbedienza cieca, supina ed ipocrita a qualsiasi ordine dell’autorità degli anni Cinquanta. Erano veri problemi.

Ma la soluzione non era la lotta di classe, la predicazione della disobbedienza e gli altri luoghi comuni donmilaneschi. Piuttosto un sacerdote che deve ammaestrare, metter in guardia dai pericoli, avrebbe dovuto attuare un ritorno alla Civitas medievale, predicare come Leone XIII che se siamo scontenti di quella Rivoluzione borghese che fu la Rivoluzione francese (altro che interesse pei poveri…) la soluzione non è nel marxismo, non è nel sessantottismo, ma in una società ordinata, fatta di ricchi e di poveri, di ricchi che danno lavoro ai poveri e non li opprimono, di poveri che rispettano con lealtà chi dà loro lavoro.

Perché anche il povero può andare all’inferno, se vive maledicendo la sua situazione, se odia, ruba e froda i benestanti si guadagna l’eterna dannazione e la sua anima non è già salva perché povero, al punto che può fare qualsiasi cosa; è l’offerta della propria situazione di povertà in unione a Cristo ciò che salva, non maledire i ricchi…

Un sacerdote che volesse formare i giovani alla sana militanza cattolica, anche sociale, dovrebbe ricordare cosa era il sano corporativismo medievale, che non è né comunismo né liberalismo capitalista e che pone Dio creatore e Dio Provvidenza alla base del bene naturale e soprannaturale.

Dio che distribuisce i beni materiali e spirituali in maniera diseguale per il bene del tutto e ne chiederà conto, ai ricchi e ai poveri. 

Oppure far studiare cosa fossero la vera monarchia cattolica o le repubbliche comunali del Medioevo, questa è crescita culturale per un bambino cattolico. 

Perché l’egalitarismo è una follia, non c’è un fiore uguale all’altro, non c’è una montagna uguale all’altra, non c’è una gallina uguale all’altra, non c’è un sassolino uguale all’altro.

Nel corpo umano direbbe San Paolo ci vuole il piede e ci vuole anche la testa, ma guai se la testa si mette a fare il piede ed il piede la testa. Così è per la società. 

E poi l’altro errore del donmilanismo sulla nozione di scuola  e di maestro.

Per liberarsi d’una scuola arcigna, dove c’era solo obbedienza e insegnamenti da borghesia ipocrita…

Che la scuola dell’epoca andasse riformata poteva anche esser vero, e anche lì don Milani ogni tanto la dice giusta quando dice che era una scuola fatta dalla mentalità dell’Unità d’Italia e creata nel 1859, dice lui giustamente, e quindi – ma questo lo diciamo noi – mezza giacobina.

Ma il problema da correggere era quel pedagogismo illuminista e totalizzante, quell’indottrinamento che era più figlio dello stato totalitario liberale post-rivoluzionario. E anche lì la risposta del cattolico è quella di valutare quanto di buono aveva fatto la scuola del Trivio e del Quadrivio del Medioevo, in cui si dibatteva nelle Disputationes aperte e valeva l’argomento non l’ideologia, ma anche l’apertura di vedute e d’attività della Ratio Studiorum di spirito ignaziano o il metodo di Don Bosco, rispetto alle patetiche “maestrine dalla penna rossa”, vestali acritiche dell’Unità d’Italia massonica ieri, e oggi – con eguale posa ideologica – paladine del gender senza possibilità di discussione coi poveri bambini loro affidati.

Invece si parlò solo di smantellare la scuola arcigna – esasperando questo discorso – e si giunse a programmare di vietare quasi la bocciatura, che non significa riflettere sui problemi, ma accarezzare nel senso del pelo l’uditore. Ingannarlo, in fondo, accontentando le sue passioni senza farlo riflettere e farlo sforzare.

Non ti bocceremo più…un altro aveva promesso “sarete come dei”…le conseguenze le conosciamo.

Certo che vogliamo una scuola severa, nel senso di seria, perché è nella sana severità dell’insegnamento che anche il semplice può elevarsi. E’ insegnandogli il latino che anche il povero contadino del Mugello capisce quanto grande era l’insegnamento non scritto di suo nonno e quanto questo era vicino alla pietas di Enea cantata da Virgilio, e così acquistava al contempo cultura letteraria e fierezza della propria identità e della propria origine, scoprendo che quella cultura orale trasmessagli dai secoli era figlia di Atene e di Roma. 

Perché i nostri montanari erano più omerici di quanto non ci abbiano fatto credere. Ma bisognava che scomparissero o al limite che si denaturassero per “annullarli nel sistema”…

Mentre la Chiesa ha sempre ricordato che anche se si è poveri si può essere latori di una grande civiltà, da difendere con dignità e fierezza, anche con le scarpe rotte e le pezze ai pantaloni, senza sentirsi disprezzati, anzi sentendosi sempre popolo e parte riconosciuta della Civitas.

L’immiserimento culturale del povero, il suo sradicamento, il suo indebolimento identitario per meglio manovrarlo, il renderlo un complessato che non sa più chi è, è merito dei rivoluzionari intellettualoidi. 

La prova? A Napoli nel 1799 a difendere il trono e l’altare furono i Lazzari, che non chiedevano riscatto sociale, chiedevano rispetto dell’ordine, della Chiesa e del Re, gli ideologi della sovversione “per il popolo” furono invece quella fetta di nobiltà e di borghesia illuminata dai circoli massonici. 

E se seguite la storia del popolo degli ultimi due secoli lo vedrete sempre meno fiero, sempre meno identitario, sempre più debole e complessato davanti ai pensatori liberali fino ad oggi, laddove si lascia trascinare – “culturalmente” – da cantanti stonati. Ma ce li vedete i nostri vecchi, di due generazioni fa, pur poverissimi, così deboli da farsi manovrare da un cantante tatuato fino al collo? No. E perché, perché erano poveri, ma non c’erano quelle “crocerossine dei poveri”, che volevano snaturare il povero per meglio manovrarlo.

Concludo con don Faggi, di cui il libro contiene un intervento, il curato di campagna che trovammo in mezzo alle bottiglie di pomodoro. Sì perché faceva l’orto, lui il vero curato di campagna ancorato al reale, coltivava pomodori e d’estate, si sa, faceva la conserva con le sue mani, quei curati di campagna che diventavano un po’ monaci benedettini, un po’ eremiti di campagna, ma pastori per tutte le anime e che conosceva bene don Milani. Cosa rimproverava? 

Proprio quell’idealismo intellettualista e scuoteva la testa don Faggi, congiungeva le mani facendo rumore e alzava gli occhi al cielo pensando a quanto male – oggettivamente – può fare un sognatore, peggio ancora se sognatore di incubi, perché c’è un pessimismo in don Milani che poco ha di cristiano e che incupisce l’animo alla lettura, e il male che si può fare quando con idee disordinate s’infiltra un po’ di vanagloria…

Lui, don Faggi, che invece se ne stava ad accontentarsi della sua cura e a pensare a quelle anime a lui affidate, non solo i ragazzi, perché un curato non può metter su una scuola mattina e sera 365 giorni l’anno, ma deve occuparsi di tutti, poveri e ricchi, dei giovani e pure dei vecchi, più vicini alla morte e al giudizio. Pastori, veri pastori! Per tutto il popolo!

E sporcandosi di pomodoro nel tempo libero. 

Che distanza…che diverso senso della paternità e della paternità spirituale, che deve anche insegnare ai giovani un pò rivoluzionari, perché si sa che la gioventù è focosa, “attenti a non diventare i servi stupidi del potere”. 

Attenti, anche se alcune vostre istanze possono essere giuste, a non fare il gioco di chi vi vorrebbe sulle barricate per fare meglio i propri interessi. Attenti all’inganno di cui sarete i primi a pagar le spese.

Ieri era il comunismo, ammantato di grandi ideali, oggi è quella cultura conformista dell’anticonformismo che si rivela nella pseudocultura woke, che si espresse negli Stati Uniti con un presidente di colore, ma che fu sempre a servizio del grande capitale e con una Hillary Clinton che a chi le faceva notare il problema della finanza che gestisce il mondo, ebbe a dire “se mettiamo fine alle grandi banche davvero fermeremo razzismo e sessismo?” Ovvero paroloni come razzismo e sessismo sono intrattenimento ludico per quel mondo progressista che si vanta di essere rivoluzionario e che invece è il più gran servo del potere finanziario…

E se il sacerdote viene chiamato “Padre” è anche perché non deve scordare cosa sia la paternità, ci chiamano “Padre” perché il padre mette in guardia dai malandrini che si aggirano per strada. Dà al figlio gli strumenti per non farsi turlupinare, anche se questo costa il disprezzo, il non essere approvati dal mondo.

San Giuseppe, che oggi festeggiamo, Protettore della Chiesa Universale, ci ridia a tutti il senso della paternità e il coraggio d’essere veri profeti e maestri controcorrente anche se incompresi, proprio perché veri padri.