di Ascanio Ruschi

Guardo con invidia quella madre energica e schietta che, mentre le ombre del sole si allungano nel tepore della giornata primaverile, sale in macchina con i quattro figli e il marito. Mi saluta sorridente con un “Statte accorte” e si mette in marcia. Direzione Napoli. Guiderà per tutta la sera, per arrivare a destinazione a notte inoltrata. Ma non può mancare. E per una settimana i figli mancheranno da scuola. Ma sono giustificati. Tornano infatti a casa dai parenti, a Napoli, per festeggiare lo scudetto appena vinto dalla squadra di calcio della città devota a San Gennaro. Ma non sono i soli. Diversi bambini della scuola dei miei figli sono partiti con le rispettive famiglie per far ritorno nella città partenopea. La voce si è velocemente sparsa a scuola, e tutti gli altri alunni ne sono affascinati: vorrebbero anche loro, che napoletani non sono, partire alla volta di Napoli per poter partecipare ai festeggiamenti. 

Un lento e costante flusso dal nord verso il sud, per un momento di gioia comunitaria che ha oramai travalicato i limiti del rettangolo verde.

E così la città si è riempita, e ha messo il vestito buono, quello della festa. Luci e fuochi d’artificio come l’ultimo giorno dell’anno. Anzi di più. Un popolo che è sceso per strada, urlante di gioia e di soddisfazione per lo scudetto conquistato: il terzo, dopo quelli del 1987 e del 1990, risalenti ai tempi di Maradona.

La città ha così ritrovato quell’antico splendore e quell’orgoglio che le appartiene per diritto, troppo spesso mortificati e bistrattati. Finalmente “napoletano” non è una parola da usare in tono dispregiativo, ma il vanto di appartenenza ad una squadra di calcio, ma ancor più ad una città, per secoli faro di civiltà e fede per l’Europa intera.

Uno scudetto che regala, almeno stavolta, una superiorità nei confronti del nord della penisola, che manca dal 1860. Ma è anche rivincita nei confronti di pregiudizi e disinformazione duri a morire. Oggi è dimostrato che anche a Napoli si può essere vincenti. Metaforicamente, i prefetti venuti da Torino per governare la città, come accadde all’indomani dell’invasione piemontese, sono stati sconfitti, e il vessillo dell’antico regno che fu di Ruggiero, sino a Francesco II, sventola nuovamente con orgoglioso senso di appartenenza.

E così notti buie si sono illuminate a giorno grazie ai fuochi pirotecnici e all’ardore e alla passione dei napoletani. Una festa ininterrotta che ha coinvolto ogni ordine di persone, di ogni estrazione e provenienza.

Torna alla mente la descrizione della città del Trono e dell’Altare in occasione del ritorno di Carlo di Borbone a Napoli nel 1735:

“[…] Le stupende e artificiose illuminazioni, parea che mandassero tutto in fuoco… tutto incarnava l’amore per il Sovrano, quell’amor che rende ingegnosi anche le persone più dozzinali […] Tanto fece il Comune della fedelissima città di Napoli, tanto i privati cittadini, per onorare il felice ritorno del suo amatissimo Signore. Più fatto sarebbesi a misura del servente comun desiderio, se non si avesse avuto a lottare colla brevità del tempo, o per me dire, se la gran ventura di aver ricuperato la Regal sede, non fusse troppo recente…ancor tempo ci vuole pria che finiscano di risanarsi le vecchie piaghe. Verrà forse un giorno, e preghiamo il cielo ch’ei non sia molto lontano, che abbiansi a celebrar feste di gran lunga maggiori, ed innalzare in bronzi, e in marmi perpetui monumenti alla grandezza di un tanto Principe”.

E così vorremmo immaginare, ancora una volta, il popolo napoletano unito, in concordia di animo e di attaccamento, intorno al trono dei Padri all’altare della Fede.

Firenze, 07 maggio 2023