tratto da Radio Roma Libera

di Roberto de Mattei

La stampa italiana ha ricordato la scomparsa del principe Sforza Ruspoli, definendolo “l’ultimo principe dell’aristocrazia romana” (“La Repubblica”, 25 ottobre 2022). Le famiglie principesche romane sono infatti ancora numerose, ma non tutte conservano la coscienza del loro ruolo storico. Il principe Ruspoli, nella sua lunga vita, talvolta estrosa e contraddittoria, ma sempre generosa e appassionata, fu consapevole della necessità di una presenza pubblica dell’aristocrazia. Aveva inoltre la consapevolezza della romanità della sua casata, che significava servizio disinteressato alla città che ospita la Cattedra di Pietro e che ha nel Romano Pontefice il proprio sovrano.  

Sforza Marescotti Ruspoli nacque a Roma il 23 gennaio 1927, figlio di Francesco Ruspoli e di Claudia Matarazzo. Per parte di padre discendeva da una delle più illustri dinastie romane che conta, tra i personaggi storici, Mario lo Scoto, un condottiero al servizio di Carlo Magno, Fabrizio Ruspoli che comandò alcune galee pontificie a Lepanto, santa Giacinta, monaca francescana, e i due fratelli Costantino e Marescotti, paracadutisti della Folgore e medaglie d’oro al valor militare, che nell’ottobre del 1942 sacrificarono la loro vita durante la battaglia di El Alamein. Anche il padre di Sforza aveva combattuto valorosamente come aviatore nella Seconda Guerra mondiale e fu l’ultimo Gran Maestro del Sacro Ospizio, una delle grandi cariche civili della Corte Pontificia. Di istituzione antichissima il Gran Maestro interveniva a tutte le solenni funzioni pontificie, indossando un costume settecentesco nero con la spada dall’elsa d’argento e ricevendo onori pari a quelli dei cardinali, scortato da quattro guardie svizzere. A lui spettava ricevere e accompagnare i Sovrani che si recavano in udienza dal Santo Padre. Dal 1811 al 1968, quando Paolo VI abolì la Guardia Nobile, la carica, non ereditaria, fu conferita costantemente a membri della famiglia Ruspoli, in successione dell’antichissima famiglia Conti, estintasi nel Settecento.

L’eredità materna era di segno completamente diverso. La madre, Claudia, era figlia infatti dell’imprenditore Francesco Matarazzo (1854-1937), simbolo per eccellenza dell’emigrazione italiana, creato conte nel 1917 da Vittorio Emanuele III per i suoi meriti. Partito senza mezzi finanziari, da Castellabate, in provincia di Salerno, Francesco Matarazzo diventò l’uomo più ricco del Brasile e fu il creatore di un impero industriale ed agricolo che l’Enciclopedia Britannica, all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento, qualificò come uno dei cinque principali gruppi aziendali del mondo. 

Fu in Brasile che Sforza Ruspoli trascorse i primi anni della sua giovinezza. Tornato in Italia condusse una vita movimentata, alternando la mondanità con l’impegno pubblico, con uno spirito combattivo, che tra il 1959 e il 1962 lo vide alla testa della rivolta contadina dei Centri d’Azione Agraria, contro la politica di deruralizzazione delle campagne condotta in quegli anni dalla Democrazia Cristiana. Fu poi consigliere comunale in Campidoglio come indipendente nelle liste della Destra Nazionale e in questa carica, con l’appoggio unanime della Giunta, riuscì a far varare dal Consiglio Comunale l’edificazione, sulla via Casilina, della Casa di accoglienza Santa Giacinta che ospita persone in gravi condizioni di disagio economico e sociale

Il 29 settembre 2012, nel corso di una solenne cerimonia militare svoltasi in Vaticano, il principe Ruspoli riconsegnò nelle mani del comandante della gendarmeria pontificia Domenico Giani, lo storico stendardo sotto il quale le truppe pontificie si batterono a Porta Pia contro gli invasori dell’esercito piemontese. Questa bandiera, issata sugli spalti di quel drammatico 20 settembre 1870, fu ricoverata – crivellata di colpi- nella prospiciente Villa Paolina, affidata alla principessa Cristina Ruspoli, che la consegnò al fratello Francesco, uno dei difensori pontifici di Roma, e da allora venne gelosamente custodita nella Cappella di Palazzo Ruspoli al Corso (ne ha narrato la storia  Guglielmo de’ Giovanni Centelles, in Il Ritorno della Bandiera, in Società di Scienze  Ausiliarie della Storia, Roma 2012). Il glorioso stendardo fu portato dal principe, nelle numerose commemorazioni dei caduti di Porta Pia, che si svolsero, nel corso degli anni, in alcune chiese romane come San Giacomo al Corso e Santo Spirito in Sassia. Benedetto XVI, in occasione del ritorno della bandiera in Vaticano, conferì a Sforza Ruspoli l’Ordine Piano, la più alta onorificenza della Santa Sede.

Sforza Ruspoli fu un anfitrione munifico, che amava riunire alla sua tavola personalità di diversa estrazione per discutere sui grandi temi di attualità politica e culturale. Ricordo in particolare, un incontro dell’11 giugno 1993, con ventiquattro ospiti, tra i quali mons. Luigi di Liegro, presidente della Caritas, il politologo, poi senatore Domenico Fisichella, l’on. Pino Rauti, il banchiere Emmanuele Emanuele, il giornalista Marcello Veneziani. Ognuno di noi espresse le sue preoccupazioni sul futuro dell’Italia. Al termine, il cardinale Silvio Oddi, che sedeva a capotavola e aveva ascoltato in silenzio tutti gli interventi, affermò che il vero grande pericolo che vedeva per il futuro del nostro paese e dell’Europa era l’avanzata dell’Islam, invitando i presenti ad un rinnovato e maggiore impegno di apostolato.  

  Il cardinale Leandro Sandri, che il 28 ottobre ha celebrato i suoi funerali nella Basilica di San Lorenzo in Lucina, ha ricordato un’espressione cara al principe Ruspoli: “Il Papa non si discute si serve”.  Con queste parole il principe voleva ribadire la fedeltà al Soglio di Pietro che caratterizzò la sua famiglia durante mille anni di storia, fin da quando Mario lo Scoto salvò la vita di papa san Leone III in un attentato a San Silvestro in Capite. Questo spirito di fedeltà non impedì al principe Ruspoli di partecipare in prima fila, il 6 giugno 1977, alla conferenza che l’arcivescovo Marcel Lefebvre tenne a Palazzo Pallavicini, malgrado il Papa, Paolo VI, avesse tentato in tutti modi di impedire l’evento e il Gran Priorato dell’Ordine di Malta di Roma avesse espresso «la necessità inderogabile» di astenersi dall’intervenire alla conferenza. Sforza Ruspoli, cavaliere di Onore e Devozione, fu poi ambasciatore del Sovrano Militare Ordine di Malta presso il governo di La Valletta, ma con una decisione sofferta, si dimise nel 2019, a causa, disse, della “perdita di identità e di valori,” dell’istituzione.  

Partecipò ai convegni di Noblesse et Tradition promossi dalla principessa Elvina Pallavicini e dal marchese Lugi Coda Nunziante, con i quali costituì la figura di maggior spicco della resistenza cattolica dell’aristocrazia italiana al processo di sovvertimento dei valori culturali e morali che ha caratterizzato l’ultimo cinquantennio. La sua figura non va dimenticata. (Roberto de Mattei)