Di Vittorio Acerbi

Nella splendente stagione del Rinascimento italiano giunsero a compiuta espressione molti raffinati motivi della letteratura; accanto alla poesia, gli ideali di bellezza e armonia di matrice classica venivano fatti propri e ricercati dai grandi maestri delle arti figurative: da Leonardo a Michelangelo, a Raffaello, ai pittori della scuola veneziana. Cornice naturale per questa fioritura è la corte rinascimentale: quella dei Gonzaga a Mantova, degli Estensi a Ferrara, dei Medici a Firenze, della Roma papale.

Claudio Monteverdi vive per settantasei anni a cavallo fra Cinquecento e Seicento, partecipando dell’estrema stagione del Madrigale e delle nuove possibilità che il canto monodico e l’opera lirica dischiudono ad un creatore di assoluta genialità. Marc’Antonio Ingegneri, responsabile della cappella del Duomo di Cremona, sarà il maestro al quale il cerusico Baldassarre Monteverdi affiderà l’educazione musicale del figlio. Conclusi gli studi, il ventiduenne cercherà un incarico in Duomo a Milano; viaggio che non fruttò alcun esito positivo. L’anno seguente, nel 1590, viene chiamato (grazie all’intervento di Giacomo Ricciardi, presidente del Senato di Milano, al quale Monteverdi dedicherà il suo Secondo Libro di Madrigali) alla corte di Mantova sotto Vincenzo I Gonzaga. Vincenzo I è uno dei più estrosi discendenti della casata, libertino e bigotto, sottile politico e gran gaudente, fu, non meno del padre Guglielmo, mecenatesco protettore di letterati e musici. Tanto più che portò a Mantova artisti come Tasso, Palestrina, Rubens. Questo era il vivace clima artistico che si respirava a Mantova quando Claudio venne assunto a corte. Pubblica il Terzo Libro di Madrigali dedicandolo proprio a Vincenzo I, non senza accenti lusinghieri. Monteverdi aspirava infatti alla nomina di maestro di cappella; ma invidie, intrighi di corte (come testimonia una lettera dello stesso compositore) portarono Benedetto Pallavicino, musicista appena “soffitiente” a ricoprire la carica. Nel 1599 sposa Claudia Cattaneo. È in questo momento che cominciano le diatribe con Vincenzo Gonzaga, dovute all’irregolarità dei pagamenti che rendevano insicura la condizione economica. Nel frattempo, la moglie ammalatasi gravemente (prima), venne a mancare nel febbraio 1607. Monteverdi (appena quarantenne) rimasto vedovo e con due figli (uno di tre, l’altro di sette anni) si trovava ora in forti difficoltà economiche. Per di più, pochi giorni dopo il funerale della moglie, ricevette una lettera del duca Vincenzo dove veniva esortato a contenere il dolore della perdita e di riprendere quanto prima il servizio a corte. La morte improvvisa di Vincenzo Gonzaga nel 1612, e quella di Francesco (suo figlio primogenito) pochi mesi dopo, significò per Monteverdi un licenziamento in tronco, poiché il nuovo duca Ferdinando non apprezzava il compositore. Monteverdi si trasferirà a Venezia dove accetterà il posto di maestro di cappella in San Marco. La Serenissima sarà la città dove trascorrerà i restanti anni della sua vita dopo aver trovato quella stabilità economica che tanto aveva ricercato.

La composizione del Vespro della Beata Vergine risale al 1609 (pubblicato l’anno seguente) quando Monteverdi si era recato a Roma per presentarlo e dedicarlo a papa Paolo V, al fine di ottenere l’ammissione del figlio Francesco in seminario; viaggio che non portò agli esiti desiderati, ma che certamente giovò come esperienza musicale. L’opera rappresenta il capolavoro assoluto della sua musica religiosa. Un’opera immensa che contiene alcuni elementi problematici, una sorta di ambiguità costitutiva che ne hanno accresciuto nel tempo il fascino. Il Vespro si presenta come una corona di pagine in gran parte relative alla figura della Vergine intrecciate con altre che invece non presentano una stretta connessione con il culto mariano.