di Vittorio Acerbi

Chopin: genio e regolatezza.

Fra le misteriose componenti che cristallizzano in quel miracolo che è la musica di Chopin, è probabile che un tempo, come oggi, la nozione di quella originalità assoluta, di quella riconoscibilità immediata dipendesse dall’invenzione di un «canto» che nella voce aveva solo lontane ascendenze, un canto tanto originale che in realtà ha dovuto inventarsi da capo un suono tutto suo, la voce del pianoforte” (Giorgio Pestelli)

Partiamo subito col dire che tutti noi l’abbiamo sempre pronunciato alla francese, un po’ per comodità, un po’ perché in quei salotti parigini ci ha trascorso diverso tempo. Pur tuttavia senza mai rinnegare le sue origini polacche. Ecco perché la giusta pronuncia suonerebbe più marcata: “ciòpin”.

Fryderyk Franciszek Chopin nascerebbe il 22 febbraio 1810 a Zelazowa-Wola, un piccolo paese a circa sessanta chilometri da Varsavia. Uso il condizionale poiché non vi è mai stata data certezza della data e alcuni prendono come data ufficiale il 1° marzo. Il padre Nicolas Chopin era un precettore francese originario della Lorena che si era stabilito in Polonia all’età di sedici anni. Sebbene provenisse da un paese straniero, Nicolas era uomo di spiccato intelletto e premura verso i figli; si sentiva “polonizzato”. Tant’è che rifiuta di tornare in patria per prestare servizio militare in quella che doveva essere la “nuova” Francia post-rivoluzionaria. E tuttavia partecipa attivamente all’insurrezione di Kościuszko, una rivolta scoppiata contro l’Impero Russo. La madre, Justyna Krzyzanowska, vive segnata dai lutti familiari. Vedrà infatti morire di tubercolosi la figlia Emilia, il marito e anche lo stesso Chopin (probabilmente la causa è riconducibile ad una pericardite).

Fanciullo immaginativo, intelligente, dotato di senso dell’umorismo, autentico piccolo prodigio, scriveva versi a sei anni, a sette pubblicava la sua prima polacca, a nove dava il suo primo concerto pubblico. Dopo aver curato in modo eccellente la propria istruzione generale, fu allievo di Jozef Elsner (direttore del conservatorio di Varsavia) per l’armonia, il contrappunto e la composizione. Quanto al pianoforte nulla più aveva da imparare: in quasi tutta la sua formazione era stato autodidatta (eccetto le lezioni di un modesto e unico professore di musica, Wojcek Zywny). Fryderyk comincia già in giovane età a soffrire di una tosse che lo accompagnò fino alla morte (presumibilmente dovuta a tubercolosi polmonare).

Formatasi nei salotti della capitale polacca, che si contendevano il giovane musicista, la sua fama si estese rapidamente. I due concerti che tenne a Vienna nel 1829 ottennero un successo trionfale; poté pubblicarvi le sue prime composizioni, fra le quali le Variazioni op. 2 su “Là ci darem la mano” (Don Giovanni, W. A. Mozart) che, giunte fra le mani di Schumann, diedero pretesto al celebre articolo in cui esclamava: “Giù il cappello, signori, un genio”.

Ormai completamente maturo, Chopin lascia la Polonia nel 1830 dopo aver dato tre trionfali concerti a Varsavia. Uno di questi tenuto nella chiesa della Santa Trinità, dove il compositore suonò alla presenza dello zar Alessandro I di Russia.

Lasciata la Polonia, Chopin passa attraverso Breslavia, Dresda, Praga, Vienna, Monaco, Stoccarda. È nella città tedesca che il compositore viene a sapere che Varsavia era caduta; il regno polacco fu quindi definitivamente abolito e il suo territorio inglobato nell’Impero Russo; inoltre la città e la sua popolazione furono sottoposti a una forzata russificazione. L’episodio segna il giovane e lo ispirò nel comporre lo Studio p. 10 n. 12, a cui sarà attribuito il titolo La caduta di Varsavia.

È il 1831 quando Chopin giunge a Parigi e qui si stabilirà definitivamente. Il suo primo concerto parigino (Concerto in fa, Variazioni op. 2 ecc) ha poca risonanza, ma l’alta società si disputa le sue lezioni a peso d’oro e Chopin, soddisfatto da un genere di vita che gli concede un reddito confortevole, rinuncia quasi totalmente ad una carriera di virtuoso (poco consona al suo temperamento). Aggiungeteci pure che in tutta la sua vita darà in totale non più di una trentina di concerti. Nella capitale francese conosce e comincia a frequentare i migliori artisti di quegli anni: Honoré de Balzac, Eugène Delacroix (che più volte lo ha dipinto), Hector Berlioz (“Non ha un solo punto di somiglianza con nessun musicista di mia conoscenza”, riferendosi a Chopin; Berlioz che sarà anche autore di una versione orchestrale de “La Marseillaise”), Franz Liszt conosciuto grazie alla contessa e scrittrice Marie d’Agoult. Quest’ultima, dapprima sposata col conte d’Agoult dal quale ebbe due figli oltre che il titolo di contessa, si accompagnò successivamente assieme a Liszt; la relazione durerà pressapoco quattro anni (conditi di tre figli). Nel 1870 Marie sposerà anche il compositore Richard Wagner (chi non conosce “La Cavalcata delle Valchirie”?). Ad ogni modo, non preoccupatevi che anche per Wagner questo sarà il suo terzo matrimonio.

Chopin fa inoltre la conoscenza di George Sand. Scrittrice, socialista, femme fatale oltre che femminista convinta. Una donna che preferiva portare i pantaloni piuttosto che le gonne (e per quegli anni non era cosa da poco). Il compositore la trova inizialmente poco simpatica (considerata anche la sua fama di mangiatrice d’uomini); successivamente è grazie alla donna che il pianista riesce a trovare una distrazione dopo la sua recente delusione sentimentale. L’amore per l’affascinante Maria Wodzinska era stato contrastato dai genitori della giovane a causa delle incerte condizioni di salute del musicista. La curiosità ispiratagli da George Sand si trasformò presto in passione: fu l’inizio di un legame di cui è difficile stabilire se fu un bene o un male per entrambi. Quel che è certo, è che il giovane polacco non approvava la sua indole, le sue compagnie, finanche il suo modo di vestire. Ecco perché la scrittrice abbandonava sempre più spesso i pantaloni per indossare mussola e organza.

Entrambi passano l’inverno del 1838 a Maiorca, nel monastero di Valdemosa; soggiorno nefasto per la salute di Chopin, in cui già si erano manifestati in maniera ben precisa i sintomi della tisi. La coppia decide quindi di ritirarsi in estate presso il castello di Nohant, a Chȃteauroux. Lo scopo era quello di sottrarre il musicista all’atmosfera debilitante dei salotti parigini e di creargli, nella sua proprietà, le migliori condizioni di lavoro; in effetti, a Parigi egli non seppe mai concentrarsi e una gran parte nella sua opera fu composta a Nohant. Sfortunatamente le cure “materne” con cui questa soffocante donna circondava il suo “Chopinet” ebbero incresciose conseguenze, non soltanto riducendo a Chopin la possibilità naturali di difesa fisica e psicologica, ma creandogli attorno un’assurda leggenda di artista agonizzante, privo di virilità, esalante una morbosa sentimentalità. Le complesse ragioni della rottura (che si verificò nel 1847) furono di ordine familiare.

A partire dal suo insediamento a Parigi, Chopin viaggiò poco: brevi soggiorni in Germania, dove incontra Mendelssohn e Schumann (accordando loro la sua amicizia ma senza mai ricambiare la loro ammirazione) e un soggiorno a Londra.

Nel 1848 tiene il suo ultimo concerto a Parigi (vi esegue due recenti composizioni, la Berceuse e la mirabile Barcarola). Lo stesso anno la sua allieva Jane Stirling, che sogna di sposarlo, gli organizza una tournée di concerti nel Regno Unito: Londra, Manchester, Glasgow, Edimburgo.

L’anno dopo, sfinito dalla malattia, muore nella notte fra il 16 e il 17 ottobre, nell’appartamento di place Vendôme, dove si era appena stabilito. I funerali si svolsero alla Madeleine il 30 ottobre, per consentire di organizzare, secondo il suo desiderio, l’esecuzione del Requiem di Mozart.

Chopin fu straordinario pianista, indubbiamente il più grande della sua epoca, capace di fondere potenza e dolcezza, raffinatezza e virilità. Uomo colto, partecipe della élite intellettuale, non lasciò mai, come Schumann, penetrare la sua arte dalla propria cultura letteraria. La sua musica, pura e sobria, ne fa senza dubbio un fratello spirituale di Mozart. La melodia è il principio generatore della sua opera, in cui nulla è gratuito ornamento, nulla è superfluo; tutto contribuisce alla bellezza del disegno. Nonostante l’originalità della sua invenzione armonica, che preannuncia talvolta Wagner, Brahms e perfino Bartok, Chopin è sotto molti aspetti un classico. Il suo stile era già formato nel 1830 e le sole influenze veramente che egli subì furono quelle della musica polacca e di Johann Sebastian Bach (e chi non ha influenzato Bach?). Amava Mozart, ma ammirava soprattutto Bach, di cui suonava una pagina, per sé solo, prima di ogni concerto. Perché sentiva che nessuno era al suo livello, ma si reputerà sempre al di sotto di Bach. Unico compositore con cui non prova indifferenza, e forse una delle rare volte in cui prova stima, è l’italiano Bellini (un altro genio morto troppo giovane).

La conformazione del genio di Chopin, il suo gusto per la misura e soprattutto le profonde radici ne hanno sempre fatto, di fronte all’oppressione, il simbolo dell’unità polacca.

A Dio ha lasciato l’anima, a Parigi il suo corpo, a Varsavia il suo cuore. Perchè i polacchi, che tanto l’hanno amato, oggi lo conservano, secondo le volontà di Chopin, come una reliquia, nella chiesa di Santa Croce a Varsavia.