di Roberto de Mattei

tratto da Radio Roma Libera

Quello che dirò non è un dogma di fede ma una cosa mia personale: a me piace pensare l’inferno vuoto, spero sia realtà!”. Lo ha detto il 14 gennaio 2024 Papa Francesco in un’intervista al conduttore televisivo Fabio Fazio su Canale Nove.

  Però ci domandiamo: è lecito sperare una realtà che non solo non è contenuta nella fede cattolica, ma la contraddice?

E’ infatti verità di fede che l’inferno esiste, e se esiste non è vuoto e non sarà svuotato, come pensavano gli origenisti, secondo cui tutti i dannati, angeli e demoni, alla fine si convertiranno L’inferno è un luogo riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di convertirsi. La pena consiste in un fuoco inestinguibile: un fuoco reale, non metaforico, che si accompagna a quello spirituale della perdita di Dio. E poiché l’anima è immortale, la pena dovuta al peccato mortale senza pentimento, dura quanto dura la vita dell’anima, cioè per sempre, per l’eternità. Questa dottrina è definita dai Concili Lateranense IV, II di Lione, di Firenze e di Trento.

L’inferno non indica solo lo stato dei dannati, demoni e uomini morti in peccato mortale, che sono eternamente puniti. Esso indica anche il luogo in cui i dannati si trovano. E sant’Ignazio di Loyola, così spesso citato da papa Francesco, come il suo maestro spirituale, nel quinto dei suoi Esercizi ci invita a fare una cosiddetta “composizione di luogo” sulla realtà dell’inferno.

Questi i punti che, dopo due preludi, sant’Ignazio propone alla nostra meditazione nei suoi Esercizi spirituali 

Il primo preludio è la composizione: qui consiste nel vedere con l’immaginazione l’inferno in tutta la sua lunghezza, larghezza e profondità. 

Il secondo preludio consiste nel domandare quello che voglio: qui sarà chiedere un’intima conoscenza della pena che soffrono i dannati; così, se per le mie colpe dovessi dimenticarmi dell’amore dell’eterno Signore, almeno il timore delle pene mi aiuti a non cadere in peccato. [66] 

Seguono poi i punti da meditare.

Primo punto: vedo con l’immaginazione le grandi fiamme dell’inferno e le anime come in corpi incandescenti. [67] 

Secondo punto: ascolto con le orecchie i pianti, le urla, le grida, le bestemmie contro nostro Signore e contro tutti i santi. [68] 

Terzo punto: odoro con l’olfatto il fumo, lo zolfo, il fetore e il putridume. [69] 

Quarto punto: assaporo con il gusto cose amare, come le lacrime, la tristezza e il rimorso della coscienza. [70] 

Quinto punto: palpo con il tatto, come cioè quelle fiamme avvolgono e bruciano le anime. [71] 

Infine il colloquio. Facendo un colloquio con Cristo nostro Signore, richiamerò alla memoria le anime che sono all’inferno: alcune perché non credettero alla sua venuta; altre perché, pur credendoci, non agirono secondo i suoi comandamenti. Distinguerò tre categorie: La prima, precedentemente alla sua venuta. La seconda, durante la sua vita. La terza, dopo la sua vita in questo mondo. Nel fare questo, lo ringrazierò perché non ha permesso che io fossi in nessuna delle tre categorie, mettendo fine alla mia vita; così pure perché fino ad ora ha sempre avuto per me tanta pietà e misericordia. Terminerò dicendo un Padre nostro.”

Il segreto di Fatima, comunicato dalla Madonna ai tre pastorelli il 13 luglio 1917, si apre con una visione terrificante dell’inferno, che sembra una composizione di luogo ignaziana. Un inferno che viene mostrato come un luogo, non vuoto, ma pieno di anime di dannati: “un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio […]”. 

Se non fosse stato per la promessa della Madonna di portarli in cielo, scrive suor Lucia, i veggenti sarebbero morti per l’emozione e la paura. Le parole della Madonna erano tristi e severe: “Avete visto l’inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato”. Un anno prima, l’Angelo di Fatima aveva insegnato ai tre pastorelli questa preghiera: “Gesù mio perdonateci le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell’inferno, portate in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia”.

E’ celebre il miracolo del padre gesuita Antonio Baldinucci (1665-1717), ricordato nel suo decreto di beatificazione. Il 12 aprile 1706 padre Baldinucci tenne una predica nel paese di Giulianello vicino a Cori. Rivolgendosi ai suoi ascoltatori disse “Sapete mio popolo, come le anime cadono all’inferno? Come da quest’albero cadono le foglie”. Appena ebbe pronunciato queste parole, dall’albero sotto cui predicò e che indicò con le sue mani, un olmo, cominciarono a cadere le foglie in tala massa come se nevicasse. La caduta delle foglie, dicono i testimoni, durava così a lungo che nel frattempo si sarebbe potuto pregare quattro volte il Credo. Non era autunno, ma primavera, e nessuna foglia cadde dagli altri olmi, vicini a quello sotto cui predicava. La scena fu talmente impressionante che provocò molte conversioni e cambiamenti di vita. 

Tremare al pensiero della dannazione è una grande grazia che si riceve da parte di Dio” afferma il beato Columba Marmion (1858-1923). Il timore dell’inferno ha salvato infatti molte anime. La sua negazione offrirebbe una visione deforme di Dio, misericordioso, ma non giusto. La venerabile Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915) così si esprime, rivolgendosi al Signore: “No, se non ci fosse l’inferno, mancherebbero tre gemme splendide alla corona delle tue perfezioni, mancherebbero la giustizia, la potenza e la dignità”.

Suor Josefa Menendez (1890-1923), religiosa del Sacro Cuore, vide molte anime di sacerdoti all’inferno e la Beata Suor Faustina Kowalska (1905-1938), che ebbe la straordinaria esperienza mistica di scendere, guidata da un angelo, negli abissi orridi dell’inferno, racconta di essere stata colpita dal fatto che la maggior parte delle anime che soffrivano all’inferno, erano anime che non credevano all’esistenza dell’inferno o forse, aggiungiamo noi, pensavano che fosse vuoto. (Roberto de Mattei)