Giovanni Gasparro. Martirio di San Simonino da Trento (Simone Unverdorben), per omicidio rituale ebraico. Dittico centinato, olio su tela, 225 x 150 cm. 2019-2020. Collezione privata. Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Il dipinto è concepito come una sorta di pala d’altare, quindi con finalità di culto e devozionali. È un dittico centinato con angeli che reggono la palma del martirio e la corona di fiori, nel registro superiore. Elementi ed attributi iconografici che rafforzano, inequivocabilmente, la concezione del piccolo Simone Unverdorben da Trento, come martire della Chiesa Cattolica peché torturato ed ucciso, in odium fidei,  per omicidio rituale ebraico.
Come attestato dagli atti del processo e dalle ricostruzioni storiche che hanno legittimato un culto di ben cinque secoli, il bambino venne rapito il giovedì Santo del 1475 e fu ritrovato esanime la domenica di Pasqua successiva, nella roggia dell’usuraio ebreo Samuele da Norimberga.
Sul piano iconografico l’opera ricalca le visioni antiche che si sono sedimentate nelle opere d’arte e di culto sin dai primi tempi della diffusione della devozione popolare e dell’inserimento nel Martirologio Romano, con il bambino nudo, in una sorta di posa da crocifisso nonché fustigato dai suoi carnefici, simulando la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, in una lunga agonia cagionata dal soffocamento ottenuto per mezzo di una sciarpa stretta al collo e numerosissime lacerazioni praticate con punteruoli acuminati e tenaglie sulla testa, il volto e tutto il corpo, per ricavarne il sangue, utile per impastare le azzime della Pasqua ebraica. Tutti elementi desunti dai verbali degli interrogatori dei reo confessi omicidi, suffragati anche dagli studi, fra gli altri, del cattedratico ebreo Ariel Toaff.
Le fattezze e gli abiti degli sgherri ebrei sono quelli tradizionali. La composizione è concitata e carica di figure che come prede si avventano sul martire inerme. Sul piano luministico e cromatico, le ombre e i colori tetri sono strumentali ad accentuare la drammaticità della narrazione.

Testi liturgici su san Simone da Trento

Dal Breviario Romano, Proprio dell’Arcidiocesi di Trento, testi delle Lezioni del II Notturno:

IV Lezione – Simone di Trento, nato da genitori pii, non aveva compiuto ancora 29 mesi della sua età quando di nascosto fu rapito dalla casa paterna da un ebreo di nome Tobia che era stato corrotto con del denaro da altri Giudei. Costoro, infatti, avevano deciso di uccidere un fanciullo cristiano poiché, per loro, si avvicinava la Pasqua, così da poter mescolare il sangue del fanciullo agli azzimi, operazione che essi reputavano essere gratissima a Dio. Il fanciullo sequestrato fu condotto nella casa di Samuele nella quale si erano radunati molti Giudei. Favoriti dal silenzio della notte, da questa casa lo portarono nella Sinagoga e qui gli tolsero le vesti, gli fasciarono la bocca in modo che non si sentissero le grida e, subito dopo, tirando le sue braccia da una parte e dall’altra lo misero come in croce e in guisa di lupi famelici praticarono crudeli sevizie sul tenero corpo tanto da cambiare il suo aspetto.

V Lezione – Il più crudele fra questi, dopo aver colpito il volto (visibile tutt’oggi nonostante i supplizi) tagliò con una verga la sua fronte di bambino. Un altro, con un arnese, gli strappò un brandello di carne dalla mascella. Nel contempo ve n’era un terzo che pestava crudelmente i brandelli di carne. Il sangue che fuoriusciva dalla pelle veniva raccolto per usi abominevoli. Qualche altro persecutore, onde evitare che il bambino soffrisse per pochi istanti morendo soffocato, per qualche attimo allentava il bavaglio, facendo attenzione che non si sentissero le grida, per poi restringerlo. Cominciarono in seguito tutti a forare, con aghi appuntiti le povere membra, quasi morte, un po’ in tutto il corpo gridando che quell’offesa essi la facevano a Gesù, che i Cristiani adorano come Dio. Nello stesso modo in cui i loro padri avevano affisso in croce Gesù, anche loro martirizzavano ora quel fanciullo. Queste bestie molto selvagge godevano nel guardare i rivoli di sangue che uscivano da tutto il corpo e cadevano lasciando macchie ovunque. Finché il povero martire, dopo circa un’ora d’agonia rimise lo spirito a Dio nella decima calenda di Aprile dell’Anno del Signore 1475.

VI Lezione – Questi uomini empi, poiché avevano capito di essere sospettati dal popolo che cercava il fanciullo, rivestirono con i suoi indumenti il corpo esanime e lo gettarono nel fiume che scorreva lì sotto. Subito denunziarono al Vescovo Giovanni di avere ritrovato quel corpo così straziato nelle torbide acque. Per questo motivo fu inviato ad indagare il prefetto della città che per tre giorni interi rimase presso di loro. (Era infatti la Domenica di Resurrezione). Alla fine dei tre giorni egli capì che quel tremendo misfatto era stato perpetrato da loro, li fece imprigionare, interrogare e, dopo che ebbero confessato, infine li condannò a giustissime pene. In seguito con pubblico decreto vennero scomunicate ed interdette tutte le genti empie della città e del contado di Trento. Il piccolo corpo dell’innocente fanciullo fu portato in processione alla Chiesa di S. Pietro con grande concorso di folla. Il popolo lo tiene in grande venerazione per i suoi clamorosi miracoli compiuti non solo in Trento, ma anche fuori dalla città.

Documento n. 3 – Dal Martirologio Romano (Typis Polyglottis Vaticanis, 1956):
Nono Kalendas Aprilis (23/III). Tridenti passio sancti Simeonis pueri, a Judæis sævissime trucidati, qui multis postea miraculis coruscavit.