Luigi Cortesi

BREZZA DI MAGGIO

Gondolin Edizioni 2013

p. 349, Euro 18.00

Attraverso quest’opera autobiografica, che ripercorre l’impegno politico – e ancor prima di questo – l’impegno civico, morale, sociale e umano dell’autore, trasposto nel personaggio immaginario del protagonista Lamberto Cadéz, Luigi Cortesi propone un excursus sulla “deriva” che nel periodo storico compreso tra fine anni ’60 e inizio anni ‘80, come pernicioso morbo, infetta e satura ogni aspetto della realtà sociale, economica, politica, religiosa della “nuova Italia”, improvvisamente orfana, se mai ne è stata figlia, della propria identità storica, alle prese con la sopraggiunta realtà continentale (europea) e gli influssi da questa originatisi, senza aver potuto prima scrollarsi di dosso il proprio atavico senso di provincialismo e, evidentemente, di inadeguatezza: in questo senso, se le nuove ventate di “novità” hanno avuto nel resto d’Europa effetti tutto sommato limitati, qui da noi questa “Brezza di Maggio” si è invece dimostrata devastante, secondo l’autore, anche a cagione dell’intrinseca debolezza morale e insicurezza del singolo, dei legami familiari, del sentire collettivo, delle istituzioni stesse. La nuova “brezza”, peggio d’un tifone tropicale, tutto infetta e pervade con una rapidità ed una violenza che lascia attoniti ed atterriti, al grido di battaglia, mutuato dal grande timoniere dell’epoca, Mao Tse Tung: “Distruggere per ricostruire!”. Distruggere è stato fin troppo facile, con i “Borghesi” e i “Fascisti” rintanati in casa e presi alla sprovvista dall’esplodere di innumerevoli, organizzatissime, efficienti e ben foraggiate bande di giovani angeli vendicatori proletari “onnipotenti, onnipresenti, onniveggenti” come scrive l’autore… ma in quanto poi a ricostruire, purtroppo, ancora non ci siamo riusciti tanto bene.

La manipolazione del comune sentire, pilotata ad arte dal consueto “materialismo dialettico” (chi non ricorda, all’epoca, il famoso incipit d’ogni sermone comunista: E’ di tutta evidenza…”) di cui gli innumerevoli arruffa-popolo facevano sfoggio, spesso purtroppo per moda e per mettersi in bella mostra ed eventualmente “cuccare”, anche grazie al mito del libero amore, avveniva ovunque: dalle parrocchie ai centri giovanili, dalle scuole alle fabbriche, dalle chiese dei “Preti lavoratori” alle caserme; gli scioperi paralizzavano tutto, un vero dileggio, in cui nessuno si sentiva più a proprio agio, o sicuro. Si trattava di un clima da assedio e da resa finale dei conti: una guerra dichiarata da una parte sola, che non solo non concedeva tregua, ma neanche ammetteva l’avversario, lo “Stato”, disprezzato al punto di non riconoscerne spavaldamente le sentenze, invero sempre più spesso “moderate”, con l’usuale dichiarazione, una volta di fronte al giudice, di “proclamarsi prigionieri politici”. “Né Dio né Stato, né servi né padroni”, insomma.

Lamberto Cadèz ne è amareggiato, non tanto per le azioni di guerriglia “urbana” che esplodono attorno a lui e che lui, figlio di un’altra, morente Italia, anzi, tranquillamente e a cuor leggero combatte e denuncia in nome degli ideali cui ha sempre creduto, nell’aula del Consiglio Comunale della sua cittadina, come Capogruppo del Movimento Sociale Italiano, quanto per l’apparente apatia e “collaborazionismo” che le istituzioni della Nazione, religiose e laiche, mostrano nell’appoggiare ed anzi nel propagandare le idee (ma quali?) naturalmente sempre progressiste libertarie e, ça va sans dire, antifasciste).

Lamberto neanche per un momento può concepire l’idea di poter dismettere, come tutti d’intorno con tanta leggerezza si affrettano a fare, le idee di sempre, dei padri come degli avi. In quell’epoca turbolenta ed incerta, si tratta di un comportamento eroico, un faro per quella “maggioranza silenziosa” che, come araba fenice, “cosa sia nessun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Eppure Lamberto indica volentieri a quella maggioranza la strada: si tratta di una strada che punta diritta al nostro cuore.

Luca Ferruzzi