“In una casa di Farneta, piccolo borgo sulla via di Camaldoli,  la famiglia del contadino Marcucci era tutta riunita sotto l’ampia cappa dl camino basso, che sporgeva quasi fino a metà della stanza. Il camino nel quale crepitava un bel ceppo di faggio, era grande davvero, altrimenti non avrebbe potuto contener tanta gente, perché i Marcucci erano un subisso! (…) “Nonna, la novella !..dissero i piccini, che eran tutti ansiosi di udire per la centesima volta il meraviglioso racconto…”

Così l’agile penna di Emma Perodi (1850 – 1918), la brava scrittrice toscana, autrice di un’opera affascinante dedicata ai ragazzi : “Le novelle della nonna”  dove si racconta, insieme a un florilegio di belle fole toscane raccontate dalla nonna Regina, anche delle veglie intorno al focolare, con la famiglia patriarcale riunita che, appunto, iniziava la veglia con la recita del Santo Rosario anche se – come scriveva già nel 1973 Tito Casini, il grande scrittore firenzuolino – ora:
“L’usanza è morta o langue, oggi in molte famiglie: la corona, su cui passarono e ripassarono le dita, che si trapassarono in eredità, da cui morendo implorarono soccorso per le loro anime nel Purgatorio, generazioni e generazioni di antenati, non pende più, in molte case, dalla parete sotto l’immagine della Vergine: a ristorarsi delle fatiche della giornata, si gira, nell’ora già del rosario, quella chiavetta e, cessata pur la conversazione, indispensabile alla convivenza domestica, scene d’impudicizia e suoni barbarici  occupano per tutta la sera occhi e orecchie, drogando e deformando anime e cervelli. La corona non lega, non regge, non presidia più, oggi, la famiglia, e la famiglia è, oggi, quello che è. E la Chiesa? – continua il “Virgilio cristiano” come fu definito il nostro Mugellano da Giovanni Papini – La Chiesa, la grande famiglia dei credenti, è anch’essa, oggi, quello che è…”
 
Chi sa cosa avrebbe scritto il nostro autore mugellano, il non dimenticato autore de “La Tunica stracciata” , se fosse vissuto oggi, nell’epoca di Internet e dei “telefonini”…
Sì, sono scomparse davvero le “veglie” e, con le veglie, gran parte della devozione popolare e sembrano lontani anni luce i tempi in cui la famiglia, accanto al focolare, che dava luce e calore, prima delle  conversazioni, recitava quel rosario così caro a Pio XI che descriveva con parole poetiche quelle famiglie che :
“al tramonto si raccolgono , dopo le fatiche della giornata, tra le pareti domestiche, recitando, a ginocchia piegate dinanzi all’immagine della Vergine il Santo Rosario, insieme fondendo la voce, la fede, il sentimento. Usanza questa bellissima e salutare, da cui certo non può non derivare al consorzio domestico serena tranquillità e abbondanza di doni celesti…”
Si cenava presto, un tempo, nelle campagne e, dopo, iniziava la veglia, come ci racconta in un tema del 1987 un bravissimo alunno di Rincine, Marco Vignoli, in un  suo tema, con quello stile terso e pulito come l’aria fresca delle montagne rincinine :
“Ai tempi dei miei nonni si usava, la sera, riunirsi tutti intorno al fuoco ; la massaia diceva – Siamo pronti per dire il rosario? – Il mio nonno diceva: “Ancora no! Devo prima andare a sistemare le bestie- 
Prendeva il lumino a olio, andava giù, dava una sistematina alla stalla, poi passava dalla legnaia, prendeva la legna, faceva un bel fuoco che dava anche luce, perché a quei tempi la corrente non c’era . La nonna era già pronta con la corona in mano.  Anche a quei tempi c’era qualche giovane un po’ svitato che non lo voleva dire. Però il nonno era severo e gli diceva : “Se non dici prima il rosario non esci di casa!” – 
La nonna prendeva una sedia e si metteva in ginocchio verso l’immagine della Madonna; al momento delle litanie si mettevano tutti in ginocchio.
Il nonno, qualche sera, quando era in vena buona, diceva ; – Ora, ragazzi,siccome stasera siete stati bravi vi faccio le bruciate. – La nonna preparava il vinello, facevano un po’ di baldoria e andavano a letto felici e contenti.
Certo a quei tempi si diceva il rosario, si pregava di più, ora c’è la televisione, non si sta più insieme, non si parla più tra di noi, e non si prega più insieme. E le famiglie si sfasciano.”
 
Io ricordo bene quando allorché, alla fine di ogni “Mistero” veniva recitata una giaculatoria che, in rima baciata, ricordare e ribadiva alcune verità della Fede, come la “Comunione dei Santi” e la necessità di pregare per le anime Sante del Purgatorio che, a loro volta, intercedono per noi, presso il Signore :
Quelle figlie e quelle spose
Sono tanto addolorate
O Gesù, Voi che l’amate,
Consolatele per pietà.
Per il sangue che avete sparso
Consolatele mio Dio!
Dio vi salvi anime Sante
Dio vi salvi tutte quante!
Siete state come noi
Noi saremo come voi. 
Pregate Gesù per noi
Noi lo pregheremo per voi.
Iddio vi dia pace e riposo
Nel Santo Paradiso
Amen
 
E poi c’era l’ammonimento, teologicamente perfetto, che ricordava i “Novissimi” oggi colpevolmente dimenticati ….
Se tu non vuoi peccare/ pensa al tuo fine eterno/ Morte, Giudizio, Inferno/ e Paradiso
 
Ma per andare in Paradiso occorreva, e tuttora occorre, vivere da buoni cristiani:
Fa’ ben primariamente 
con molta diligenza,
l’esame di coscienza 
e d’ogni errore.
 
Con dolore infinito
piango infinito errore,
vorrei prima esser morto
che avervi offeso, o Dio,
prima morir vogl’io
che più peccare:
 
Anche le opere di Misericordia venivano ricordate con versi tramandati dalla tradizione orale, per cui, come nel Medioevo anche gli analfabeti conoscevano bene gli episodi della Storia Sacra, grazie alla così detta “Bibbia dei poveri”, ovvero dalla storia “visiva” impressa nelle vetrate delle cattedrali,anche il catechismo veniva tramandato oralmente dalla “pia tradizione” : “Tradidi quod et accepi” ovvero “Vi insegno quello che mi è stato tramandato”. Ed erano giaculatorie, semplici composizioni poetiche con assonanza, teologicamente perfette. Ecco, ad esempio, nel nostro Mugello, come le nonne o le mamme ricordavano due delle opere di misericordia (dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati) ai loro bambini:
Dispensa per amore / d’Iddio che te ‘l domanda/ il vitto e la bevanda/ al poverello/ Gesù ch’ha fame in quello, / un pane se’ donato / rende centuplicato / in cielo e in terra /
 
E così per il vestire gl’ignudi:
Copri con qualche velo / l’ignudo poverino, / e avrai con San Martino / onor da Cristo. /  Farai del cielo acquisto / se il pellegrino accetti: / Gesù seco ricetti: / oh che ventura!
 
E mentre la giornata era scandita dal suono delle campane – lo scrivemmo già in un articolo sui “bronzi del Mugello” – per cui la campana di mezzogiorno al cui squillo ci si metteva a tavola, recitando l’Angelus, in ricordo della vittoria di Lepanto, nel dannunziano “verde Mugello” è stata ribattezzata “la campana delle pastasciutte” …poi le campane annunziavano che qualcuno se n’era andato e invitavano, mestamente, al ricordo e alla preghiera : nel mio paese, Borgo San Lorenzo, da oltre sette anni è stato abolito (“manu militari”) il rintocco delle campane “a morto”..quel rintocco per cui tanti dicevano una preghiera al defunto e che aveva resistito per secoli, perfino ala tempesta iconoclastica dell’ultimo concilio.
Perfino nella misurazione del tempo come ci ricorda un altro illustre mugellano lo scrittore Carlo Lapucci, si usava la preghiera, per cui scrive:
“Le donne preferivano, invece, le preghiere per le varie operazioni di cucina . L’esperienza dava a queste misure un grado di precisione quasi cronometrica, tanto è vero che si ottenevano dei risultati invidiabili  anche da chi ha il forno con tanto di segnale acustico.(…) ad esempio cuoceva un dolce in forno e non potendo aprirlo per controllare, (la massaia) si doveva affidare solo alla recita d’un rosario (…)Le misure erano collaudate e passavano di madre in figlia. Oggi forse non hanno più valore perché si riferiscono ai fornelli a carbone , ai forni a legna”
Eppure posso dirvi che la cosa ancora funziona. Ma ecco, sempre ripresi da “L’era del focolare” del nostro Carlo Lapucci i tempi di cottura di alcuni così come si usava indicarli fino a quaranta anni fa nella campagna toscana (Mugello):
Un’ave Maria si recitava dalle donne quando facevano i brigidini, le ferratelle: tenevano tra le piastre la pasta a cuocere il tempo di recitare un’Ave Maria ( 15 secondi)
Un Credo cuoce un uovo (l’uovo al tegamino sta al fuoco il tempo d’un Credo.( un minuto e mezzo ca)
Il tempo di una Messa Cantata ci vuole per cuocere un cappone: così si regolavano le donne toscane per il pranzo di Natale o di Capodanno quando i familiari andavano alla Messa di mezzogiorno.
In due Gloria Patri si cuoce il fegato; messo nell’olio bollente con la salvia, un Gloria da una parte e uno dall’altra il fegato di vitella è cotto- (8/10 secondi per gloriai)
 
Insomma anche nello scandire il tempo veniva fuori questa società forgiata dalla Cristianità, come un tempo si chiamava l’Europa cristiana. E se molte delle “pietradizioni” sono scomparse nel tempo, la recita del Rosario ancor oggi rappresenta la “devozione mariana” più praticata – e sembrerà incredibile – proprio dai giovani…grazie a quel “tradere” a quel tramandare che funziona anche se i “nuivi barbari” hanno abolito il latino.
Gaddo de Grandville (Pucci Cipriani)
Fonte: Il Galletto