di Pucci Cipriani

Quello che era e , dati i comportamenti ultimi, sembra essere il giudizio di gran parte della Sinistra sulle foibe lo esprimeva , ma già altri lo avevano fatto prima, nel 1999 il sindaco comunista di Pisa, Paolo Fontanelli: le foibe sono una “credenza” ovvero una leggenda, una fola, un’invenzione. Del resto molti libri di testo delle Scuole Medie Superiori e Inferiori preferiscono non parlarne, ignorando questa pagina di Storia. Basta leggere il Camera Fabbretti, che ribalta completamente la realtà, per cui le foibe sarebbero “grandi cavità nelle quali i tedeschi gettavano le vittime delle loro rappresaglie”. Oltre allo sterminio di una etnia abbiamo assistito e tuttavia assistiamo al genocidio della memoria.

Le terre Dalmate fin dall’Ottocento sono veneziane, il loro glorioso simbolo è il Leone di San Marco della Repubblica Veneta, quel simbolo che le truppe titine subito toglievano quando entravano nelle città: Certo le terre Dalmate sono italiane ancor prima che l’Italia, ahimè, fosse unita con il risorgimento dalla squadra e il compasso della massoneria.

Dunque, italiani da secoli e prima di addentrarci nella storia di quel periodo di sterminio dobbiamo riconoscere anche che durante la guerra il Fascismo ebbe ben poco rispetto per le tradizioni e la cultura slava, giungendo perfino a vietare ai familiari delle vittime slave dei bombardamenti di piangere i loro cari nella loro lingua. Dobbiamo anche dire per verità storica che sia molti italiani che molti slavi, di fronte ad una Amministrazione confusionaria e pasticciona come quella italiana, rimpiangevano la saggia amministrazione asburgica, anche per la capacità che l’Impero ebbe di amalgamare le varie etnie. Ricordo per curiosità che durante l’Impero asburgico- e ce lo racconta anche un grande scrittore che fu nazionalista e fascista, Alfredo Panzini ne “La Ragazza Ebrea “-nelle scuole statali i testi erano scritti in italiano e si usava la lingua italiana.

E dunque veniamo ai fatti:

nel settembre del 1943 con lo sbandamento delle Forze Armate italiane, in mezzo alle rappresaglie dei tedeschi, reparti di partigiani jugoslavi entrano in Istria e Dalmazia e occupano PISINO creando un Comitato per la Liberazione dell’Istria e di Fiume; aderiscono anche partigiani italiani in nome della “Fratellanza socialista” lanciata da JOSIP BROZ TITO.

Nel 1945 i partigiani comunisti prendono Pola e Fiume e iniziano a lavorare i TRIBUNALI DEL POPOLO con lo stesso zelo con cui lavorarono i Tribunali del Popolo durante lo sterminio della Vandea.

E proprio allora si iniziò a parlare di Foibe e cominciarono ad apparire allora i caratteri di quella che era stata una vera e propria pulizia etnica, un vero e proprio sterminio di massa.

Già nel 1943 erano scomparse centinaia di persone che venivano prelevate durante la notte con dei camion, e non erano soltanto ex fascisti ma anche antifascisti non comunisti, preti ,civili, donne, uomini, e anche bambini.

Venivano infoibati.

Le foibe erano cavità che si aprono nel terreno del Carso e sono profonde centinaia di metri e si aprono sul fondo come un imbuto rovesciato percorso da acqua.

Nel dicembre del 1943 i primi cadaveri cominciarono ad essere estratti dalle foibe di Surani, Cregli, Carnizza, Semez.

Solo il primo cadavere mostrava segni di ferita di arma da fuoco: ergo venivano gettati vivi nelle foibe costretti, con le mani legate da fil di ferro, a seguire il primo ucciso per centinaia di metri e una lunga, tragica agonia. Per giorni-secondo il racconto di testimoni-si sentivano i lamenti delle povere vittime…sempre più flebili.

Fra le prime 217 salme recuperate nel 1945 dai vigili del fuoco si nota che pochi sono i corpi di coloro che erano compromessi con il Fascismo, ma quelli di chiunque, agli occhi dei partigiani slavi, rappresentasse un simbolo di italianità: intellettuali (Pol Pot uccideva coloro che portavano gli occhiali o che avevano calli alle mani),piccoli proprietari, professionisti, industriali.

E come ben potrete comprendere non mancarono le vendette private.

Vorrei qui ricordare un’ amica, ancora vivente, che ebbi l’onore di portare qui a Firenze negli Anni Novanta all’Istituto “Le Querce” dove si tenne un Convegno sui crimini del Comunismo.

Nidia Cernecca, questo il suo nome, fece una lunga battaglia, di cinquant’anni, perché le venisse resa giustizia e fosse condannato il boia Ivan Motika, che aveva assassinato suo padre colpevole di essere stato un impiegato comunale italiano. Era una bambina, Nidia, ma ben ricorda e narra quell’esperienza: il padre, sotto gli occhi terrorizzati dei familiari, viene preso da una banda di partigiani comunisti e sulle spalle gli viene messo un sacco riempito di pietre, quindi viene portato su, in montagna e con quelle pietre lapidato, dopo viene decapitato e dalla bocca gli vengono estratti i denti d’oro. Quindi con la testa Motika organizza una partita di pallone.

Nidia Cernecca ha avuto giustizia dopo cinquant’anni.

In un rapporto riservato delle FF.AA Italiane al Ministero degli Esteri, pubblicato nel libro PCI: UNA STORIA DIMENTICATA di Sergio Bertelli e Francesco Bigazzi, si legge:

“(qui)c’è un piano preordinato per eliminare definitivamente gl’italiani dalla terra patria…eliminare gli elementi italiani dei territori su cui convergono le aspirazioni Jugoslave”

Il rapporto parla anche di 477 civili “massacrati dagli jugoslavi in località dell’Istria e della Dalmazia”.

Vorrei qui ricordare un altro episodio e mi sembra importante ricordarlo, perché anche di questo episodio si è cercato financo di cancellarne la memoria:

I dodici carabinieri di Bretto

Ci sono 12 Carabinieri al presidio della centrale idroelettrica di Bretto, vicino a Cave di Predil, in Friuli Venezia Giulia. Nella notte i partigiani comunisti catturano i militari dell’Arma. Furono portati in una casa di contadini e obbligati a bere la soda caustica, quindi obbligati a camminare, tra strazianti grida di dolore, per dodici chilometri e portati alla Malga Bala. Il più giovane, di vent’anni, venne evirato con un coltellaccio e, ancora vivo, insieme agli altri, tutti completamente denudati, appesi, con un gancio al nervo del calcagno, a testa in giù e uccisi a picconate e calci.

Tumulati a Torre Tarvisio, per cinquant’anni nessuna autorità si è sognata di portare un fiore sulla tomba di questi martiri.

A Zara si ricorda l’uccisione dei fratelli Luxardo produttori del famoso Maraschino, ripetutamente gettati in acqua e tratti fuori, quindi affogati con una pietra legata al collo.

Don Luigi Stefani, indimenticabile amico, già Segretario del vescovo di Zara e docente del Seminario, proprio nella nostra Firenze, dove arrivò esule dalle Terre Dalmate e fu per trent’anni docente nelle scuole medie e cappellano della nostra Misericordia, ricordò tre suoi allievi, che già portavano la veste nera del sacerdozio, esumati dalle foibe: erano completamente nudi, evirati , con la corona di spine in capo.

Chi sa che per loro, martirizzati in odio alla Fede cattolica, non si apra un processo di beatificazione.

Arrivati a Trieste nell’aprile del 1945 i partigiani comunisti arrestarono 150 guardie di finanza, altrettanti carabinieri e una settantina di guardie comunali. Quando le scorte ritornarono in città ai piedi portavano gli stivali dei militi che erano stati fatti spogliare e quindi infoibati.

Questa pulizia etnica durò anche a guerra finita, almeno fino all’undici maggio del 1945 quando gli alleati, che fino allora non avevano mosso un dito ( a Churchill che aveva invitato il Generale Alexander ad evitare che i titini facessero carneficine, rispose puntito il Generale Alexander: “E come dire ai nostri soldati, che hanno fraternizzato con gli Jugoslavi, di mettersi contro i loro alleati, dalla parte dei fascisti?)si decisero ad inviare delle truppe neozelandesi per evitare la carneficina.

A proposito dei neozelandesi ascoltiamo il racconto del Tenente di Vascello Carlo Chelleri (pag.30 “PCI la Storia dimenticata” Ed. Mondadori di Sergio Bertelli e Francesco Bigazzi):

“A Basovizza esiste un pozzo detto della miniera, costruito parecchi anni fa da una società mineraria alla ricerca di carbone. Trattasi di un buco verticale, profondo 249 metri, e la cui apertura misura 36 metri. Questo pozzo venne particolarmente usato dagli slavi nei giorni dal tre al sette maggio 1945. Quando, dietro insistenze, venne inviata una missione alleata, essa, dopo le prime ricerche, venne nella determinazione che occorresse fare un lavoro bene organizzato per il recupero delle salme. Infatti, in breve tempo, vennero tirate fuori 600 salme, fra cui quelle di 23 neozelandesi in divisa. Testimoni oculari che assistettero all’infoibamento raccontano che gruppi compatti di 100, 200 venivano gettati nel pozzo. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate (le donne violentate, a molti venivano, con un cucchiaio, levati gli occhi n.p.c.). Altre venivano invitate a superare l’imboccatura della voragine con un salto, promettendo loro  che se l’avessero superata avrebbero avuto salvo la vita. I testimoni oculari di questo spettacolo cannibalesco riferiscono che solamente alcuni, nello sforzo disperato di vivere, riuscirono a superare l’argine superiore del pozzo, ma tale immane sforzo nulla loro valse, perché infine essi pure furono precipitati per forza. È da notare che tra le vittime risultarono molte donne e bambini. A volte intere famiglie , come il caso della postina di Sant’Antonio in Bosco, Petterossi Andreina, che venne precipitata nella foiba insieme al marito e alla figlioletta di due anni.

Questo documento della Marina Militare, che contiene appunto la testimonianza del Tenente di Vascello Chelleri, continua così: “non si conosce né il numero né l’esatta ubicazione di tutte le foibe nelle quali i partigiani jugoslavi hanno gettato le loro vittime italiane. Moltissime sono ignorate ancora perché i contadini delle zone hanno paura di palesare i crimini commessi dai loro attuali dominatori”.

Il 16 settembre 1947, entrò in vigore il trattato di pace fra la nuova Italia repubblicana e la Federazione jugoslava: l’articolo 7 dell’intesa prevedeva la non perseguibilità in campo penale per chiunque avesse: “lottato contro il comune invasore nazifascista”, dal 1940 fino al giorno dell’entrata in vigore del trattato medesimo. Tutti i reati commessi in quel periodo e con quella giustificazione, perfino gli eccidi, vennero di fatto condonati.

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L’imboccatura di una foiba. Queste cavità sono molto profonde, come mostrato chiaramente dal disegno sotto riportato.

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Questo disegno mostra lo spaccato della foiba di Basovizza. Sullo stesso sito potete leggere ulteriori particolari sulla tragedia delle foibe e sulle operazioni di recupero delle salme.

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Una fase delle operazioni di estrazione di resti umani da una foiba. Anche il Corriere dell’Irpinia ha ricordato le vittime delle foibe.

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L’assassino Ivan Motika. Finalmente processato negli anni 90, grazie anche alla strenua battaglia di Nidia Cernecca, alla quale Motika aveva ucciso il padre. Prelevato dal suo ufficio il padre della Cernecca venne lapidato dai partigiani comunisti che, dopo, gli tolsero i denti d’oro e con la testa del morto improvvisarono una partita di calcio.

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Il riconoscimento di alcuni cadaveri di quello sterminio ,per decenni dimenticato, perpetrato dai comunisti in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia e che dal 1943 al 1947 era costato la vita a oltre 20mila italiani. Tra questi cadaveri tre alunni del seminario di Zara, nudi, con le mani legate con il filo spinato, la corona di spine in testa e i genitali in bocca.

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Un italiano assassinato dai partigiani comunisti al quale, prima di “infoibarlo”, avevano strappato gli occhi, servendosi di un cucchiaio acuminato come “leva”…ancora nel 1996 i postcomunisti quando si parlava di questi orrori rispondevano seccati: “Ma parliamo di cose serie!”.

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