di Vittorio Acerbi

Popolarissimo oggi, abbastanza famoso in vita seppure con alti e bassi dovuti a un’esistenza artistico-professionale densa, longeva e vivace, Antonio Vivaldi fu uno dei tanti musicisti che morirono lontani dalla patria. Nel suo caso a Vienna. Dove s’incamminò, ormai vecchio compositore settantaduenne, verso l’estate del 1740 e dove morì la notte tra il 27 e il 28 luglio 1741, nell’appartamento affittato presso la vedova Maria Agate Wahlerin. La casa, scelta in una posizione artisticamente strategica, cioè vicino al Karntnertortheater dove l’autore sperava di vedere rappresentata una sua opera, era conosciuta anche come Satlerisch Haus. Oggi non esiste più. Rasa al suolo a fine Ottocento; come distrutto fu il “cimitero dei poveri peccatori” dove la salma venne inumata dopo un funerale modesto, di cui possiamo ricostruire il tono attraverso la distinta delle spese che ammontarono a meno di venti fiorini. Alla tumulazione probabilmente non c’erano più di una ventina di presenti: sei portatori di bara, altrettanti chierichetti, il parroco, il sacrestano, il becchino e un inserviente. Questi, tutti pagati, compaiono nella distinta delle spese.

Antonio nacque da Camilla Calicchio (figlia di un sarto materano che esercitava da qualche anno a Venezia) e Giovanni Battista Vivaldi. Il padre, violinista per passione e barbiere di professione, indirizza il figlio alla carriera ecclesiastica. Dopo la regolare trafila degli ordini minori (ostiario, lettore, esorcista, accolita) e degli ordini maggiori (suddiacono, diacono, presbitero) fu ordinato sacerdote il 23 marzo 1703. Carlo Goldoni scrive di lui: “L’abate Vivaldi, per il colore dei suoi capelli, era chiamato il Prete rosso, ed era più noto con questo soprannome che col suo nome di famiglia. Fu ecclesiastico, eccellente suonatore di violino e compositore mediocre. Quando mi recai in visita, lo trovai tutto intento alla musica e al tempo stesso col breviario in mano”. Si racconta che una volta mentre stava dicendo messa, giunto al momento della consacrazione, Vivaldi improvvisamente si recò in sacrestia abbandonando la funzione. Fu ritrovato a comporre musica. Aneddoti a parte, rimane la certezza che il padre non si limitò ad investire sul futuro ecclesiastico del fanciullo ma ne scoprì e indirizzò con metodo anche le qualità musicali. A fine agosto del 1705 Vivaldi smise di officiare messa “non per divieto o comando, ma per mia elezione, e ciò stante un male che patisco a nativitate” confiderà anni dopo al marchese Guido Bentivoglio d’Aragona in una lettera (1737). Argomentando meglio la rinuncia alle funzioni ecclesiastiche, su cui l’aneddotica del tempo ricamò con ipotesi ribalde, il musicista spiegò: “appena ordinato sacerdote, un anno o poco più ho detto messa, e poi l’ho lasciata avendo dovuto tre volte partire dall’altare senza terminarla a causa dello stesso mio male. Per questo io vivo quasi sempre in casa, e non esco in gondola o in carrozza, perchè non posso camminare per male di petto ossia strettezza di petto”. Si sono fatte molte ipotesi sulla natura di questo disturbo: la più plausibile è che il parto col “pericolo di morire” avesse indebolito le capacità respiratorie del bambino. Una forma d’asma insomma, con attacchi improvvisi cui non era estranea, forse, un’origine nervosa. Per l’immaginazione popolare c’erano argomenti più che sufficienti su cui fantasticare: un prete con i capelli rossi (indizio di sregolatezza mentale e inclinazione all’immoralità) e musicista estroso (quindi non del tutto savio).

Negli ultimi istanti della sua vita sarà dimenticato da tutti. A onorare per l’ultima volta il musicista veneziano conosciuto in tutta Europa ci sarà solo la sua amata Anna Giraud, celebre contralto che tanto collaborò con Antonio. Se Bach, Mozart e Beethoven sono i mostri sacri per eccellenza della musica classica, Vivaldi certamente può dire di essere stato influente per lo sviluppo del loro genio e della loro produzione artistica. Vi sembra poco?