di Ascanio Ruschi

«La cultura vera, quella che ancora non ha posseduto nessun uomo, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola» (Lettera a una professoressa, pagina 105).

Questa frase – terribile – di don Milani, colpisce particolarmente. E molto più di quelle, ben note, condite di parolacce ed espressioni che ben poco si addicono, non dico ad un sacerdote, ma ad una persona di media educazione.

E mi ha colpito perché, più la rileggevo e più vi scorgevo un abisso. Quello tra una concezione del mondo orizzontale (quella di don Milani) e una, invece, verticale. Da una parte una visione impantanata nelle cose del mondo, dall’altra una, invece, rivolta all’Eterno. Un modo di concepire la cultura come mezzo per innalzare l’uomo tra gli uomini contrapposto a quello per cui la cultura è innanzitutto mezzo per capire il mondo e arrivare a Dio.

Una frase tranchant (come molte sono quelle proferite da don Milani), che non lascia spazio a repliche: nessun uomo ha ancora posseduto la cultura vera… Ma come, mi dicevo, ma che frase assurda è? E con quale arrogante convinzione essa può essere proferita?

E poi quel riferimento alla massa, mi strideva. Non al popolo, o a una comunità. Ma alla massa. Cioè ad un insieme di individui indistinti, privi della loro individualità, identificati collettivamente. Un insieme di persone che viene valorizzato in virtù della loro quantità, a discapito della qualità. Direbbe Nietzsche, un insieme di individui mediocri.

Ma il concetto di massa, oltre che sociologico, è anche filosofico e, in definitiva, politico.

Rimanendo superficiali, il pensiero non può che andare a Marx, il quale, probabilmente per primo, nell’elaborazione del suo pensiero politico, usò il termine “masse” contrapponendolo a quello di “società”, intendendo che le masse sono quelle emarginate da un qualsiasi ruolo sociale attivo e prive di una precisa connotazione.

Massa dunque come nuovo soggetto politico, che trova nel numero la propria forza e al tempo stesso, la propria essenza.

Ma, mi domando, il concetto di massa è cattolico?

Può una identità sociopolitica – la massa – che prescinde dall’uomo (non in senso astratto, ma come persona concreta, reale) essere presa come riferimento da parte di un sacerdote, al fine di dire che la cultura deve appartenere alla massa?

E a quale cultura si fa riferimento?

E poi, perché dire che un uomo, per avere cultura deve avere anche la parola?

L’uomo forse, non è già dotato di parola? O forse don Milani intendeva altro?

Sicuramente don Milani non fa riferimento alla Parola, con la P maiuscola, delle Sacre Scritture, di Dio. Parola che peraltro non è indirizzata alle masse, ma ad ogni uomo e ad ogni Popolo, cioè a soggetti specifici, con proprie caratteristiche, realmente esistenti.

In questo senso, mi pare evidente, che la prospettiva di don Milani è prettamente politica. La massa, secondo una visione marxista, ha una sua coscienza, e ad essa, quale soggetto sociologico e politico, oltre che filosofico, deve appartenere la cultura, giacchè altrimenti cultura non è. O meglio, come sostiene don Milani, non è vera cultura.

E al contempo, secondo la tesi donmilaniana, la cultura deve possedere la parola, per far sì che la massa abbia lo strumento per difendersi e per ribellarsi ai soprusi del ricco, del potente, di coloro (i pochi privilegiati in contrapposizione ai tanti poveri, cioè la massa) che hanno già la parola, ma che la sfruttano per i loro tornaconti.

In una prospettiva religiosa, infine, senza la parola, seguendo la logica donmilaniana, non è possibile comprendere la parola di dio. Da qui la ratio dell’insegnamento totalizzante, 365 giorni all’anno senza vacanze, come mezzo di riscatto sociale e strumento per arrivare a Dio. 

Una visione a ben vedere, assolutamente distorta della realtà e dell’insegnamento cristiano. Ma anche del concetto stesso di cultura, così permeato di visione politica di stampo prettamente modernista. Basti ricordare come in “Lettera ad una professoressa” Don Milani definisce Iliade e Odissea “borghesi”.

Ecco, a ben vedere, in maniera chiara e sintetica, il leit motiv del pensiero e dell’opera di don Milani: una visione politica distorcente e distorta della realtà, ideologica e dogmatica.

Leit motiv che, evidentemente sarà ripreso anche dai primi sodali e dagli amici più intimi di don Milani, come ad esempio da parte di Giampaolo Meucci, magistrato, grande amico di don Milani, che da Presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, ebbe un ruolo fondamentale nella tragedia del Forteto, ivi acconsentendo l’invio di minori anche quando Rodolfo Fiesoli (non a caso definito il Profeta, come da molti è chiamato anche don Milani) aveva già subìto la prima condanna per abusi, e le voci su quanto accadeva al Forteto si erano ormai materializzate in fatti gravi e circostanziati.

Basterebbe leggere un piccolo libro (che non si trova nelle librerie) dall’evocativo titolo «Incontro con la Cina», scritto proprio da Meucci insieme a Raniero La Valle (giornalista catto progressista, ovviamente pacifista, pro divorzio, anticapitalista, ecc…)  per capire esattamente come il concetto di cultura appartenente alla massa fosse stato inteso e declinato, e cioè in senso politico-marxista. Il libro racconta di un viaggio che i due fanno nella Cina negli anni Settanta (forse sulla scorta dell’ammirazione dello stesso don Milani per la Cina, come emerge da Esperienze Pastorali) durante il quale si innamorano perdutamente del sistema politico ed economico cinese. Vi invito a leggere gli interessantissimi passaggi pubblicati da il Covile, che sono veramente illuminanti.

La Cina appare il paese ideale, dove finalmente la sopraffazione dell’uomo sull’uomo è venuta meno, grazie alla acculturazione delle masse, ora partecipi e coscienti del loro essere (autocoscienti secondo la definizione marxista).

E, paradosso dei paradossi, i peggiori in assoluto appaiono i cattolici cinesi, ancora legati ad una concezione di chiesa sorpassata, vecchia, fatta di messe in latino di sacerdoti rivolti ad Deum, di baci delle ampolle, e suonate di campanello. Tant’è che il duo Meucci – La Valle, inorridito, chiede ad un giovane pretino se in Cina abbiano mai sentito parlare di Concilio (ovviamente senza ulteriori specificazioni, come se ce ne fosse uno solo). Evidentemente, in maniera paradossale, il sole dell’avvenire del Concilio Vaticano II non era ancora giunto in Cina! Se qualcuno è andato con la mente sfuggevolmente a quanto recentemente accaduto in Cina con l’accordo tra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese, sappia che non è stato l’unico…

Ecco, a molte delle domande che mi son fatto, e che sbrigativamente ho voluto esporre, troverete risposta in questa raccolta di articoli e interventi, molti inediti, che ho voluto curare con l’amico Pucci Cipriani.

Ma soprattutto, quello che qui troverete, è una critica all’opera di don Milani e a quella dei suoi seguaci. Critica che, tranne poche coraggiose voci, oggi è totalmente assente dal panorama politico e religioso.

Ognuno dei lettori sarà poi libero di valutarne la bontà. 

Chi coraggiosamente ha contribuito a questo volume (autori, curatori ed editore, nessuno escluso) sarà soddisfatto se anche solo uno dei lettori maturerà una visione più disincantata, e più aderente alla realtà, del pensiero di don Milani e del donmilanismo.