di Tommaso Scandroglio

Fonte: Corrispondenza Romana

«Grazie mamma!» si legge sulle confezioni delle salviette per l’igiene intima dell’infanzia prodotte dalla Fissan. Il riminese Carlo Tumino ha un blog che si chiama «Papà per scelta» in cui racconta la sua esperienza di omogenitore insieme al suo compagno. La coppia ha avuto due gemelli tramite la pratica della maternità surrogata avvenuta negli States. Tumino è stato negativamente fulminato da quel ringraziamento alle mamme di tutto il mondo impresso sulle scatole di salviettine e così ha preso la tastiera del suo pc ed ha scritto una lettera aperta al direttore marketing della Fissan. «Salve Direttore, questo sono io insieme a mio figlio» [a lato del testo della lettera compare la foto di lui e del figlio], con l’espressione corrucciata di quelli che hanno appena scoperto che i papà non meritano una menzione nel suo pacco di salviette.

«Sorvolando sul dispiacere nel vedere ancora una volta sminuita la figura paterna, ho deciso di scriverle per invitarla a riflettere se continuare a consolidare un certo tipo di stereotipo o farsi promotore di una visione più realistica della società. Da più di due anni sono un padre a tempo pieno. Da più di due anni dormo mediamente 6 ore a notte, cambio circa 12 pannolini al giorno, faccio 10 lavatrici a settimana e ogni sera chiudo gli occhi pensando al modo migliore per educare i miei figli. Da più di due anni ho scoperto che ci sono tanti padri come me, stanchi di essere considerati una figura accessoria, dimenticabile, trascurabile, omettibile. Padri che coccolano, baciano, che piangono durante la morfologica, che si emozionano al primo sorriso sdentato. Padri che si arrotolano le maniche dei loro completi da lavoro, pronti a sporcarsi le mani. Veda caro direttore, il messaggio “Grazie Mamma”, sottintende il più classico degli stereotipi sessisti, promosso da quel patriarcato tossico che crede ancora in una netta divisione dei compiti domestici. Perché dietro la consacrazione della madre come figura esclusiva nella cura dei figli, sta condannando tutte quelle donne che lottano ogni giorno per una società più equa. I grandi cambiamenti culturali passano per anche per i piccoli gesti. E al pari delle istituzioni, della politica, dei media, anche i brand hanno una grande responsabilità. Quella di rappresentarci. Per questo mi affido al potere condiviso dei social, sperando che le arrivi questa lettera. Parole che non suonano come un rimprovero, ma come un invito ad una comunicazione più inclusiva. Perché è arrivato il tempo di ringraziare anche i papà, fosse solo per premiare la caparbietà con cui ogni giorno provano a guadagnarsi il loro posticino tra le mura domestiche, in una società che ancora troppo spesso li rende invisibili. Fosse solo per rassicurare tutte le donne, che un domani non sarà più necessario scegliere tra lavoro e maternità».

Qualche breve considerazione. Se mi permetto di dire «Grazie pompieri!» per il lavoro che svolgono, non significa che non voglio ringraziare chi, occasionalmente, si è trovato a spegnere un incendio da solo senza il loro aiuto. In altri termini, ringraziare le mamme non significa dimenticare i padri, Tumino incluso. Gli atti di cura di padri che hanno avuto un bambino tramite la maternità surrogata sono necessari sia perché propri del ruolo – parola invisa ai militanti LGBT sul piano teorico, ma poi nei fatti difesa – di padre, sia perché tali bambini sono stati privati della madre.

Secondo: i padri sono stati dimenticati proprio da quella cultura sessantottina che ha portato poi al fenomeno sociale LGBT. È lei che ha ucciso il concetto di autorità e quindi la figura paterna. Prendetevela con lei.

Terzo: il post vuole anche spezzare una lancia contro gli stereotipi che affliggono non solo gli uomini ma anche le donne. E incaricare una donna di portare avanti una gravidanza a favore di terzi non è degradare la figura femminile, anche quando la donna è consenziente?

Quarto: uomini e donne sono diversi, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente e quindi anche nelle inclinazioni, abitudini e attitudini. E lo sono per natura, non per imposizione sociale come vorrebbe un vetusto retaggio marxista. Questa diversità porta anche ad una diversità di ruoli pure in famiglia. Al contrario il post, per usare le sue stesse parole, sottintende il più classico degli stereotipi tossici LGBT: la diversità maschio e femmina non esiste. Provate a togliere un pannolino a vostro figlio o a vostra figlia e vi accorgerete plasticamente del contrario. Il fatto che da inveterata memoria siano più le mamme che i papà a cambiare il pannolino ai figli non è una pesante eredità di un passato stereotipato e tossico da abbattere, ma semplicemente una consuetudine che riflette quella diversità di ruoli che, a sua volta, è espressione di una più profonda diversità antropologica. Ben vengano poi i papà che cambiano i pannolini ai bimbi, ma non sventoliamo i pannolini come bandiere ideologiche. Sarebbe ridicolo.
Quinto: Tumino vuole che anche i brand fotografino la realtà sociale per quella che è.

«Grazie mamma!» crediamo che esprima un sentimento di ringraziamento diffuso in modo collettivo e non sia una gretta rivendicazione di un gruppuscolo formato da maschi, bianchi ed eterosessuali. Dunque quello slogan riflette bene il sentire diffuso. Volendo usare le stesse regole di ingaggio proposte dal padre riminese, chiedere di cancellare e cambiare in senso più inclusivo quel claim non potrebbe essere inteso come discriminatorio verso le mamme, come offensivo e intollerante per la figura femminile? Gli attivisti LGBT non si sono ancora accorti che l’inclusività, intesa in modo contraddittorio come privilegio, è una coperta troppo corta per poter coprire tutti? 

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