Tratto da: Roberto De Mattei
di Roberto De Mattei
Il 25 settembre si voterà in Italia per rinnovo del Parlamento, Camera e Senato, un appuntamento importante che pone a molti la domanda: come deve comportarsi un cattolico?
Vi sono due premesse da fare: la prima è che la Chiesa ha una sua dottrina politica e sociale, che si riassume nella formula di san Paolo “Instaurare omnia in Christo” (Efesini 1, 10), di cui san Pio X fece il motto e il programma del suo pontificato.
Instaurare omnia in Christo significa che ogni ambito della vita individuale e sociale deve essere ricondotto a Cristo. Il programma politico dei cattolici è dunque la Regalità sociale di Cristo: né più né meno di questo.
Questo grande orizzonte non è utopico, perché l’uomo vive e si nutre dei grandi ideali che orientano la sua azione: egli vale, come si dice, le grandi idee che ha. Sarebbe però velleitario pretendere di realizzare questo programma attraverso lo strumento di un partito politico.
Il cattolico deve interessarsi attivamente alla vita politica del suo paese, ma deve anche sapere che il sistema politico dei partiti, nato dalla Rivoluzione francese, è in sé stesso distorto, perché alla legge della verità sostituisce quella del numero dei consensi, che ne sanciscono il successo. Il criterio supremo del sistema politico non è l’affermazione della Verità, ma la conquista del potere. Per questo nessun partito politico può realizzare, per sua natura, l’ideale sociale cristiano, almeno nella società secolarizzata contemporanea. Oggi il voto politico è sempre la tolleranza di un male minore. E’ questa la seconda premessa necessaria.
A chi riservare dunque il nostro voto?
Di principio, salvo eccezioni, bisogna votare. Il divieto di Pio IX ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni e in genere alla vita politica dello Stato italiano, fu revocato da san Pio X, con l’enciclica Il fermo proposito dell’11 giugno 1905 e poi, nel 1913, con il cosiddetto Patto Gentiloni, quando l’allargamento del suffragio elettorale impose “l’obbligo di tutti i cattolici di impedire il male e rafforzare il bene“. Si tratta dunque, come già accadeva 100 anni fa, quando il Papa invitò i cattolici a votare i liberalconservatori per fermare i socialisti, di scegliere il male minore, a determinate condizioni.
Quali sono queste condizioni?
Non si può votare un partito politico che proponga quali punti qualificanti del suo programma ufficiale, leggi contro la Chiesa o contro l’ordine naturale, quali, ad esempio, l’allargamento dei cosiddetti diritti civili, presentati come conquiste sociali. Il che porta ad escludere categoricamente dal voto tutti i partiti di sinistra, che prevedono di introdurre, se mai vincessero, leggi contro l’omofobia e per il passaggio dalle unioni civili al matrimonio omosessuale. Votando questi partiti si approverebbe il loro programma, cooperando attivamente al male che esso comporta.
Ci si chiede se si possono votare dei partiti o delle coalizioni di partiti, come in Italia quella di centro-destra, che, pur non avendo in programma proposte di legge antitetiche all’ordine religioso e morale esprimano, attraverso la voce dei loro candidati, l’intenzione di non modificare leggi inique come la 194?
La risposta è positiva: questi partiti si possono votare perché, mentre nel caso del partito di sinistra il mio voto approva in maniera diretta e positiva un programma che prevede l’implementazione di leggi anticristiane, nel caso della coalizione di centrodestra, l’ implementazione di leggi anticristiane è assente dal programma ufficiale e il mio voto non coopera direttamente al male ma, tutt’al più tollera che, come effetto secondario, qualche esponente di quella coalizione si esprima in maniera discutibile o inaccettabile in campo morale. Votando a sinistra, voto ad esempio il decreto Zan sulle discriminazioni di genere, che in caso di loro vittoria sarebbe ripresentato, mentre votando a destra non voto il decreto Zan e anche se qualcuno afferma in un’intervista che la 194 non si tocca, non voto l’aborto o il suo allargamento, che è assente dal loro programma elettorale.
Diverso sarebbe il caso se, ad affermare che la 194 non si tocca, fosse un leader pro-life. Dai leader dei movimenti in difesa della vita e della famiglia ho il diritto di pretendere quella integralità di buone posizioni, di cui posso tollerare l’assenza nei leader politici. I leader politici hanno scelto infatti la via compromissoria del regime dei partiti, mentre i leader pro-life hanno il compito di esercitare, dall’esterno, una pressione sui partiti, o sui legislatori, per modificare le leggi, come è accaduto negli Stati Uniti, con la sentenza contro l’aborto della Corte Suprema, dovuta anche alla forte pressione esercitata nel corso degli anni dal movimento pro-life.
Ma se si presentasse un piccolo partito che sul tema della vita e della famiglia avesse posizioni integralmente buone, si potrebbe o addirittura si dovrebbe votarlo? Si potrebbe certamente votare, ma sarebbe un voto di testimonianza che rischierebbe di fare un favore alla sinistra. Sorprende poi la contraddizione di partiti nascenti, che si presentano come “anti-sistema”, ma che accettano l’espressione per eccellenza del sistema, che è la competizione elettorale, per poter entrare a far parte di quel sistema che a parole combattono.
In conclusione, la prudenza naturale e soprannaturale vuole che nelle votazioni la regola sia: “il voto più utile, a condizione che non sia in diretto contrasto con la legge naturale e divina”.