«Si partiva la mattina presto: il sole un po’ sbiancato e sempre fra il sonno – scriveva nel 1969 R.B. un alunno della Scuola Media “Giovanni della Casa” di Borgo San Lorenzo a proposito delle “Rogazioni” – ma il cucùlio già sveglio nell’aria odorosa e fresca di primavera. Betto in testa con lo stendardo. Dietro gli uomini e una ventina di donne col velo. Il pievano col piviale viola della penitenza e tra le mani il reliquiario d’argento di tutti i Santi.
Danilo col turibolo dell’incenso, e Beppe di “Quartino” col secchiello dell’acqua santa: io e Massimo a reggere le cocche del piviale.
E così, tutti in fila, si andava dalle parti di Molinaccio e tutto quella mattina pareva bello fra il bianco argento degli ulivi, fra l’erba merica, in mezzo al trifoglio e ai biancospini…mentre sbocciava timido il primo fior di pesco.
I contadini, col cappello in mano, aspettavano la processione in vetta alla viottola, e subito si univano ai canti e alle invocazioni fatte a Dio perché proteggesse i raccolti dalla grandine e gli uomini dalle malattie, dalla fame e dalla guerra e, sopra ogni cosa, dal peccato. Finite le benedizioni – conclude R.B. – una bella colazione nell’enorme Fattoria e, poi, dopo, il ritorno, a passo svelto, insieme al prete. Betto l’anno scorso bevve troppo vino e andava tutto a sbilenco e il prete lo brontolò perché strascicava lo stendardo. Noi, con la cotta sotto il braccio, si correva anche avanti al prete perché si doveva andare a scuola. Intanto le donne si sparpagliavano per i campi a cercar radicchio e cicoria!».
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Le «Rogazioni» minori (dal latino Rogatio usato nella Roma antica per indicare una proposta di legge nata dal popolo) si svolgevano (ma c’è ancora qualche sacerdote che “eroicamente” tiene viva la pia tradizione, nonostante l’iconoclastia conciliare) nei tre giorni che precedevano l’Ascensione e risalgono a un evento accaduto nel Delfinato allorché nel V secolo, precisamente, nel 474, si abbatterono diverse calamità naturali, non ultima un’invasione di lupi feroci, e un forte terremoto. Mamerto, Vescovo di Vienne (poi proclamato Santo) chiese ai suoi fedeli di fare un triduo di preghiera e di digiuno e stabilì di celebrare solenni e pubbliche processioni penitenziali in alcune chiese della sua diocesi. I tre giorni di penitenza si conclusero, appunto, il giorno dell’Ascensione.
Invece le «Rogazioni» maggiori si svolgono il 25 di aprile e vennero fatte (Canonizzate da Papa Liberio 325 – 366) per «riparare» a una pratica pagana dedicata alla dea Cerere, una pratica pagana particolarmente radicata tanto che nel 397, il 29 maggio, furono martirizzati in Val di Non, a Sanzeno, i missionari che avevano tentato di dissuadere i popolani dal praticare l’antico culto.
In ogni parrocchia del Mugello le «Rogazioni» si svolgevano, dunque, in due tempi: il 25 aprile e nei tre giorni che precedono l’Ascensione: ce ne parla un grande scrittore mugellano, firenzuolino, Tito Casini, il «Virgilio Cristiano» come venne definito dal Papini, in quella su «bella lingua che sa di Trecento e di Mugello» in un suo fortunato libro del 1931, edito dalla LEF, dal titolo I giorni del ciliegio:
«…veniva una processione su per i poggi, passava fra le nostre case, si sentiva cantare il Vangelo avanti alle Madonne (…) Kyrie, eleison… Christe, eleison…Cristo ascoltateci…Cristo esauditeci…la pallida insegna della penitenza cammina, precedendo, traendosi dietro tutto quel gran gemito, quel gran chiedere e supplicare della plebe cristiana.
– O Padre celeste, Dio, misericordia di noi! O Figlio, Redentore del mondo, Dio, misericordia di noi! O Santa Maria, o Santa Madre di Dio, o Santa Vergine tra le vergini, prega per noi!…O voi tutti, Angeli e Arcangeli, pregate per noi (…) o Santi Patriarchi e Profeti , pregate tutti per noi! (…) La bella voce screziata che brilla ormai nelle gocciole, gli uccelli che cantano qua e là nelle siepi, il mite ondeggiare dei grani ben si accordano col devoto scorrere delle corone , e non è che una sola preghiera, una sola voce gridante al cielo! O Santi, o Santi, pregate per noi, pregate, intercedete per noi! ».
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Io le ricordo le «Rogazioni» quando il sacerdote faceva, dall’alto di una collina che dominava la vallata, ampi segni di croce prima a levante, poi a ponente, e poi verso mezzogiorno e, in ultimo, a settentrione, quindi aspergeva con l’acqua santa e, via, per altre vette e altre croci (che venivano piantate durante l’anno in ricordo di qualche morto o di qualche evento religioso) e le invocazioni e suppliche : «Ab omni peccato…Ab ira tua…Ab insidiis diabuli…A spiritu fornicationis…A morte perpetua... Libera nos, Domine!» le voci che intonavano queste litanie chiedevano al Signore la liberazione dal peccato, dall’ira divina, dalle insidie dell’eterno nemico, il diavolo, dallo spirito di fornicazione…e lo chiedevano «Per nativitatem tuam…Per crucem et passionem tuam…Per sanctam resurrectionem tuam…», ovvero in nome della sua nascita, della sua passione, della sua santa resurrezione e, poi, mentre, in lontananza, si sentivano i rintocchi della campana, si chiedeva ancora la protezione dai fulmini e dalla tempesta, dalla peste, ovvero dalle malattie, dalla fame e dalla guerra…affinché la terra possa dare e conservare i frutti : «A fulgore et tempestate …libera nos, Domine!» – «A peste, fame e bello…libera nos, Domine!» – «Ut fructus terrae dare et conservare digneris…Te rogamus, audi nos!».
Anche Tito Casini fa risalire le «Rogazoni» a «San Mamerto (che) processionò per le campagne di Vienne invocando i santi contro i lupi, non i lupi infernali ma proprio i lupi dei boschi, che uccidevano i greggi e portavano i fanciulli : e i lupi crudeli sparirono…».
E il Casini non fu solo un attento cronista e uno scrittore di vaglia ma fu anche un fedele cattolico, ligio alla Tradizione («Tradidi quod et accepi») che partecipava devotamente, con la sua «cappa» della compagnia, a quelle rogazioni, come ad ogni funzione della Chiesa, per cui ci lascia anche un suo giudizio lapidario su quelle processioni e quelle invocazioni pie, dopo averci parlato di San Mamerto e dei lupi:
«Chiunque le belle cantate inventasse, dovette essere certamente un Santo e un poeta, un gran Santo e un gran poeta che seppe creare un vero poema di religione e di canto, di campane e di stendardi, di cielo e di terra».
E come si fa a dargli torto oggi quando le «belle cantate» e quei poemi «di religione e di canto», che uniscono la terra al cielo, sono scomparse, insieme al suono delle campane, per lasciare il posto a nenie demenziali, a ballabili e a schitarrate dopolavoristiche e dissacratrici?
Fonte: Europa Cristiana