Tutto quanto ho finora esposto sulle pur lontane vicende di don Milani (e, appena accennate, quelle di La Pira), ha avuto effetti rilevanti, che perdurano ancora oggi.

 

L’ideologia barricadera del priore di Barbiana ha avuto innumerevoli estimatori ed epigoni. Don Milani è stato ed è tuttora una bandiera della sinistra e del cattolicesimo democratico. E’ anche attraverso la sua figura che la sinistra ha strumentalmente e abilmente costruito, negli anni, il mito di una chiesa di lotta vicina ai poveri e al popolo, contrapposta alla chiesa istituzionale retriva, chiusa in sé stessa e conservatrice. Il pensiero milaniano lasciava, d’altronde, ampi spazi a questo genere di manovra.

Possiamo affermare che il mito milaniano ha contribuito culturalmente alla lunga supremazia politica, ormai da decenni, della sinistra a Firenze e in Toscana. Ciò ha comportato il sempre più profondo radicamento nella società delle deleterie tendenze ateo-razionaliste di stampo radicale in campo etico, che della moderna sinistra sono tipiche. Mentre dal punto di vista socio-politico la sinistra si è strutturata in un solido sistema di oligarchia politico-economica, comprimendo in modo sistematico, prima culturalmente e poi politicamente, gli spazi di sussidiarietà e di libertà. E’ prevalentemente nell’area del cattolicesimo democratico che si sono politicamente collocati gli allievi e i simpatizzanti di don Milani, e anche quelli di Giorgio La Pira. Matteo Renzi, attuale segretario del PD, partito politico erede storico del PCI, il giorno successivo alla sua elezione alla carica di sindaco di Firenze, trovandosi emblematicamente successore nel ruolo istituzionale che già fu dell’uomo politico di Pozzallo, è proprio sulla sua tomba che è andato a pregare, nella Basilica di San Marco. Gesto assolutamente legittimo, ma anche significativo quanto a collegamenti culturali, poiché Renzi ha scelto di accomunarsi alla linea del pensiero politico di La Pira, che come abbiamo già visto al capitolo precedente, era sbagliata. Da parte sua l’attuale sindaco di Firenze, Dario Nardella, già vicesindaco con Renzi per il suo stesso PD, ad agosto 2016 ha “sposato”, per la prima volta a Firenze, una coppia omosessuale.

D’altronde, il PD di Renzi e Nardella è lo stesso che, al tempo del Governo Letta, con provvedimenti come il già approvato decreto filiazione, e i reiterati tentativi di introdurre il diritto di cittadinanza secondo ius soli, la promozione dell’identità di genere e il disegno di legge contro l’omofobia, sta impegnandosi per demolire le basi antropologiche della nostra civiltà. Lo dicevo qui, dove accennavo anche alla visione keynesiana dell’economia espressa dal PD, per cui ci si illude e soprattutto si illude il popolo, facendogli credere che la crisi verrà superata facendo mega-sprechi sistematici di denaro pubblico, assistenzialismo e sussidi di Stato, invece di guardare in faccia la realtà. Tale posizione si traduce, ad esempio, nella vicenda degli F-35, e soprattutto – mi si consenta, dal momento che dopotutto siamo nel blog La filosofia della TAV! – nell’ostinazione di seguitare a voler gettare dalla finestra, senza alcun costrutto, quantità industriali di denaro pubblico in imprese fallimentari in partenza come quella dell’inutile autostrada-doppione BREBEMI e i progetti malsani di Alta velocità ferroviaria, ai quali vi sarebbero state fior di alternative più economiche e razionali, da ogni punto di vista. Io stesso mi impegno su questo fronte da ormai quasi vent’anni, con l’Associazione di volontariato fiorentina Idra, della quale è presidente il mio amico prof. Girolamo Dell’Olio. Purtroppo, di fronte ai poteri forti che esprimono implacabilmente i propri interessi da posizioni istituzionali di forza, le pur elementari ragioni di buon senso dei cittadini non hanno voce. Proprio in questo tempo le cose con la TAV a Firenze non stanno andando bene per niente, come potete leggere qui, e mi dispiace assai veder sacrificata inutilmente la mia città.

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Per par condicio, osservo qui  e qui che anche l’opposizione di centro-destra si associa spesso e volentieri ai suddetti disegni, in forza della sua essenza liberale, che come abbiamo visto col Toniolo, proviene dalla medesima matrice ideologica materialista e rivoluzionaria di quella della sinistra.

Dalla manovra di infiltrazione del cattolicesimo democratico nella società, non è rimasto indenne il tessuto ecclesiale della comunità cristiana fiorentina. Anch’esso ne è stato infatti permeato, a vari livelli. Ciò è avvenuto anche tramite l’azione della cosiddetta area arcobaleno, contigua alla sinistra e assai influente nella formazione giovanile.

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la Marcia di Barbiana

Importante l’utilizzo del mito milaniano, da parte della sinistra, anche nella dimensione educativa, che abbiamo già detto essere strategica. Ogni anno, nel mese di maggio, la sinistra organizza nel toscano Mugello, in nome di don Milani, la c.d. Marcia di Barbiana, a difesa privilegiata della scuola di Stato, che in tanta parte è stata colonizzata dalla sinistra medesima. Tale iniziativa è in non esplicita ma sostanziale contrapposizione alla scuola paritaria non statale. Classica la surrettizia e sistematica identificazione, operata dalla sinistra, della scuola di Stato con la scuola pubblica. Mentre la scuola paritaria non statale, pur essendo in realtà anch’essa pubblica, viene sistematicamente bollata da quella parte politica come la scuola privata, la scuola dei ricchidownload (40)Nei tempi d’oro, fra coloro che stavano alla testa della Marcia vi era Rodolfo Fiesoli, fondatore della comunità-lager Il Forteto, alla quale si è accennato in precedenza.

E’ ora il momento di approfondire i collegamenti culturali del Forteto col donmilanismo. Lo facciamo per la penna di Nicoletta Tiliacos sul Foglioin un articolo del 3 novembre 2013 che vado a citare integralmente:

La storia degli abusi del Forteto e dei cattivi scolari di don Milani

Molti elementi, alcuni incredibili, rendono unica la storia degli abusi consumati per decenni nella comunità e cooperativa agricola del Forteto di Vicchio, nel Mugello. Luogo che dal 1977 accoglie bambini e adulti in difficoltà e che si è rivelato una sorta di inferno dei vivi, come ora risulta anche dalla relazione – votata all’unanimità nello scorso gennaio – della commissione d’inchiesta istituita dalla Regione Toscana, oltre che dal nuovo processo tuttora in corso a carico del suo responsabile, il settantunenne Rodolfo Fiesoli, di Prato (in carcere dal 2011) e di ventidue suoi collaboratori.

Unica e incredibile è la cecità di chi doveva garantire l’affidabilità del Forteto. Stiamo parlando di giudici del tribunale dei minori, di assistenti sociali, di Asl, di amministrazioni locali, regione compresa, che in trentacinque anni hanno elargito fondi alla comunità di Fiesoli, dello stesso mondo delle coop. Ma anche di politici, giornalisti, sociologi, educatori e circoli cattolici progressisti che hanno avallato il mito del Forteto. Santificato in una messe di pubblicazioni, tra cui alcuni saggi editi dal Mulino. Nel 2003 c’era stato “La strada stretta: storia del Forteto”, del ricercatore Nicola Casanova, con prefazione dello storico Franco Cardini, mentre nel 2008 è uscito “La contraddizione virtuosa. Il problema educativo, Don Milani e il Forteto”, sempre a cura di Casanova e di Giuseppe Fornari. Nella pagina di presentazione della Fondazione del Forteto, si dice che il volume traccia “un parallelismo tra l’esperienza educativa di don Lorenzo Milani e l’esperienza di solidarietà e accoglienza della comunità del Forteto: in entrambi i casi l’attenzione per i dimenticati, per gli ultimi, si è rivelata la più grande forza in grado di conferire dignità e significato all’essere umano”. Parole che spiegano perché il Forteto abbia goduto, per tanto tempo e nonostante tutto, di un’illimitata apertura di credito presso l’intellighenzia progressista italiana, laica e cattolica. Molto si deve proprio alla sua aura di depositario dell’eredità educativa e antiautoritaria di don Lorenzo Milani, cioè dell’animatore della scuola di Barbiana (siamo sempre nel Mugello) e celebrato autore di “Lettera a una professoressa”.

Quell’apertura di credito, in modo ingiustificabile, non ha vacillato nemmeno dopo che Fiesoli, nel 1979, subì una condanna a due anni di carcere per atti di libidine violenta, corruzione di minorenne e maltrattamenti (sentenza passata in giudicato nel 1985). Il giudizio faceva seguito al lavoro di indagine dell’allora magistrato inquirente Carlo Casini – futuro fondatore del Movimento per la vita – e del suo collega Gabriele Chelazzi, poi sostituto procuratore all’Antimafia, morto nel 2003. Nel 1978, i due magistrati avevano acquisito le testimonianze di persone passate per il Forteto che avevano subìto abusi e avevano assistito a violenze su bambini e adulti. Era l’iniziazione alla quale Fiesoli sottoponeva i suoi ospiti, teorizzandone il valore “liberatorio”.

Il guru del Forteto, che all’epoca negò tutto, uscì dal carcere nel giugno del 1979. “E proprio in quelle stesse ore – ha scritto lo scorso 20 ottobre il quotidiano la Nazione – il tribunale dei minorenni allora guidato da Giampaolo Meucci gli affida un bambino down, un segnale chiarissimo di quale parte avrebbe tenuto quell’istituzione in quel momento e negli anni successivi”. Meucci, ricorda il vaticanista Sandro Magister sul suo blog Settimo Cielo, era “grande amico di don Milani” e continuava a ritenere il Forteto una comunità “accogliente e idonea” (alla vicenda Magister ha dedicato diversi articoli, tra cui l’utile cronologia: “Cattivi scolari di don Milani. La catastrofe del Forteto”). Ma accanto a Fiesoli si sarebbe schierata anche la rivista cattolica progressista Testimonianze, fondata dal sacerdote fiorentino Ernesto Balducci.

Solo due settimane fa, è tornato alla luce, dopo una lunga e misteriosa sparizione, il fascicolo processuale del 1978 con le testimonianze raccolte da Casini e Chelazzi. La Nazione cita, tra le altre, quella di una coppia di Prato: “E’ successo due o tre volte che nel corso delle riunioni egli (Fiesoli, ndr) si sia tirato giù i pantaloni e le mutande, prendendosi in mano il membro e mostrandolo, secondo lui doveva essere un gesto disinibitorio”. E’ l’inizio, prosegue il quotidiano, “di un racconto choc fatto di divieti ad avere rapporti sessuali fra coniugi, di richieste di rapporti omosessuali, di riunioni collettive per guardarsi reciprocamente i genitali, di parolacce, di insulti, di inviti a picchiare i propri genitori. E qui torna anche l’altro lato emerso nell’inchiesta di oggi: ‘Tra le cose che secondo il Fiesoli bisognava fare c’era rompere con la famiglia. A me disse che non sarei stata libera da mia madre finché non l’avessi picchiata’”.
Per capire che cosa siano quelle che al Forteto erano dette “famiglie funzionali”, leggiamo anche ciò che scrive Armando Ermini sul blog fiorentino Il Covile, diretto da Stefano Borselli, che negli anni ha sempre seguito con attenzione la vicenda: “Se c’è una cosa chiara fin da subito, è l’odio totale per la famiglia nutrito dai leader della comunità del Forteto. Si faceva in modo che i ragazzi affidati non avessero più alcun contatto con la famiglia d’origine, si faceva loro credere di essere stati abbandonati nel più completo disinteresse, si incentivava in loro ogni tipo di rancore e di rivalsa affinché ogni ponte col passato fosse tagliato… le coppie affidatarie erano in realtà composte da estranei privi di legami affettivi fra di loro. E anche quando nella comunità ne nasceva uno, vi era l’assoluto divieto di costruire qualsiasi simulacro di vita di coppia. I rapporti eterosessuali erano osteggiati in ogni modo, e fra maschi e femmine esisteva una separazione assoluta. La così detta ‘famiglia funzionale’, geniale invenzione di Rodolfo Fiesoli, poteva significare qualsiasi cosa ma non aveva nulla a che fare con la famiglia naturale e nemmeno con un suo qualsiasi surrogato”. Ma allora, si chiede Ermini, “perché i giudici deliberavano di affidare i bambini alle ‘non coppie’ del Forteto? Perché i servizi sociali indicavano come affidabili queste ‘non coppie’? Perché per giornalisti, scrittori, sindacalisti, politici, preti, il sistema Forteto era additato come esempio? Perché la Regione Toscana lo favoriva in ogni modo? La risposta, credo, può essere una sola… quantomeno era condivisa la concezione secondo la quale la famiglia naturale era il problema, un luogo di oppressione destinato ad essere soppiantato da altre forme di aggregazione fra individui, o comunque un istituto da modificare in profondità nel suo significato tradizionale”. Senza l’ideologia che l’ha originata, nutrita e protetta – quella della famiglia nemica, da disintegrare e neutralizzare – la vicenda del Forteto non si capirebbe (in Francia quell’ideologia nel frattempo è diventata, con il ministro Peillon, la missione della scuola). Il suo presupposto, leggiamo nella relazione della Regione Toscana sul Forteto, è che “la coppia e la famiglia comunemente intese rappresentano luogo di egoismo e ipocrisia inadeguato all’educazione dei giovani ai valori di uguaglianza, altruismo e solidarietà. Solo disaggregando l’unità familiare, secondo quanto asserito da Fiesoli… ci può essere il perseguimento di tali valori”.

Dettaglio: Stefano Borselli, direttore del Covileconferma che lo scolopio padre Ernesto Balducci, a suo tempo anche fiancheggiatore di don Milani nella battaglia per l’obiezione di coscienza, che al capitolo 3 abbiamo visto svolgersi sul crinale dell’ideologia, “è uno di quelli che raccolgono le firme per Fiesoli”. Nonostante ciò, anche il padre Balducci è stato indicato dall’Arcivescovo Betori come un altro dei significativi “testimoni ecclesiali del novecento” . Quindi, purtroppo, ancora cattivi maestri.

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don Alessandro Santoro

Tra le conseguenze infelici del pensiero milaniano, riprendo ora il caso della deriva ideologica in cui è caduto un sacerdote della mia Diocesi di Firenze, don Alessandro Santoro.

Mi risulta che Don Santoro sia a tutt’oggi cappellano presso la Comunità delle Piagge, una zona certamente di periferia esistenziale di Firenze. In sintesi, in quel contesto pur non facile, anche don Santoro, richiamandosi al pensiero milaniano, ha fatto la scelta fatale di condurre la sua pastorale nelle note linee della lotta di classe.

Ciò ha anche comportato, nel tempo, l’avvicinamento della Comunità al pensiero della sinistra più oltranzista, quello della lista Tsipras, una corrente della sinistra radicale. Sul sito web de “L’altracittà”, emanazione della Comunità delle Piagge, si legge, qui,  che il candidato nella lista Tsipras sostenuto dalla Comunità medesima alle elezioni europee del 2014 è stato Francesco Gesualdi, già allievo di don Milani alla scuola di Barbiana, come il già citato fratello Michele, presidente della Fondazione.

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In linea con l’ideologia radicale a cui si ispira, il 29 marzo 2009 don Santoro si esprime pubblicamente in favore dell’eutanasia che era già stata praticata a Eluana Englaro. Dolce morte si fa per dire, in realtà Eluana è stata lasciata morire di fame e di sete. Di questa vicenda ha ben parlato don Juliàn Carròn, che come è noto è presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione.

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don Santoro con Giuseppe Englaro

Comunque, l’occasione per don Santoro di inserirsi nel dibattito è quella del conferimento della cittadinanza onoraria fiorentina al padre di Eluana, Giuseppe Englaro. Don Santoro e Giuseppe Englaro si incontrano pubblicamente. La redazione fiorentina di Repubblica.it  riferisce le parole dei due, nella circostanza:

Santoro, di fronte ad Englaro pronuncia la pubblica confessione di un prete che si sente smarrito: «Dopo questo baccanale osceno (si riferisce all’azione di coloro che hanno cercato di impedire l’eliminazione di Eluana, NdR) si può solo chiedere perdono come fece il figliol prodigo nella parabola raccontata da Gesù», dice nel silenzio perfetto della sala in cui sono sedute decine di persone. «Sono profondamente disturbato da questa ostentata onniscienza della Chiesa in cui non riesco più a riconoscermi. Di quel cristianesimo non so che farmene, il Vangelo di fronte alla vita usa solo la parola amore, che significa avvicinarsi all´altro e al suo mistero per riconoscersi. Nel mio vescovo questo amore non l´ho visto».
Englaro quasi non ci crede: «Ero un randagio che abbaiava alla luna, per tanto tempo nessuno mi ha voluto dare ascolto. E ora arrivo qui, a Firenze, e mi sento dire quelle parole semplici e dirette che sembrava impossibile poter udire»

Repubblica riferisce che

Tantissime persone vicino ad Englaro, anche molto giovani. Alle dieci di mattina è già affollata la casetta in cui ogni domenica si riunisce la comunità dell’Isolotto per celebrare la sua “messa laica” col pane fatto in casa al posto dell’ostia e le preghiere scritte a mano sui fogli di carta al posto del breviario.

Sempre più determinato sulla medesima linea, il 25 ottobre 2009 il cappellano delle Piagge celebra, in nome della libertà e dell’amore insindacabile, un simulacro di matrimonio fra un uomo e un altro uomo, transessuale. Così si esprime (ancora riferito da Repubblica)  il cappellano alle Piagge, nel giorno dell’evento, che ha luogo dopo ben due anni di insistenza da parte sua, nonostante le diffide dell’Arcivescovo Antonelli prima, e dell’Arcivescovo Betori poi:

«Sandra e Fortunato, così come il sottoscritto, sono consapevoli che, quando l’atto sacramentale di oggi arriverà in diocesi, verrà annullato, ma non sarà annullato per noi, per questa comunità, agli occhi di Dio». Lo ha detto don Alessandro Santoro, prima di impartire la benedizione finale del matrimonio di Sandra Alvino, nata uomo ora donna, e Fortunato Talotta. Santoro ha voluto chiudere la lunga celebrazione con una canzone di Fabrizio De Andrè, «Smisurata preghiera», quasi per fare proprie le parole del cantautore «in direzione ostinata e contraria». Un modo per dire di essere consapevole che anche per lui, quasi certamente, ci saranno delle conseguenze. «Ma io, da sempre, ho obbedito fino in fondo a questa comunità, così come obbedirò – ha aggiunto riferendosi alla curia ed al vescovo Giuseppe Betori – da domani a qualunque cosa sarà decisa». Quindi, rivolgendosi alla sua comunità, ha aggiunto: «non permetterò a nessuno di fare niente che sia in senso contrario a ciò che verrà deciso». Poi, prima di salutare gli sposi ai quali la comunità ha preparato un rinfresco, ha detto: «ora ho bisogno di rimanere da solo».

Il cappellano Don Santoro obbedisce alla comunità, della quale è responsabile religioso? Grave errore di concetto. Dovrebbe, casomai, essere il contrario. Comunque leggiamo qui, sul sito del Gruppo Kairòs, Cristiani omosessuali di Firenze, che la location dell’evento, anche se non entusiasmante, può andare:

(…) La piccola chiesa delle Piagge non ha nulla dell’opulenza delle chiese tradizionali. Nessun affresco, nessun pulpito, nulla di materialmente prezioso.

Solo un crocifisso di legno, poi il resto è tutto un accozzaglia allegra di cartelloni, manifesti e disegni. Tolta l’ostentazione, resta l’essenza della fede praticata. Nessun filtro e le parole di don Santoro, dall’amaro sapore di un saluto, arrivano dirette.

Tutti piangono, anche chi è lì solo per curiosità o di passaggio non riesce a trattenersi.

A leggere Rep.it, non pare vi sia, nella comunità, grande interesse per l’aula sacra e per la liturgia. Per essere pertinenti al tema milaniano che stiamo trattando, don Santoro, nella circostanza, dice che

La Chiesa ha già deciso: «Il matrimonio è nullo – spiega – ha il potere per dichiararlo, ma è una decisione sbagliata» e cita don Lorenzo Milani: «Si è veramente obbedienti solo quando si ha il coraggio della franchezza e dell’accoglienza. E la realtà è che voi siete una coppia di credenti che vive nella chiesa e questo il Dio della vita benedice e accarezza» …

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il para-matrimonio fra un uomo e un transessuale “celebrato” da don Santoro

Massimo rispetto e vicinanza per le persone di Kairòs, ma non sfugge, dopo il lungo excursus attraverso i capitoli precedenti, la tragica distorsione di stampo milaniano, per la quale la pretesa vicinanza ai poveri, agli ultimi e agli scartati si traduce in insegnamenti e in atti ispirati ad un’antropologia ideologicamente distorta e drammaticamente fallace. Tale cattivo magistero è, in prima istanza, evidentemente assai nocivo proprio alle anime e al corpo di quei malcapitati poveri che si dice di voler amare e difendere.

Dopo queste iniziative, l’Arcivescovo Betori giustamente il 1 novembre 2009 rimuove don Santoro dalla guida della comunità, la quale non la prende bene. Ci sono delle proteste davanti all’Arcivescovado, e i manifestanti incontrano Betori di persona. Arriva il sostituto di don Santoro, nella figura mediatrice dell’anziano don Renzo Rossi. Rep.it riferisce che il popolo formula alcune intenzioni di preghiera:

L´assenza di don Alessandro è una croce da portare in spalla fuori e dentro il prefabbricato che segna il confine tra i campi e le case popolari. E´ la prima messa di Renzo Rossi al centro sociale, avamposto missionario di una chiesa con le luci al neon, le seggiole di plastica e i libri del doposcuola intorno. «Nel nome del Padre…» nella stanza sono in 150-200: «Prego perché il vostro dolore diventi speranza» spiega don Renzo, 84 anni, navigatore di tante periferie che qui però tradisce disagio: «Mi trovo in imbarazzo» e promette che chiarirà più avanti perché ha accettato l’incarico. Viene letto un messaggio di Betori e prima una preghiera della comunità di base: «Caro vescovo se sarai così indulgente da togliere a don Santoro la punizione impartitagli, pregherò: pregherò per tutti i preti pedofili che scandalizzano i piccoli delle nostre comunità (…), pregherò per i preti rimasti in silenzio davanti all´ingiustizia subita alle Piagge…». A Rossi rimproverano di non aver incontrato i bambini prima della messa e di non partecipare stasera alla nuova fiaccolata in piazza Duomo.

Preti pedofili?… Dell’outing pedofilo di don Milani nessuno si preoccupa, men che meno si scandalizza. Anzi, oggi egli è addirittura divenuto un “testimone del nuovo umanesimo della Chiesa italiana”. Qualcosa non torna. 

Il congedo di don Santoro avviene nel più classico stile milaniano. Ne riferisce il Corriere Fiorentino:

GRANDE COMMOZIONE – Molta la commozione tra i presenti fra cui rom, immigrati, non credenti. Anche don Santoro si è interrotto più volte nei suoi lunghi interventi. «Vado via perché obbedisco a quello che il vescovo mi chiede anche se non so il motivo preciso per cui obbedisco, ma lo farò – ha detto il prete delle Piagge – Lo farò. Se sono estromesso io, non voglio che venga estromessa la mia realtà, cioè voi». «Preferisco farmi da parte un attimo piuttosto che trascinare 15 anni di storia con voi contro un gigante invincibile», ha aggiunto riferendosi alle gerarchie ecclesiastiche. «Posso ancora celebrare messa ma non ho più un popolo: è di questo che sono stato privato». Don Santoro ancora non sa dove andrà «ma il vescovo mi ha chiesto di andare in una comunità religiosa per rivedere la mia vita e per un periodo di riflessione – dice – Venerdì prossimo lascerò la casa. Il vescovo mi ha detto di fargli proposte, ci parlerò in settimana, poi vedremo quanto durerà l’esilio».

L’ultima messa di don Santoro
 

DON SANTORO E IL VESCOVO – Don Santoro poi, ha raccontato una parte del dialogo fra lui e il vescovo monsignor Betori quando gli ha comunicato di averlo sollevato dall’incarico: «A lui chiesi: sono in un limbo? E il vescovo mi ha risposto: “Bravo, è la risposta, hai detto bene, te sei e rimani in un limbo fin quando non imparerai a non dare scandalo della Chiesa all’opinione pubblica”». «Il problema è – ha proseguito il sacerdote con tono ironico – che non imparerò mai, sicché non so quanto durerà questo limbo». In un altro momento della messa don Santoro, parlando della sua rimozione, ha anche detto di «essere e sentirsi umiliato profondamente, di essere devastato dall’umiliazione». Don Santoro affiderà la casa ad un ragazzo rom di 19 anni, Enrico, da lui definito il futuro «portabandiera delle Piagge».

LASCERA’ TUTTE LE CARICHE – Ha anche ricordato a tutti che dovrà lasciare le sue cariche sociali legate alle iniziative della comunità delle Piagge: i corsi di alfabetizzazione, quelli di recupero scolastico, il prestito dei libri, il microcredito, la cooperativa, le attività per il lavoro. «Coloro che alle Piagge continueranno a lottare e vivere non dovranno farsi fare più del male dalle istituzioni – ha anche detto don Santoro – non dovranno dargli soddisfazioni». «Il mio vescovo, questo sindaco, i sindaci e chi pretende di fare politica – ha detto ancora – mettono all’ultimo posto la cosa più importante: vedere la folla». La messa – don Santoro è stato affiancato da un parroco di Agliana (Pistoia), don Paolo Tofani – a tratti si è distaccata dalla liturgia ufficiale per dare spazio alle riflessioni del sacerdote e ai partecipanti che volevano esprimere loro preghiere. Tra questi anche Sandra Alvino, che ha tentato di interrompere don Santoro mentre stava per pronunciare l’omelia al Vangelo. «Voglio parlare – è intervenuta Alvino – visto che so che pensate che Alessandro se ne deve andare per colpa mia».

Nozze in chiesa per l’ex trans

SANDRA ALVINO – Ma don Santoro e altri l’hanno richiamata; più tardi, prima della comunione, la donna nata uomo ha potuto parlare insieme agli altri: «Io e Alessandro siamo due persone con ideali: io combatto per l’identità di genere, don Alessandro ha fatto qualcosa che rimarrà nella storia». Don Santoro ha anche ricordato che sono 15 anni esatti dal suo arrivo alle Piagge. Ci arrivò, chiedendo di essere destinato ad una realtà di frontiera, l’1 novembre 1994. Ma domenica prossima alle Piagge dirà messa don Renzo Rossi, 84 anni, incaricato di sostituirlo dalla curia. Don Rossi – su cui don Santoro non ha espresso commenti – è, a sua volta, prete degli operai, dei poveri, dei diseredati, non solo a Firenze ma anche in Sudamerica. «Sulla figura di don Rossi non abbiamo nulla da eccepire – ha detto il portavoce della comunità delle Piagge, Cristiano Lucchi – ma secondo noi non doveva accettare di venire al posto di don Santoro. Faremo riunioni per stabilire come rapportarsi con lui, ancora non abbiamo deciso. Di sicuro non useremo la violenza che la curia ha usato verso di noi». Per tutta la giornata è proseguita la raccolta di firme per un appello da inviare alle autorità ecclesiastiche affinché rivedano la decisione di trasferire don Santoro.

Ho riportato questo lungo resoconto, per evidenziare come i moduli della ribellione milaniana, tutt’altro che “obbedientissima”, anzi istituzionalizzata, vengono oggi ri-agiti incessantemente da don Santoro, in una tragica coazione a ripetere. Colui che si sente umiliato è, in realtà, colui che – permettendosi perfino il sarcasmo! – umilia il suo vescovo, col quale dovrebbe, normalmente, essere piuttosto in relazione filiale. Ma, anche oggi come una volta, è chiaro che siamo alla ribellione contro il padre e alla sua eliminazione. La storia si ripete, e ancora una volta, a distanza di cinquant’anni, la Chiesa fiorentina non riesce a far capire a un suo sacerdote e al popolo che egli ha deviato, dove e perché essi sono in errore.

Con una grande differenza: al loro tempo, Dalla Costa e Florit avevano compreso perfettamente dove don Milani stava sbagliando, e logicamente avevano anche provato a spiegarglielo. E’ successo, però, che oltre a non essere don Milani psichicamente in grado di recepire la giusta correzione, il clima che si respirava in quegli anni, nella società e nella Chiesa, era già quello del pervasivo tsunami materialista e modernista che stava avanzando. Ciò accadeva a fronte di una passata tradizione che però la società consumistica che abbiamo visto in azione nel capitolo 7, aveva già sottilmente prima contaminato e poi svuotato. download (2)La comunità cristiana, se non con poche eccezioni, non riusciva già più a trasmettere in modo efficace il senso religioso alle nuove generazioni. Non riusciva più a farlo, evidentemente, perché essa stessa non riusciva a viverlo efficacemente in prima persona. Attorno a Dalla Costa e a Florit, culturalmente, c’era già il vuoto. Quel vuoto nel quale, poi, si sono ritrovati anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Oggi se ne vedono gli effetti. 

E’ ben diverso, oggi, l’approccio di tanta gerarchia cattolica. La quale, spiace dirlo ma non si può tacere, non prova nemmen più a spiegare agli erranti gli errori pastorali e antropologici, bensì, paradossalmente, al contrario, indica il manifesto errante don Milani come modello da portare a esempio a tutto il popolo!… E’ inquietante vedere, ora, persino il Regnante Pontefice coinvolto in questa infausta prassi.

In altre parole, come potrebbe l’Arcivescovo Betori rimettere in carreggiata don Santoro, se egli stesso Pastore della Diocesi persiste a perseguire il modello milaniano, palesemente fallimentare?… Non viene messo in sospetto, l’Arcivescovo, dalla contraddizione oggettiva per la quale sia lui che l’errante don Santoro stanno seguendo il medesimo fallace mito milaniano, trascinando nell’errore tutto un popolo?  Se don Santoro segue don Milani, è evidente che il Vescovo deve trovare un modello alternativo. Se invece anche il Vescovo resta associato all’infausto modello milaniano, e seguita a condividerlo con il ribelle don Santoro, è chiaro che il meccanismo perverso continuerà ad autoalimentarsi indefinitamente, e non ne verremo mai fuori.

Andiamo ora a vedere l’istruttivo epilogo della storia infinita di don Santoro.

Dopo un semestre di ritiro, riflessione e preghiera, don Santoro si pente di quanto ha fatto, promette di comportarsi bene, e l’Arcivescovo Betori lo reinsedia nel suo ministero alle Piagge. Siamo all’aprile del 2010. Questa, già di per sé, credo sia una prassi del tutto inusuale. Non mi risulta che, in qualunque istituzione religiosa o civile che sia, un sottoposto che è stato giustamente trasferito da un incarico per motivi disciplinari, venga poi reinsediato nel medesimo luogo dal quale era stato allontanato. Comunque, a questo punto, accade il prevedibile. Cioè, don Santoro ricomincia a fare quello che faceva prima. D’altronde, l’aveva detto: “non imparerò mai”.

Quindi, nel marzo 2012, leggiamo sul Tirreno che egli dice “Sono un prete e qualcosa mi manca: avere un figlio. Sono per il celibato facoltativo. Avere una propria famiglia non sarebbe una limitazione”.

Nell’ottobre 2012, scrive qui Libero quotidiano.it, il cappellano delle Piagge dà la comunione ai gay, e annuncia un film su Chiesa e omosessuali. Di certo, nel film non ci sarà don Milani. O magari sì?… A questo punto, il don Milani di oggi, pienamente riabilitato dalla Chiesa-gerarchia da lui spregiata, potrebbe far comodo per promuovere la causa omosessuale, che ha più sostenitori di quanto si pensi, anche nell’ambito della stessa Chiesa cattolica, come ben spiega qui una figura che su questo tema spinoso ha fatto diversi studi, il padre Ariel Levi di Gualdo. Ai gay, comunque, il cappellano delle Piagge apre anche i corsi prematrimoniali per fidanzati. 

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il padre Ariel Levi di Gualdo

Nell’ottobre 2015, Firenze Today ci informa che “Don Alessandro Santoro da tempo spera che nella Chiesa venga accolta la comunità lgbt. Cosa che è già stata fatta nella sua parrocchia di Piagge: “Dio vuole che ognuno viva la propria identità liberamente, anche quella sessuale”. 

L’ultima notizia, risalente al marzo 2016, la riporta Rep.it, informandoci che alla lavanda dei piedi del Giovedì Santo, ci sarà all’altare anche una coppia omosessuale, padri di due figlie. Dice Rep.it che è “Freddo il commento della Curia”. Il che è semplicemente stupefacente. Invece di commentare, la Curia avrebbe dovuto agire. E’ infatti particolarmente doloroso che il popolo delle Piagge, oltre a vivere in un contesto sociale svantaggiato rispetto ad altri, debba anche, pur inconsapevolmente, subire la ferita (in questo caso la parola è appropriata) di trovarsi sotto la guida deviata di un pastore soggetto a gravi problemi legati alla psiche, e in preda a pericolose derive ideologiche. Proprio come don Milani. L’Arcivescovo Betori, con la sua inazione, si sta assumendo una responsabilità molto pesante.

Qui accenno a una questione delicata. Ho appena osservato che è ben triste che una comunità-popolo di Dio svantaggiata rispetto ad altre, come quella delle Piagge, vista la condizione di dura periferia in cui si trova oggettivamente a vivere, sia ancor più penalizzata dal fatto di essere stata assegnata a un Pastore inaffidabile. Invece di avere il meglio, dalla sua Chiesa, come vedrei più equo. Vale a dire, quel popolo ha avuto un Pastore che l’ha purtroppo assecondato nelle sconsigliabili tendenze da teologia della liberazione sulle quali presumibilmente esso già insisteva, anziché educarlo alla Dottrina sociale. E questo non va bene. Ma, a ben guardare, la stessa cosa è accaduta, a suo tempo, con lo sfortunato popolo di Barbiana. Trasferendo don Milani da San Donato a Calenzano a Barbiana, Dalla Costa non ha risolto il problema, ma l’ha solo spostato. Lo stesso ha fatto Florit, mantenendo il priore nel suo posto. Dico questo, ovviamente, col massimo rispetto e con inalterata stima per i due grandi Vescovi. La decisione di spostare don Milani, in luogo di revocargli ogni incarico, affinché non potesse far danni da nessuna parte, va certamente contestualizzata all’epoca dei fatti. Oggi, però, mi permetto di osservare che l’Arcivescovo di Firenze farebbe bene a far tesoro di questa dura lezione. 

Pier Luigi Tossani

(fonte lafilosofiadellatav.wordpress.com)