Una piazza del Duomo così deserta non l’ho mai vista, neanche in mezzo alla notte.

Oltre al presidio dei parà della Folgore, vi passa solo una persona. La guardo che mi viene incontro, con passo svelto. Mi allontano, cercando di mantenere quanta più distanza di sicurezza. Non cerco il calore degli uomini, ma il conforto di Dio. Mi avvicino alla cattedrale, speranzoso di potervi accedere per pochi minuti: sento il bisogno di raccoglimento, di silenzio, di pregare dinanzi al Tabernacolo. Ma i portoni sono chiusi. “Forse quelli laterali…” Passo davanti ai parà della Folgore che stanziano davanti alla Cattedrale; uno mi guarda distrattamente. “Non so se ammirarti o compatirti, mio caro Giovanni Drogo” penso tra di me.

Svolto l’angolo, e mi incammino verso l’entrata laterale della Cattedrale. Mi blocco. Anche questa è chiusa. Eppure è l’orario di apertura… Che fare? Mi giro e torno indietro. I parà stavolta mi guardano con più interesse. “E se mi fermassero?” mi chiedo preoccupato. Sono senza autocertificazione, e poi, anche se l’avessi, come potrei spiegar loro che il mio spostamento è “determinato dalla situazione di necessità” (per usare le parole dei nostri burocrati) di pregare davanti al Signore? Mi troverei forse nella stessa situazione di quel magistrato (leggi qui: https://www.maurizioblondet.it/magistrato-fermato-mentre-va-in-chiesa/) bloccato da due agenti della polizia mentre si recava in chiesa? O forse come quel sacerdote di Torre Annunziata, denunciato per aver celebrato un funerale?

Confido nel buon senso dei militari, e così proseguo e passo davanti ai Parà. Li guardo, in cerca di uno sguardo di intesa. Parlano sommessamente tra di loro, ma uno si gira e mi squadra per un istante, poi abbozza un sorriso gentile e si rigira verso i suoi commilitoni.

E allora mi convinco che, se anche mi avessero fermato, mi avrebbero capito. E giustificato.

Perché almeno loro sono rimasti, ubbidienti alla divisa e al giuramento di una volta, a guardia di una chiesa dalle porte oramai sbarrate. Loro non si muovono. Stanno vigili, visibili da tutti e riconoscibili nelle loro divise mimetiche. Non hanno disertato.

E allora penso che allo stesso modo avrei voluto trovare un sacerdote sulla soglia della Cattedrale, che mi incoraggiasse ad entrare per pregare e rendere gloria a Nostro Signore Gesù Cristo. Un sacerdote riconoscibile nella su tonaca nera, che con gesti e parole antiche, mi invitasse ad inginocchiarmi davanti al Tabernacolo. Un sacerdote che pur tra i flutti della tempesta non rimanesse nelle acque tranquille del porto, ma che affrontasse le onde del mare per aiutare il naufrago in difficoltà.

E invece oggi tutto è silente: la chiesa in uscita ha chiuso i battenti. L’odore di pecora è stato rimpiazzato da quello del disinfettante. Le preghiere al Signore sostituite dalle raccomandazioni a seguire i provvedimenti delle autorità civili. L’acquasanta con l’amuchina.

Non voglio riferirmi a singoli sacerdoti, che anzi talvolta si sono dimostrati eroici, usque ad effusionem sanguinis, come ad esempio don Tamanza (che Dio lo abbia in gloria!). Numerosi sono anche quei coraggiosissimi sacerdoti che sfidano quotidianamente i pericoli del contagio, e quelli non meno perniciosi dei divieti civili ed ecclesiastici. Essi si azzardano ad avventurarsi, con il Santissimo, per le vie deserte di città e paesi per benedire e confortare i fedeli, oramai provati. Mirabile testimonianza di una fede millenaria, che ripone fiducia, in primis, nel Signore.

L’impressione generale però, e forse anche più di una impressione, è che la gerarchia ecclesiastica, e con essa una buona parte dei fedeli, non abbia avuto problemi a proibire (e a recepire i divieti) la celebrazione della S. Messa, e poi a chiudere le chiese.

Con disinvoltura si è affrettata ad eseguire i divieti normativi, talvolta addirittura anticipandoli. Con risultati anche imbarazzanti. Come accaduto a Roma, quando il cardinale vicario Angelo De Donatis ha disposto la chiusura di tutte le chiese, ancorchè non prevista nei provvedimenti governativi in vigore ratione temporis. Chiusura poi immediatamente revocata su ordine di un ignaro(?) Papa Francesco.

Si è poi proibita la celebrazione della S. Messa per ragioni sanitarie. Mi chiedo tuttavia: non sarebbe stato più opportuno prevedere invece una moltiplicazione delle messe, in modo da garantire ai fedeli di potervi assistere, con le dovute precauzioni, e in numero limitato e contingentato?

Si è arrivati addirittura a chiudere anche i luoghi più sacri della cristianità, come il Santuario di Lourdes. Non sia mai che qualche fedele (ammesso che qualcuno vi possa andare) si prenda il coronavirus, che poi tocca ricoverarlo e magari disinfettare le piscine… Ma si è mai sentito, come giustamente rilevato dal prof. Roberto de Mattei, che qualcuno si è ammalato a Lourdes?

Ma forse pretendere Fede è pretendere troppo da chi oramai ha ridotto le chiese a pizzeria di quartiere o a circuito di prova per la nuova bicicletta.

Da chi, oramai, intende la chiesa come un ospedale da campo (ma i dottori dove sono?) o, peggio ancora, come una gigantesca multinazionale, che si dedica al filantropismo di facciata, ma in realtà assai attenta al bilancio.

Mi ha colpito un caso da poco avvenuta nella mia Firenze. Una coppia di novelli sposi aveva deciso di sposarsi in una nota chiesa del centro storico. Matrimonio poi saltato proprio a causa dell’epidemia. Il futuro sposo, pare giapponese, richiede allora la restituzione della somma di Euro 400,00 data al parroco per “garantirsi” la celebrazione. Ne viene restituita la metà. Alle proteste del nipponico nubendo per riottenere anche l’altra metà, il parroco insorge e lo apostrofa scandalizzato: “Non ve l’aveva ordinato il medico di prenotare la nostra Chiesa ma liberamente avete scelto e accettato le nostre condizioni “. Ma il peggio deve ancora venire, e il sacerdote, evidentemente esperto wedding planner, rincara la dose: “Si rende conto che sta dicendo delle fesserie? Nessuna struttura (sottolineatura mia – NdA) ha rimborsato il 100%. Ne sono certo. Ma lei si ostina a vedere l’articolo del decreto riferito solo per se. Lei è un grande egoista e anche offensivo. Per 200 euro, si vergogni” (da La Nazione https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/coronavirus-1.5074569).

Ecco quello a cui siamo arrivati.

La chiesa ridotta a struttura turistica, alla pari di una qualsiasi villa o resort da affittarsi per il ricevimento nuziale; un parroco che si inalbera per 200 (ma forse anche per 30…) denari. La chiesa (intesa come edificio di culto) da prenotarsi (con lauto anticipo, mi raccomando!) con tanto di condizioni contrattuali da rispettare. I mercanti del tempio non avrebbero certo oggi sfigurato.

Una chiesa dunque orizzontale, non nel mondo ma del mondo, preoccupata di mostrarsi nella sua missione salvifica, e cioè nella sua essenza, e timorosa di contraddire il pensiero comune. Una chiesa che rifugge dal culto pubblico di Dio, come mirabilmente rilevato dal Prof. De Marco, secondo il quale essa “rivela piuttosto una drammatica paura, anzitutto nel mondo ecclesiastico, della testimonianza della “mater et magistra” come è sempre stata praticata nella tradizione della Chiesa; oltre ad essere mancanza di fede nella preghiera votiva, nelle solenni domande di intercessione” (qui l’articolo: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/03/23/coronavirus-ma-la-chiesa-soffre-anche-il-contagio-della-vuota-retorica/).

Quello che effettivamente emerge, è l’assoluta mancanza di trascendenza, di convinto affidamento con il cuore e con la mente a Dio, affinchè, per l’intercessione della Vergine Maria, di tutti i Santi e le schiere Celesti, ci conceda di ritrovare la pace e di debellare la pestilenza.

E invece il profilo è assolutamente immanente: la cura dei corpi è più opportuna rispetto a quella delle anime. E se un povero Cristo ha la sventura di crepare in questi giorni, magari solo come un cane, che altrettanto solitario se ne vada al cimitero. Nessun conforto religioso, nessuna estrema unzione, nessun funerale.

E allora, non rimane che la preghiera, e la speranza, che se dovessimo essere chiamati in quest’ora, a porre fine al nostro pellegrinaggio terreno, che il Signore ci conceda la forza e la grazia di concluderlo con lo stesso spirito con cui lo concluse Huysmans: “Non mangio e non dormo non faccio che produrre ascessi con accompagnamento di mal di denti senza fine. Ma non sono infelice. Il giorno in cui ho detto ‘fiat’, Dio mi ha dato un’incredibile forza di volontà e una meravigliosa pace della mente. Non voglio essere curato, ma continuare a essere purificato così che Nostra Signora possa portarmi lassù. Il mio sogno sarebbe che Gesù mi portasse con sé come il buon ladrone il giorno di Pasqua ma, ahimè, non ne sono degno”.

Mi trattengo ancora qualche secondo. Soffermo lo sguardo sui portoni della cattedrale, sprangati. Mi faccio il segno della croce e mi allontano. Intorno a me un assordante silenzio. Che il Signore ci perdoni e ci assista, e che sia fatta la Sua volontà.

Ascanio Ruschi