di don Mario Faggi
Era l’anno 1967, tre o quattro giorni dopo la morte di don Milani, e mi trovavo con Mons. Bianchi, allora vescovo ausiliare di Firenze e con altri sacerdoti che con me celebravano il 25° dell’ordinazione sacerdotale, a Roma, in San Pietro, in una Cappella adibita, con tendaggi, a sala di ricevimento, alla presenza di Sua Santità Paolo VI. Ricordo benissimo la scena. Il Papa è appena entrato, Mons. Bianchi gli va incontro e insieme noi sacerdoti. Monsignore gli si mette alla destra e noi d’intorno, io mi trovavo proprio di faccia al Papa.
Le prime parole che Mons. Bianchi rivolse al Papa furono queste: “Santità, ha saputo? È morto don Milani!”
Il Papa a questo annuncio congiunge le mani, alza gli occhi al cielo ed esclama: “Speriamo bene!” con un timbro di voce come se dubitasse della salvezza eterna di quell’anima.
Tutti rimanemmo stupefatti e pensierosi.
Certamente il Papa conosceva don Milani per averne letti gli scritti e perché il Card. Florit, allora arcivescovo di Firenze, gliene aveva parlato, non solo, ma anche raccomandato (come mi ha attestato lo stesso Mons. Bianchi) perché inviasse del denaro a don Milani, già malato di leucemia, per procurarsi le medicine costose che doveva far venire dagli Stati Uniti, non essendoci ancora in Italia tali specialità.
Perché rievoco un tale episodio? Non è forse della pietà cristiana parcere sepulto e abbandonare all’infinita misericordia di Dio chi ormai è nell’altra vita?
È che si prende a pretesto ogni data e ricorrenza, per parlare ed esaltare questo sacerdote e, dispiace dirlo, per presentarlo addirittura… come sacerdote obbedientissimo e santo, quasi canonizzabile, tanto da chiedergli perdono per l’incomprensione delle autorità ecclesiastiche di allora: il Card. Florit, Mons. Giovanni Bianchi, Vicario Generale, il Cardinal Ottaviani, Prefetto del S. Uffizio, che condannò il primo dei libri scritti da don Milani: “Esperienze pastorali”, i Reverendissimi Padri Gesuiti di “Civiltà Cattolica”, che scrissero un articolo di severa condanna del suddetto libro, escludendo, s’intende, dal numero, il Cardinale Elia Dalla Costa, che invece fu proprio quello che rimosse dalla parrocchia di San Donato don Milani, che non voleva andarsene, minacciando perfino di rimuoverlo con il braccio secolare (altro che obbediente!) ed inviandolo nella parrocchia di Barbiana. Fu lo stesso cardinal Dalla Costa che nei decreti inviati al nuovo parroco di San Donato Santacatterina, dopo la visita pastorale, fatta alcuni mesi dopo la partenza di don Milani, prescriveva al parroco queste raccomandazioni: “Usi ogni industria perché sia cancellato il ricordo del recente passato a tutti noto”, e al parroco che si lamentava per l’archivio spogliato e di tante altre difficoltà il cardinale rispondeva: “Ringraziamo il Signore che è andato via ; ricominci tutto da capo.”
Tutto questo è stato detto, scritto e fatto dal Cardinal Elia Dalla Costa e non da altri.
Ma un giudizio ancor più drastico e severo su don Milani lo dette l’allora Patriarca di Venezia Card. Roncalli, il futuro Giovanni XXIII:
Dopo aver preso visione del libro “Esperienze pastorali” e letto la stroncatura di questo libro su “Civiltà Cattolica”, scrivendo il 1 ottobre 1958, al suo amico Mons. Piazzi, Vescovo di Bergamo, così si esprimeva:
“Ha letto, eccellenza, la “Civiltà Cattolica” del 20 settembre, circa il volume “Esperienze Pastorali”? L’autore del libro deve essere un pazzerello scappato dal manicomio. Guai se si incontra con un confratello della sua specie! Ho veduto anche il libro. Cose incredibili!”1
Ho riportato i giudizi di queste tre grandi personalità che lo hanno conosciuto bene… e tutte sfavorevoli.
Da questo ne viene fuori un sacerdote superbo e finto, strafottente e pieno di sé, sboccato fino all’eccesso, pieno di veleni nei confronti di coloro che non la pensavano come lui, persistente nel rancore con chi stimava l’avesse offeso anche se richiesto di riconciliazione, un sacerdote che confessava, prima di morire, di aver “amato i miei ragazzi più di Dio”, non ricordando le parole di Gesù: “Chi ama il padre e la madre, e i figli e le spose e perfino la sua vita più di me, non è degno di me.”
Per screditarlo per sempre basterebbe la trama da lui ordita, insieme a don Bensi e La Pira, per carpire la firma del Cardinale Dalla Costa al suo libro: Esperienze Pastorali.2
Mi dispiace scrivere queste cose di un confratello ormai da tempo defunto; ma si tenta di farne un martire, un mezzo santo che si propone a esempio da alte cattedre e questo va contro la verità e la carità.
L’amore vero, cristiano, ha il suo fondamento nella Verità, senza Verità non c’è amore.
È stato scritto (San Paolo – Efesini, 4-15) “Veritatem facientes in Charitate”.
Questo mio scritto è nato da questo precetto: per ristabilire la verità, e perché ciascuno si senta spinto a pregare per quest’anima affidandola all’infinita misericordia di Dio.
1 Cfr. A.G. Roncalli, “Lettere al Vescovo di Bergamo”, in “Pubblicazione del Seminario di Bergamo – Studi e memorie”, 1973, n. 2., p. 76.2 Cfr. Domenico Magrini, Trame sinistre all’ombra dell’altare, Ed. Civiltà, Brescia.