Tratto da: cronicasdepapafrancisco

Appena ci è giunta la notizia della morte di Eugenio Scalfari, abbiamo sperato — e pregato — che, prima di chiudere definitivamente gli occhi, non abbia seguito la raccomandazione dell’amico papa Francesco di non convertirsi e che abbia chiesto perdono a Dio dei suoi peccati.

È morto alla veneranda età di 98 anni Eugenio Scalfari. È stato il geniale inventore del giornalismo e del giustizialismo politico. Il suo “giornale partito”, il quotidiano la Repubblica, da lui fondato nel 1976, è stato lo strumento con cui ha portato «le istanze del modernismo nichilista della modernità italiana», seminando «l’età dei “nuovi diritti”», e ha «esercitato un potere ideologico di interdizione, di scomunica, di estradizione» (Stefano Fontana)[1] spietato verso coloro che riteneva suoi nemici in quanto non allineati, o di ostacolo, al suo progetto ideologico.

Per questo egli individuò nella Chiesa cattolica il nemico da combattere e d’abbattere, in quanto unico vero intralcio al suo «progetto nichilista e apostatico di sostituire la morale religiosa con la morale illuministica» (Miguel Cuartero Samperi)[2], essendo un orgoglioso figlio della Rivoluzione francese, la seconda rivoluzione anticristiano-cattolica[3].

Il suo fiero ateismo militante lo condusse ad una violenta — talvolta anche volgare — battaglia contro i pontificati di Giovanni Paolo II (1978-2005) e Benedetto XVI (2005-2013), ritenendoli conservatori e reazionari.

L’elezione di papa Francesco invece lo fece esultare di gioia. Fu infatti evidente a tutti da quel “buonasera” del 13 marzo del 2013 che lo “spirito del Vaticano II”[4] non aveva più freni sul suo cammino.

Il papa gesuita e il “pontefice ateo” si sono intesi — e usati[5] — fin da subito, avendo in comune lo stesso obiettivo: cambiare la Chiesa cattolica.

Il filosofo colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) aveva appunto rilevato che «un tempo i nemici, la Chiesa, volevano distruggerla, adesso invece vogliono riformarla»[6]. Una strategia apparentemente vincente dentro e fuori la Chiesa…[7]

Dalle conversazioni che i due hanno avuto nel corso degli anni, emerge chiaramente quale sia il pensiero di Francesco sul cambiamento che la Chiesa, secondo lui, deve necessariamente fare.

È vero che i resoconti pubblicati da Scalfari sono stati spesso (parzialmente) smentiti dalla Sala Stampa della Santa Sede, dal momento che (a volte) sfioravano l’eresia — inoltre è probabile che il “pontefice ateo” sia andato un po’ troppo avanti nel riportare, dato il metodo tipicamente gesuitico di Francesco di fare capire all’interlocutore ciò che vuole sentirsi dire —, ma è palese che il papa gesuita è stato chiaro sul progetto di cambiamento della Chiesa, nonché sulla missione di portarla a compimento che è arciconvinto di aver ricevuto.

Parlando della sua amicizia con Francesco — chissà quanto disinteressata da entrambe le parti… —, Eugenio Scalfari ha raccontato che, dopo avergli chiesto perché secondo lui è un papa che viene guardato con grande interesse, gli è stato risposto: «Questo mi è difficile dirlo. Ma io ho un mandato, un mandato che viene dal Concilio Vaticano II»[8]. Il giornalista allora lo ha incalzato, domandagli se, secondo lui, lo hanno eletto papa proprio per questo motivo. «Loro (i cardinali, ndt) hanno sentito il bisogno  e me lo hanno anche detto  di un papa che abbia come compito, il compito di costruire una “Chiesa moderna”. Perché i fedeli si sono allontanati, molti fedeli si sono allontanati perché la Chiesa è ancora antica nei suoi modi di vivere, nei suoi modi di alimentare la fede dei fedeli. Loro (i fedeli, ndt) hanno bisogno di una “Chiesa moderna” che s’intenda di nuovo con la società. Io vivo con la fede, però io debbo capire, la fede, in quale modo diventa un fatto moderno», è stata la risposta di Francesco[9].

Su ciò non ci sono dubbi che Scalfari ricordi bene le parole di Francesco, poiché fece una confidenza molto simile anche al cardinale Walter Kasper[10].

Questa è propria la tragedia del pontificato di Francesco. Infatti, egli ritiene che la sua elezione a Vescovo di Roma — titolo da lui prediletto[11] — sia l’“avallo” del Cielo al suo progetto di cambiamento della Chiesa.

Nostro Signore invece conferì il primato giurisdizionale a San Pietro non perché attuasse qualche suo progetto o delle (pseudo)riforme, ma per confermare nella Fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22, 32). «Ciò significa che il Romano Pontefice, successore di Pietro, principe degli Apostoli, è il garante per eccellenza della Tradizione della Chiesa. Ma significa anche che in nessun caso, l’oggetto della fede può eccedere quello che ci è dato dalle testimonianze degli Apostoli» (Roberto de Mattei)[12].

Dunque «il Papa nella Chiesa non può fare tutto quello che vuole, perché la fonte del suo potere non è la sua volontà. Il compito del Papa è quello di trasmettere e difendere, attraverso il suo Magistero, la Tradizione della Chiesa»[13].  

Nonostante l’ovvio ed evidente fallimento della rivoluzione (post)conciliare — i “lontani” non si sono affatto avvicinati e molti “vicini” si sono invece allontanati —, papa Francesco crede ancora fortissimamente alle “riforme” teologiche, liturgiche e pastorali che hanno preso il sopravvento da circa 60 anni.

Egli sostiene purtroppo che la difficile situazione odierna della e nella Chiesa sia dovuta al fatto che il Vaticano II non ha ancora attecchito completamente nelle menti e nei cuori prima di tutto dei pastori e poi in quelli dei fedeli[14]. Per questo ha attaccato quei vescovi che, secondo lui, il concilio che «ricordano meglio è quello di Trento». Sono necessari dunque «nuovi vescovi che ricordano che c’è un Concilio alle loro spalle»[15]: ovviamente si riferisce al Vaticano II.

La famosa frase che papa Francesco disse a Eugenio Scalfari al loro primo incontro faccia a faccia — «Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio»[16] — è un’estrema sintesi, secondo noi, del suo pensiero. La cattolicità è finita[17] — o fallita? —, dunque è necessario ricominciare tutto dall’inizio, ponendo la fratellanza umana alla base della nuova evangelizzazione[18], tralasciando sterili questioni dottrinali[19].

«Che cosa accade quando chi governa la Chiesa cessa di custodire e trasmettere la Tradizione, e invece di confermare i suoi fratelli nella fede crea confusione nelle loro menti e provoca amarezza e risentimento nei loro cuori? Quando ciò accade è l’ora di aumentare l’amore per la Chiesa e per il Papa» (Roberto de Mattei)[20]. Poiché «l’amore al Romano Pontefice, alle sue prerogative e ai suoi diritti, ha caratterizzato gli spiriti autenticamente cattolici nel corso di venti secoli di storia», senza però «confondere il Primato Romano con la persona del Papa regnante»[21].

Il Cattolico — con la C maiuscola — infatti sa bene che alcuno potrà mai distruggere la Chiesa, né da fuori né da dentro, essendoci la promessa di indefettibilità fatta da Nostro Signore (cfr. Mt 16, 18), ma è pure a conoscenza che nessuno può designarsi come suo salvatore, essendo già stata santificata dal suo Divin Sposo (cfr. Ef 5, 25-27).

Cristo è Signore e Giudice della storia e di ogni singola anima. Non ha forse chiamato Eugenio Scalfari al giudizio particolare — dimostrandogli che ha avuto torto nel combatterlo e a seguire il consiglio datogli dalla più alta Cattedra di non convertirsi — il 14 luglio, ovvero il giorno in cui si ricorda quella Rivoluzione[22] a cui ha creduto stoltamente durante la sua vita terrena?