Devo, innanzitutto, chieder scusa al direttore Alessandro Gnocchi. Ancora settimane fa, quando uscì la notizia, mi arrivò la proposta: scrivi qualcosa sull’accordo Vaticano-Cina. «Chi altri se non tu?».
Certo, avevo risposto. Un po’ perché la Cina la conosco – e la amo pure. Un po’ perché nelle chiese patriottiche, a Shanghai e a Pechino, sono stato a vedere. Un po’ perché nelle chiese cattoliche distrutte dalla Rivoluzione Culturale – come quella di Sheshan – ho pellegrinato, meditando su quelle vetrate ancora infrante, su quelle navate vuote dove avevo paura di tendere l’orecchio e sentire che le urla dei missionari e dei fedeli trucidati ancora vi son intrappolate.
Così ripresi in mano un paio di libri, Il martirio del XX secolo di Robert Royal; Il libro rosso dei martiri cinesi edito, neanche troppi anni fa, dalle Paoline, quell’editore che oggi pubblica libri per omosessualizzare la Chiesa. I diari di Padre Tian Tiande, 30 anni di Lager (che in Cina si chiamano Láogǎi) in Manciuria. I diari di padre Giovanni Huang, 25 anni di lavori forzati nel nord più glaciale, in una fabbrica dove si suicidarono in più di mille. 30 anni di carcere per Ignazio Kung Pin Mei, vescovo di Shanghai poi creato cardinale da Wojtyla: esce in libertà a 86 anni. Padre Saverio Cai, monsignor Tommaso Zeng Jingmu e monsignor Han Dingxian, 36 anni di Láogǎi. E questi sono quelli che in qualche modo sono sopravvissuti.
I fedeli cinesi sono privati della casa, obbligati a vestire il cappello cilindrico della vergogna come da copione maoista, quindi obbligati a vivere in capanne, mentre le Guardie fanno razzia dei loro averi. Le Chiese vengono saccheggiate o demolite, quelle che rimangono vengono usate sacrilegamente come magazzini. Statue e paramenti sacri vengono dati alle fiamme: talvolta nel rogo ci buttano dentro anche un prete. Si ricordano casi, simili a quelli del Giappone di qualche secolo prima (il fumi-e: il massimo momento di apostasia richiesto dal potere mondano), di fedeli bastonati a morte perché rifiutano di calpestare l’immagine della Madonna.
La Rivoluzione culturale non andava per il sottile: nel 1966 Monsignor Xi Minyuan muore in carcere, arrestato per «rapporti con gli stranieri» e generiche «attività antirivoluzionarie». Nella città di Kaifeng, le Guardie rosse legano Suor Wang Qian e la portano via, quindi la sepelliscono viva.
A Taiyuan, arrestano padre Wang Shiwei. Lo picchiano, lo imprigionano, lo incatenano proibendogli persino di sdraiarsi. Il 15 febbraio 1970, dopo atroci torture, lo fucilano. Il 24 agosto 1966, a Pechino, le Guardie Rosse attaccano la Scuola cattolica del Sacro Cuore per i bambini del corpo diplomatico. Vi sono rimaste le ultime sette suore straniere e consorelle cinesi. Le Guardie ne prendono una e la frustano in faccia sino a che praticamente non le sono strappati gli occhi. Diceva Gertrude Li, i cui diari della persecuzione cominciarono a circolare già negli anni Cinquanta: «Piace a Dio di innaffiare il suo raccolto con il sangue dei martiri. Oh, potessi essere trovato degna del martirio!».
Così, riguardando questa cosa enorme, mi sono ritrovato schiacciato a terra. Ma perché mai dovrei mettermi a scriverne? Se la pretanza attuale ha avuto il coraggio di tradire tutti questi testimoni della Fede, che senso ha anche solo accennarne? E ancora: i fedeli cattolici, più che le gerarchie, come hanno potuto accettare una cosa simile?
Più ripassavo le storie pazzesche e davvero eroiche dei cattolici cinesi – eroiche perché dimostrano come la Fede possa comandare sul proprio sangue, conferendo all’essere umano una dimensione epica oramai cancellata dall’Occidente utilitarista – più capivo che la neochiesa è un essere alieno, totalmente diverso da quello per cui i martiri cinesi hanno dato la vita.
È come per il cavallo e il mulo: entrambi quadrupedi, epperò così diversi, al punto da non potersi incrociare fra loro.
Ma non è né il cavallo né il mulo la bestia giusta per fare una metafora: è la tigre, un animale violento e divoratore, con il quale solo il folle crede di poter negoziare.
CONTRACCEZIONE DEL SEME DEI CRISTIANI Il cardinale Zen Ze-Kiun, vescovo emerito di Hong Kong e principale avversario dell’accordo con Pechino, ha scritto sul New York Times. È, come noto, incazzato nero: usa la parola «comunismo» con più frequenza di Berlusconi nel 1994, rimpiange i tempi di Wojtyla, che conosceva «i comunisti», e il cardinale prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli Jozef Tomko (1985-2002), che «era slovacco, capiva il comunismo ed era saggio» e sapeva che «la Chiesa sotterranea era l’unica chiesa lecita in Cina e la chiesa ufficiale era illegale».
«Papa Francesco, un argentino, non sembra capire i comunisti – dichiara il linguacciuto presule cinese – egli è molto “pastorale” e viene dall’America del Sud, dove i governi storici e militari e i ricchi si sono uniti per opprimere i poveri. E chi sarebbe venuto a difendere i poveri? I comunisti. Forse anche alcuni gesuiti, e il governo chiamerebbe quei comunisti gesuiti».
I gesuiti, già. Tirando in ballo la Compagnia del Gesù pare che il cardinale si lasci scappare qualcosa di più. Ricordate? Su queste colonne avevamo scritto del sogno mostruosamente proibito della Compagnia di Gesù: l’evangelizzazione della Cina. Matteo Ricci, secoli fa, ci provò, trovando anche lui un accordo con il Regno di Mezzo. Ora Bergoglio parrebbe aver realizzato la chimera gesuita…
Di più, non posso non pensare a Silence, il filmone di Hollywood commissionato dai gesuiti a Martin Scorsese, il regista americano che pochi giorni fa è stato pure citato, lui presente, da Bergoglio in udienza. Il pontefice ha citato i suoi film come li avesse visti, e giù applausi, e c’è da chiedersi quali scene di fellatio o di esecuzioni mafiose gli siano piaciute di più.
La pellicola gesuita di Scorsese, tuttavia, è di grande importanza: mostra i gesuiti affrontare le persecuzioni dello Shogun nel XVII secolo; e dopo dolori inenarrabili – che, paradosso assoluto per la sensibilità moderna, un cattolico come me trova edificanti – parte la definitiva apologia dell’apostasia.
Meglio sopravvivere calpestando le immagini sacre (il sommo rito apostàtico del fumi-e, anche detto yefumi), o sputandogli sopra, come ordinavano i giapponesi ai kirishitan, i cattolici cacciati come bestie, che morire testimoniando l’Unica Vera Fede. Alla prima a Roma, i primi 300 spettatori, tutti gesuiti, tripudiaron.
Meglio traditori che martiri. Ecco spiegata a lettere cubitali, persino nelle forme di un film kolossal, tutta l’operazione cinese di questi mesi. Meglio la Chiesa comunista rispetto a quella sotterranea. Meglio la diplomazia del sangue, meglio l’opportunismo del sacrifizio. Niente martiri, niente cristianità. Perché sanguis martyrum, semen christianorum.
Ecco la contraccezione applicata al seme di Dio. Come contraccettiva, perché giocoforza infertile, è la sodomia, il nuovo sacramento che i Sinodi stanno introducendo. Così, ecco delinearsi meglio il pensiero di cosa sia successo: il patto con il Partito Comunista Cinese – quello del figlio unico via aborti forzati, quello dei campi di lavoro per i religiosi, quello degli espianti di organi su prigionieri o dissidenti – non è un caso, un’operazione diplomatica appetitiva. È, al contrario, parte integrante della natura della chiesa moderna.
“DONMILANMEUCCISMO” Riaffiora al pensiero una vecchia lettura, che mi passò Pucci Cipriani quando mi gettò nel pozzo del Forteto, pozzo dal quale non ancora sono uscito. Sapevo che Pucci aveva combattuto i preti rossi, anche i più oscuri, ma quando mi parlò di «donmilanmeuccismo» non sapevo davvero cosa mi stesse dicendo. Mi parlava di un personaggio che non era un prete: era un magistrato. Potente, centrale di tanti snodi. Stranamente invitato nella Cina di Mao.
«Se leggi quello che da laggiù scriveva Meucci – mi disse Pucci – ti parrà quasi il discorso di una spia». Una spia? Per conto di chi? Con quale agenda? La storia pare fantastica, il personaggio storico tuttavia è concretissimo. Così come sono concretissime le conseguenze umane del suo operato.
Gian Paolo Meucci (1919–1986) fu il presidente del Tribunale dei minori di Firenze. Democristiano di ferro, servì con Fanfani e La Pira. A Firenze era stato un ras dell’Azione Cattolica, venendo a contatto con don Milani, il personaggio che sempre più si candida a divenire il simbolo dello sdoganamento della pedofilia ecclesiastica.
Perfino la famosa enciclopedia online, scritta da chissà quale manina, ci dipinge questo quadretto bromance (come si definiscono oggi negli USA le storie di amicizia tra maschi, bros, sempre più borderline omosessuali): «”Gianni”, così lo chiamava don Milani, condivide la sensibilità sul tema dell’uguaglianza sostanziale dei cittadini, come valore fondante della Costituzione italiana. Il rapporto fra i due dà luogo a: “una essenziale integrazione culturale delle profetiche intuizioni milaniane sulle trasformazioni sociali in atto e sulle forme di presenza cristiana”».
Meucci lo si ricorda tuttavia per qualcosa di più disdicevole. Egli è, nella pratica, uno dei più consistenti trait d’union tra don Milani e il Forteto: conoscete la vicenda, è il «lager cattocomunista» pedofilo che più lo si guarda più pare l’abissale centro oscuro di tanta storia italiana.
Nel 1978, quando Carlo Casini (allora nemico del Forteto) fece arrestare i fondatori Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi ottenendo poi nel 1985 condanne per violenza sessuale su minori e maltrattamenti, Meucci, alla guida del tribunale dei minori, non fece un plissé, continuando ad affidare minori alla comunità malgrado fossero già emersi i dettagli dello scandalo.
Ma veniamo alla sindrome democristo-cinese.
IL DEMOCRISTIANO LECCA LA CINA COMUNISTA Il Covile ha scovato qualche anno fa un vecchio libro dimenticato, Incontro con la Cina, uscito nel febbraio 1974 per i tipi della Libreria Editrice Fiorentina. L’autore è proprio Meucci. Egli era stato invitato con altri influenti personaggi a fare un viaggio in Cina poco dopo il ristabilirsi delle relazioni diplomatiche tra Roma e Pechino (1970).
Una prassi ben conosciuta ai tempi del socialismo reale: il Paese comunista invitava frotte di intellettuali e giornalisti occidentali, in un tour tutto spesato dove venivano portati a vedere realtà di cartapesta create appositamente per loro: scuole bellissime, fabbriche perfette, villaggi felici. Molto spesso, raccontava l’ex-KGB Yuri Bezmenov che questi tour li organizzava, gli ospiti venivano debitamente alcolizzati, di modo che passavano l’intera vacanzetta pro-socialista in istato di stupefazione.
Una volta tornati a casa, scribacchini e VIP politici occidentali pubblicavano articoli e financo libri per dire quanto bello è vivere oltrecortina.
Questo è, per l’esattezza, il caso di Meucci in Cina. «La società cinese è piena di vivacità, di allegria, di serenità. In un mese di soggiorno in Cina non si è mai avuta nemmeno la più fugace impressione dell’esistenza di un potere poliziesco imperante» scrive entusiasta il magistrato democristiano.
«Questa è l’impressione ricevuta, ed è per questo che l’esperienza cinese lascia un segno indelebile in ogni visitatore che improvvisamente si trova a vivere in un mondo da lui sognato, in una società di uomini impegnati a liberare gioiosamente l’uomo, sospinti dalla fede nell’uomo».
Già qui, in questo pensiero, uno potrebbe vederci l’aderenza con la realtà attuale cattolica: qualcuno ricorderà, a inizio anno, le lodi dell’arcivescovo argentino Marcelo Sánchez Sorondo. La Cina come modello dottrinario: «in questo momento quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi (…) [essi] cercano il bene comune, subordinano le cose al bene generale».
Ma il pezzo forte dell’agiografia maoista del democristiano Meucci è concentrato nel racconto della Messa a cui partecipò in Cina.
STERMINATE LA MESSA ANTICA «La chiesa di Nam-Dang è il monumento della insipienza di certa pastorale missionaria; peggio, è il monumento della mentalità colonialista che per secoli ha inquinato l’azione missionaria della Chiesa, accettata dai più e contestata da pochi illuminati spiriti. Pensate a una chiesa del tardo barocco della vecchia Roma trapiantata a Pekino, senza la pur minima indulgenza al gusto architettonico locale».
Si tratta della Messa riservata ai diplomatici (ce ne sono, dicono, anche in Corea del Nord e financo in Arabia Saudita), sicuramente supervisionata da chissà quanti occhi dei servizi di sicurezza, dove a dire la Messa – a cavallo della riforma liturgica – era con probabilità un sacerdote che si era fatto decenni di lager.
«Il prete che dice Messa è vecchio, come sono vecchi i sette cinesi presenti. Sembra di rivivere la realtà esistente nelle nostre chiese di una cinquantina di anni fa» chiosa schifato il Meucci (mentre a noi sale su la tristezza: magari!).
Il disprezzo per l’Evangelizzazione, già espresso tante volte da Francesco (come quando disse a Scalfari che il proselitismo è «una solenne sciocchezza») e ancora di più dalla contraccezione del martirio, è palpabile.
«Più tardi sarebbe stata celebrata una Messa per i diplomatici: il prete (…) avrebbe potuto ritrovare il suo vero ruolo, quello di cappellano di un gruppo di stranieri in un paese straniero».
Tuttavia, appare chiaro, a leggere questo testo delirante, che l’oggetto del disprezzo di Meucci sia la messa antica. L’amico di don Milani pare ossessionato dal mancato arrivo della messa di Paolo VI nella Cina della Rivoluzione Culturale, dove fino a pochi mesi prima si registravano casi di cannibalismo.
A Meucci non interessa: è la liturgia antica che lo manda in bestia: «il prete che borbotta la Messa in latino, rivolto verso l’altare, con la solita rincorsa contro il tempo; nessuna omelia; nessuna lettura per i fedeli; un vecchio sagrestano che serve il prete con i gesti di un collega romano, dal sollevamento del camice, al bacio delle ampolle, al borbottio senza senso delle risposte, alle energiche suonate di campanello
Impossibile, per il magistrato, lasciare impunito il pretino tridentino pechinese. «Dopo la Messa, esaudendo il nostro desiderio, parliamo con un prete più giovane, mentre ci viene rifiutato il colloquio col Vescovo: che, ci si dice, abita nel recinto di quella chiesa. Evitiamo accuratamente ogni domanda di sapore politico per non mettere in difficoltà il prete; ma insistiamo su domande relative alla religiosità del popolo cinese, sulle conoscenze in fatto di Concilio, sul perché non ci si apra a forme di culto nelle quali si realizzi una più cosciente partecipazione del popolo. Le risposte sono deludenti. Afferma di sapere ben poco sul Concilio».
La fede, per Meucci, si risolve nel patentino del Concilio. La fede è la distruzione della liturgia della Messa di sempre. La chiesa antica, dice il primo fornitore del Forteto, deve essere sterminata. «Comune tra tutti noi, il giudizio conclusivo: è bene, doveroso diremmo, che una chiesa di questo genere scompaia, se si vuole che l’annunzio evangelico possa raggiungere in un domani il popolo cinese e aprirlo ad un’altra dimensione».
UN UNICO DISEGNO DI DISINTEGRAZIONE La conclusione che voglio trarne è rapida, quanto semplice. Nel vedere i vescovi nominati dal Partito Comunista Cinese (quello degli aborti forzati, degli accusati utilizzati come banche di organi) che scorazzano liberamente per San Pietro, mi sono detto che sì, si tratta definitivamente di una operazione di infiltrazione. Probabilmente, agita persino in Conclave, con Scola bruciato a Shanghai dalla bocca larga del Cardinale Romeo, di cui pure ho scritto qui. No, l’idea che la nomenklatura di Pechino abbia mosso qualche pedina dello scacchiere per ritrovarsi con un Papa «secondo il suo cuore», non è peregrina.
O forse, si tratta di qualcosa di più di sofisticato di una semplice infiltrazione politica e geopolitica. Si tratta forse dell’attuazione di un disegno molto più vasto, che vediamo pienamente incarnata dal caso Meucci.
La chiesa di oggi è modernista, come Meucci e don Milani. La chiesa di oggi è pedofila, come il magistero di don Milani, e come il Forteto difeso da Meucci. La chiesa di oggi è cinese, come lo era Meucci inebriato dal villaggio-vacanze maoista offertogli con successo per turlupinarlo.
Da Martini a McCarrick a Xi Jinping, un unico disegno di de-naturazione, infiltrazione, liquefazione della Chiesa.
Corrotta, perversa, assassina.
Eretica, abominevole, sterminatrice.
Demoniaca, abbietta, sanguinaria.
Modernista, pedofila, cinese.
Nella chiesa attuale codeste dimensioni non sono distinte. Sono scaturigini di un medesimo disegno di maleficio cosmico. Il modernismo, cioè la gnosi che si è impossessata materialmente del Soglio, è una religione satanica. Come tale, deve per sua natura procedere alla disintegrazione della Chiesa di Cristo.
C’è un detto in Cina, un chéngyǔ, ossia un proverbio di soli quattro caratteri.
三人成虎, sān rén chénghǔ. Letteralmente, «tre persone fanno una tigre». I cinesi lo usano per significare come una credenza forte – come la presenza di una tigre in un luogo – divenga possibile anche se assurda, purché vi siano almeno tre persone che ripetano la cosa.
Qui a chiamare la bestia, tuttavia, non abbiamo tre persone, ma due papi, più migliaia di vescovi e cardinali. E non ci parlano di una bestia immaginaria, ma di una creatura che fanno entrare in casa nostra.
Una bestia che, ci pare proprio, è in realtà la Bestia.
fonte: Riscossa Cristiana