Tratto da: Il Talebano
Come sapranno i nostri lettori il nostro think tank si è distinto per la rielaborazione del concetto patria al di fuori degli schemi del nazionalismo otto-novecentesco e in questo lavoro ha interagito con importanti esponenti dell’identitarismo antigiacobino. Questa volta incontriamo il Professor Gennaro De Crescenzo, leader del movimento neoborbonico.
Buongiorno Professor De Crescenzo grazie di aver accettato questa intervista. Lei è il fondatore del movimento neoborbonico vuole spiegare ai nostri lettori che cosa è il neoborbonismo ?
La storia “neoborbonica” inizia nel 1993 come una provocazione culturale (“voi dite che siamo borbonici e arretrati? Parliamone e vediamo perché potremmo anche esserne fieri”). È diventata un movimento culturale strutturato con sedi e simpatizzanti in tutto il Sud e nel resto d’Italia e del mondo, con oltre 250 attività all’anno da oltre 27 anni (pubblicazioni, seminari, mostre, manifestazioni, interventi in difesa di Napoli e del Sud e tanto altro) senza obiettivi monarchici o partitici. Io sono diventato “neoborbonico” durante la mia specializzazione in Archivistica all’Archivio di Stato di Napoli quando leggevo i dati relativi ad esempio alle industrie preunitarie (tante), alle scuole (tante) o alle vittime dell’unificazione (tante). E lì ho scoperto che la storia che mi avevano raccontato nei libri di scuola dalle elementari all’università aveva diverse lacune… Essere neoborbonico, allora, è diventato sinonimo di senso di appartenenza e di orgoglio con il mostro slogan sempre più seguito: Memoria, Orgoglio e poi Riscatto.
La questione meridionale è un tema che da oltre un secolo è stata oggetto di riflessioni di vari intellettuali. La particolarità del movimento neoborbonico è stata quella di sollevare la nascita dei problemi del sud con il cosi detto Risorgimento un tema che sollevò anche Nicola Zitara negli anni settanta. Quanto è importante il revisionismo risorgimentale per capire i problemi odierni?
In questi anni tutto questo è diventato anche un trend storiografico e la base è quella che lei ha giustamente sintetizzato nell’associazione, a proposito di questioni meridionali tra passato e presente. In questo senso penso a diversi storici non accademici che hanno pubblicato libri di grande successo (penso ai saggi di Pino Aprile, Lorenzo Del Boca o Gigi Di Fiore), penso a diversi accademici che hanno avuto il coraggio e la correttezza di fare nuove ricerche confermando molte delle nostre tesi ad esempio smentendo la tesi dell’arretratezza del Sud prima del 1860 (tra gli altri Daniele, Malanima, Fenoaltea, Ciccarelli, De Matteo, Collet, Tanzi o l’ultimo Davis), penso ad altri accademici che per frenare questa “ondata neoborbonica” continuano a negare evidenze ormai acclarate, documentate e diffuse (diversi i convegni sul neoborbonismo puntualmente senza… i neoborbonici).
Tra coloro che hanno da sempre fatto ricerche alternative non possiamo non ricordare il grande Nicola Zitara, punto di riferimento per tutti noi con i suoi libri con la sua tesi centrale (il Sud-colonia) dimostrata con una quantità enorme di dati e documenti. Negli ultimi anni avevamo un ottimo rapporto e, da posizioni certamente “di sinistra”, arrivò ad augurarsi il successo delle istanze borboniche, dimostrando anche in questo caso coraggio e lungimiranza.
Su tutto emerge la tesi delle tesi: la questione meridionale inizia solo nel 1860, prima del 1860 nelle Due Sicilie vantavamo non un paradiso ma un territorio con un suo sviluppo e parametri superiori spesso a quelli del resto dell’Italia se pensiamo a industrie, redditi medi, depositi bancari, pil, alimentazione o crescita demografica (il parametro più semplice ma più efficace per capire lo sviluppo di un territorio). Dopo il 1860 il “brigantaggio”, l’emigrazione (mai conosciuta prima e tuttora in corso) e la cancellazione di storie, radici e tradizioni.
Da allora in poi, senza alcuna soluzione di continuità, un’Italia duale e una, quella del Sud, con la metà dei diritti, dei servizi e delle speranze del resto dell’Italia e dell’Europa. Dai 443 milioni di lire sottratti alle banche delle Due Sicilie è facile (e coerente) arrivare agli 840 miliardi sottratti al Sud negli ultimi 17 anni (Eurispes, 2020) con colpe oggettive delle classi dirigenti nazionali (e locali, loro complici).
Abbiamo subito cosi una cultura omologata che ha impoverito tutte le Italie preunitarie. Pensiamo a quali e a quante ricchezze avrebbe portato in eredità questo Paese se non avesse cancellato le radici e le identità napoletane, siciliane o venete o romane. Qui non si tratta di rivendicare o vendicare nulla e nessuno: si tratta solo di ricostruire alcune verità storiche e raccontarle ai giovani del Sud come del Nord evitando gli eccessi di una retorica risorgimentalista che ha monopolizzato la storia per 150 anni.
La strada, forse, è una: se vogliamo salvare questo Paese dobbiamo ripartire da qui, da nuove classi dirigenti, da nuovi confronti e da un nuovo patto fatto di reciproca conoscenza e rispetto.