Tratto da: FSSPX.it

«IL FINE ULTIMO, LA RAGION D’ESSERE
DI TUTTE LE NOSTRE BATTAGLIE

È LA VITA DI UNIONE A NOSTRO SIGNORE RE. »

Cari membri e cari fedeli della FSSPX,

È per me una vera gioia potermi rivolgere a voi, in questo momento particolarissimo della storia della nostra Fraternità, quale è la celebrazione del giubileo d’oro.

Questo cinquantesimo anniversario della Fraternità sacerdotale San Pio X è anzitutto l’occasione di un vero e profondo ringraziamento. Verso Dio in primo luogo, che non cessa di sostenerci e di colmarci di beni nonostante le prove, e che ci fortifica tramite queste stesse prove: se la croce non è mai mancata in questo mezzo secolo di storia, dobbiamo riconoscervi la prova di una particolare benevolenza della Provvidenza, che permette i mali unicamente in vista dell’edificazione del suo regno e della santificazione dei suoi servitori fedeli. Verso il nostro Fondatore poi, che ci ha saputo trasmettere i tesori più preziosi della Chiesa con la fiamma ardente di una carità intrepida, illuminata da una fede profonda e sostenuta da un’indefettibile speranza nella carità di Dio stesso: credidimus cavitati.

Questo cinquantesimo anniversario ci invita ugualmente a fare il punto sulla nostra situazione attuale: questa fiamma ricevuta dal nostro Fondatore è sempre vivace? Esposta a tutti i venti di una crisi che si prolunga indefinitamente, nella Chiesa come nella società tutta intera, questo preziosa fiaccola non rischia di vacillare e indebolirsi?

Da un lato, le battaglie di ogni tipo, che durano da mezzo secolo, rischiano di stancarci: dobbiamo davvero ancora lottare? Dall’altro lato, dopo mezzo secolo di lotta, la Fraternità San Pio X potrebbe pensare di essersi sistemata in modo confortevole, e di godere di una relativa tranquillità. Una tale sistemazione, una tale tranquillità, non sono esse stesse dei pericoli? Questa fiamma, che dobbiamo trasmettere a nostra volta a coloro che ci seguono, deve forse essere ravvivata?

Non è superfluo esaminare se abbiamo ancora bene in mente la ragion d’essere della nostra Fraternità, se ricerchiamo il suo autentico scopo, facendo buon uso dei mezzi che sono a nostra disposizione per raggiungerlo. Anzi questo è indispensabile, se vogliamo continuare sulla scia di questi primi cinquantanni.

1. La Fraternità deve essere militante?

Le circostanze provvidenziali nelle quali Dio ha voluto far nascere la FSSPX, che sono quelle della crisi terribile in cui la Chiesa è immersa da sessantanni, ci hanno obbligato a occupare una posizione molto particolare in quella che ha preso l’aspetto di ima vera e propria battaglia. Si può dire che essere militante è un po’ una caratteristica della Fraternità: fin dall’inizio, ha dovuto lottare con fede, con coraggio, con perseveranza, contro i nemici della Chiesa. Ma non dobbiamo ingannarci sulla natura profonda di questa battaglia che, se ci pensiamo bene, non ha niente di eccezionale od originale. In effetti è proprio nella natura della Chiesa stessa, in questo mondo, di essere militante. La Fraternità è di Chiesa, dunque è necessariamente militante.

Qual è la nostra battaglia? Fin dall’inizio è stata una battaglia per la preservazione del sacerdozio, e continua ad esserlo anche oggi. E con essa vengono la battaglia per la Messa, la battaglia per la salvaguardia della liturgia. È ugualmente senza dubbio la battaglia per la fede, la battaglia per la difesa della dottrina, tragicamente minacciata perfino a Roma dall’apostasia galoppante del nostro secolo. È infine, quasi a riassumere tutto il resto, la battaglia per il Cristo Re, per il regno di Nostro Signore nelle anime e sulle nazioni.

«NON DOBBIAMO INGANNARCI SULLA VERA NATURA
DELLA NOSTRA BATTAGLIA.»

Ma bisogna capire bene quello che significa… e non fermarsi a metà strada. Qual è la vera portata delle lotte che abbiamo appena enumerato? Qual è la ragion d’essere della battaglia per la Messa e per il sacerdozio, quella della battaglia per la fede, quella della battaglia per il Cristo Re? È quella realtà che è lo scopo stesso di tutta la Chiesa, e la ragion d’essere ultima di tutte le battaglie che sono state combattute durante la sua storia: è la vita spirituale, la vita di unione interiore a Nostro Signore, Re.

La Fraternità deve avere tutto questo ben chiaro in mente: lo sviluppo della vita spirituale nelle nostre anime è l’autentica ragione della sua provvidenziale esistenza. In questo modo essa non fa altro che inserirsi in una battaglia più grande, che la sorpassa, e che è davvero quella di Gesù Cristo e della sua Chiesa da sempre: «Sono venuto perché abbiano la vita, e la abbiano in abbondanza» (Giov. 10,10). Se noi esistiamo in questa grande battaglia, e se lottiamo al nostro posto, è in ultima analisi per unirci a Nostro Signore. È questo il suo regno! E non è un’idea astratta: è un’unione concreta, effettiva ed intima. È una vita!

Mons. Lefebvre insisteva magnificamente su questa idea: «Tutta la nostra Fraternità è al servizio di questo Re: non ne conosce altri, non ha altro pensiero, attività, amore, se non per Lui, per il suo regno, per la sua gloria e il compimento della sua opera redentrice sulla terra[1]. Non abbiamo altro scopo, altra ragione per essere preti, se non far regnare Nostro Signore Gesù Cristo: facendo questo, noi portiamo la vita spirituale alle anime[2]».

Al contrario, se per abitudine o per stanchezza, noi ci indeboliamo in questa battaglia per la vita di unione a Gesù Cristo, non solo saremo allor meno disponibili per la battaglia essenziale, ma perderemo anche di vista la ragion d’essere delle lotte che vogliamo coraggiosamente combattere per la Messa e il sacerdozio, per la dottrina, per il Cristo Re.

2. Che cos’è la vita spirituale?

La vita spirituale non è altro che la vita della nostra anima, per la quale Dio ci ha creati, e che farà la nostra felicità per l’eternità: è la vita eterna che comincia quaggiù. Ora quale definizione ci dà Nostro Signore di questa vita? «La vita eterna è che conoscano Te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Giov. 17,3). La vita spirituale consiste dunque a conoscere Dio, a conoscere Gesù Cristo: la sua Persona, la sua divinità, le sue virtù e la salvezza che ci porta. Conoscerlo per imitarlo, e così arrivare alla salvezza.

Non si tratta della conoscenza puramente speculativa dello studioso o dell’esperto nella teologia della Bibbia. Si tratta di una conoscenza soprannaturale, con la fede e la grazia, di Colui che è «la Via, la Verità e la Vita» (Giov. 14, 6). Una conoscenza che va al fondamento di questa vita per svilupparsi poi, in una profonda intimità con Nostro Signore, in ardente carità: «Credere non è solo dare la propria mente alla verità, è consegnare tutta la propria anima e il proprio essere a colui che la dice… e che è questa verità. Credere è vivere… e questa vita è la Vita stessa: “Credete in me -dice Gesù-, Colui che crede in me ha la vita eterna»[3].

In questo modo, l’anima è sempre più rapita dall’amore di colui che è diventato tutto per lei: più lo conosce, più lo ama; e più lo ama, più avanza nella conoscenza che ha di lui. Fede e carità si alimentano a vicenda, e l’anima è così trasformata da diventare sempre più simile al suo divino modello.

L’anima allora si libera dalle catene che impediscono il suo cammino verso la salvezza. Dal peccato originale, l’uomo decaduto tende a relazionare tutto a se stesso: conosce solo se stesso, si interessa solo a se stesso, vive come ripiegato su se stesso… al punto di dimenticare Dio. Ma quando Dio, con il Battesimo, inaugura nell’uomo la sua opera di salvezza, gli dà questa conoscenza di fede, e lavora con la sua grazia per renderlo simile a Lui, l’uomo comincia a relazionare tutto a Dio: ben presto conosce solo Dio, vive in Lui, incentrato su di Lui… al punto da dimenticare se stesso. Questo è esattamente l’ideale cristiano. Permette di superare tutti gli ostacoli, fino a che Nostro Signore sia davvero la vita di un’anima interamente piena di Lui. È la libertà vera e definitiva realizzata da colui che è la vita eterna.

«NOSTRO SIGNORE VUOLE COMUNICARE SÉ STESSO A TUTTI.

E NOI SIAMO STATI CREATI PROPRIO PER RICEVERLO E VIVERNE. »

Se è vero che in cielo, nella vita eterna, Nostro Signore riempirà completamente la nostra anima, e che allora, per il numero incalcolabile di tutti gli angeli e i santi, sarà veramente tutto; e se è vero che questa vita eterna comincia quaggiù con la vita spirituale, allora non ci si deve stupire che già in questa Nostro Signore voglia già progressivamente prendere tutto il posto.

Certo, noi non vediamo ancora Dio sulla terra, mentre in cielo lo vedremo faccia a faccia: la nostra fede non è una conoscenza assolutamente perfetta di Dio… ma la carità che ci unirà perfettamente a Lui non è diversa da quella con cui lo amiamo già sulla terra. E diventa già tutto per noi quando lo amiamo veramente con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze e con tutta la mente. E questo, fino al dono totale di noi stessi.

Sarebbe un errore credere che questa vita meravigliosa sia accessibile solo a un’élite spirituale. Nostro Signore vuole comunicarsi a tutti. Questa conoscenza sempre più amorosa del Verbo incarnato non è altro che lo sviluppo del dono di intelletto ricevuto da tutti coloro che sono battezzati e cresimati. E noi siamo stati creati proprio per riceverlo e viverne.

3. I mezzi necessari a questa vita spirituale

Ora, come ci viene comunicata questa vita della fede? Con quali mezzi si sviluppa poi in ima vita di carità, per renderci simili al Cristo? Con i sacramenti. Con la Messa. Con questi canali della grazia, che permettono a Nostro Signore Gesù Cristo di incorporarci a Lui.

«PERMETTERE A NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO DI ESSERE IL TUTTO
DELLA NOSTRA VITA SPIRITUALE, DI ESSERE IL PRINCIPIO

DI TUTTI I NOSTRI PENSIERI, DI TUTTE LE NOSTRE PAROLE,
DI TUTTE LE NOSTRE AZIONI. »

Con la grazia, Nostro Signore vive in noi e ci fa vivere in Lui. E più questa grazia cresce, più la nostra vita di intimità con Gesù Cristo occupa tutto lo spazio, in modo che niente ci può più separare da Lui. È la spiritualità del Vangelo. E questo ideale unifica perfettamente la vita del cristiano: poiché è unito alla Persona di Nostro Signore, poiché il Figlio di Dio è l’asse della sua vita, intorno al quale ruotano tutte le sue preoccupazioni e tutti i suoi atti, il cristiano è unificato. Proprio Nostro Signore è il principio della sua unità interiore.

Ecco dunque la nostra battaglia: permettere a Gesù Cristo di essere il tutto della nostra vita spirituale, di essere il principio di tutti i nostri pensieri, di tutte le nostre parole, di tutte le nostre azioni. Ed ecco perché combattiamo per la Messa: perché le nostre anime siano santificate dalla grazia. Ecco perché combattiamo per la fede: perché le anime possano conoscere il loro Salvatore per meglio amarlo e meglio servirlo, ed essere perfettamente unite al loro Re.

È veramente lo spirito della crociata che il nostro Fondatore lanciava nel 1979, in occasione dei suoi cinquant’anni di sacerdozio, appoggiandosi sulla sua lunga esperienza missionaria: «Studiamo un po’ il motivo profondo di questa trasformazione [da pagani a cristiani]: il sacrificio […] dobbiamo fare una crociata basata sul santo Sacrificio della Messa, sul Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo; fondata su questa roccia invincibile e su questa sorgente inesauribile di grazie che è il santo Sacrificio della Messa, per ricreare la Cristianità […] E voi vedrete la civiltà cristiana rifiorire, civiltà che non è per questo mondo, ma che porta alla città cattolica del cielo»[4]. Questa è la nostra crociata: militare spiritualmente, appoggiati sulla Messa, perché la vita di Gesù Cristo sia comunicata alle anime e alla società tutta intera.

Cosa succede, invece, quando cessa questa battaglia per la vita spirituale?

4. L’uomo moderno abbandonato a se stesso e senza riferimenti

Per rispondere a questa domanda, basta volgere il nostro sguardo all’uomo moderno. Siamo colpiti dalla mancanza di unità che ne caratterizza la vita: un tale uomo non sa più chi è, da dove viene, dove va; non ha più riferimenti, non ha un asse portante, è spezzettato, diviso in se stesso. Se la fede non è completamente evacuata dalla sua vita, non è che una parte di essa; non è più la sua vita. L’uomo moderno vuole assolutamente godere di una sfera libera, indipendente, di uno spazio nel quale non debba rendere conto a nessuno, nemmeno a Dio.

Così, per esempio, vediamo la scienza moderna pretendere di potersi affermare senza che la fede la giudichi, spingendo l’audacia fino a giudicare essa stessa la fede. Così vediamo l’educazione e la morale moderne liberarsi da ogni principio, ricercare Uberamente il fine che scelgono, e concludere finalmente

alla disarmonia più caotica. Così si vede la politica laicista bandire assolutamente dalla vita sociale la fede ed il soprannaturale.

«NOSTRO SIGNORE PUÒ ANCORA ESSERE UNA PARTE DELLA VITA
DELL’UOMO MODERNO… NON È PIÙ LA SUA VITA.»

Questi germi di apostasia, con i quali Nostro Signore si trova concretamente evacuato dalla vita degli uomini, questa assenza di principio, portano alla decostruzione e al caos, inevitabilmente, rendono assolutamente impossibile una vita spirituale unificata, semplice, incentrata su Gesù Cristo. È l’insolente e provocatorio affrancarsi dalla regalità sociale del Salvatore. È lo sprezzante rifiuto delle sue regali esigenze sugli individui e sulle società. Nostro Signore è forse ancora una parte della vita dell’uomo moderno… ma non è più la vita, non ha più totale influenza su un tale uomo, non è più il principio di tutta la sua attività… L’unione piena di un tale uomo con Gesù Cristo diventa dunque impossibile.

5. Il cuore della crisi della Chiesa: l’apertura al mondo e al suo spirito

Ora, ciò che rende drammatica oggi la crisi nella quale ci troviamo, è che la Chiesa, da sessantanni in qua, ha scelto di accogliere questo ideale moderno, e di entrare in questa concezione di un imiverso in cui Nostro Signore ha solo un posto relativo. La sua regalità totale non è più riconosciuta, da quando la Chiesa si è fatta araldo della libertà religiosa: riconoscendo alla persona umana una sfera autonoma, un diritto a vivere secondo la sua coscienza individuale, senza costrizioni, la gerarchia ecclesiastica è arrivata a negare in pratica i diritti di Gesù Cristo sulla persona umana.

«È DIVENTATO QUASI IMPOSSIBILE, NELLA CHIESA DI OGGI,
CONOSCERE PIENAMENTE E VERAMENTE NOSTRO SIGNORE,
E VIVERE LA VITA SPIRITUALE CHE NE DERIVA. »

Di fatto, non solo la sua regalità, ma la sua stessa divinità è messa in questione, da quando la Chiesa ha deciso di riconoscere aH’uomo, in nome della sua pretesa dignità, la libertà di scegliere o rifiutare Nostro Signore. In questo modo, gli uomini di Chiesa fanno tacere Nostro Signore che ha detto: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Giov. 14, 6). Fanno mentire san Pietro che proclama: «Non c’è salvezza in nessun altro; perché non c’è sotto il cielo un altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale possiamo essere salvi» (Atti 4, 12).

In conseguenza, senza pregiudizio delle grazie personali che Dio resta libero di dare a ciascuno, è diventato quasi impossibile, nella Chiesa di oggi, conoscere pienamente e veramente Nostro Signore, la sua divinità, la sua regalità e tutti i suoi diritti, la salvezza che ci porta. In pratica è diventato difficilissimo vivere la vita spirituale che ne deriva. Questo fa capire la gravità della crisi in cui ci troviamo immersi! Non sono solo la Messa, i sacramenti, la fede, che sono in pericolo: è, attraverso tutto questo, la vita di unione con Nostro Signore che quei mezzi hanno per scopo di procurare. È il fine stesso della vita cristiana, lo scopo ultimo della vita cristiana che si trova tragicamente compromesso.

Il nostro Fondatore lo constatava con desolazione: «Non trasmettono più Nostro Signore Gesù Cristo ma una religiosità sentimentale, superficiale, carismatica. [… ] Questa nuova religione non è la religione cattolica; essa è sterile, incapace di santificare la società e la famiglia»[5].

6. La spada del Vangelo spuntata

Come ha potuto la Chiesa arrivare a una simile catastrofe? Come è possibile che un tale rovesciamento abbia potuto prodursi, che delle idee simili siano state concepite all’interno della Chiesa, all’opposto della dottrina e della fede di sempre?

La ragione -ahimè- è molto semplice: questa vita spirituale di cui abbiamo parlato è l’oggetto di un combattimento; questo combattimento, che è quello di ogni anima in particolare per estendere il regno di Cristo in se stessa, è anche e innanzitutto quello della Chiesa intera. È un conflitto generale in cui si affrontano la Chiesa e il mondo, e la cui posta in gioco è, precisamente, questa unione dell’anima al Cristo. Ora, questo combattimento è difficile, arduo, permanente: è cominciato daU’inizio, alla Pentecoste, e durerà tanto quanto questo mondo. Dunque, oltre alle difficoltà inerenti a questa lotta, c’è ima difficoltà specifica che è proprio la durata: ebbene! molto semplicemente, ha prevalso la stanchezza. A poco a poco, questo ideale di vita spirituale, con tutte le sue esigenze, si è smorzato. I cristiani, sempre di più, hanno trovato che combattere era troppo duro; hanno esitato nel consegnarsi totalmente alla grazia di Gesù Cristo che fi trasformasse e fi salvasse; non hanno più voluto il suo regno e gli obblighi del suo amore per loro; ne hanno avuto abbastanza di resistere alle seduzioni del mondo, che cospira giorno e notte contro lo stabilirsi di questo regno del Cristo nelle anime; hanno fatto tacere san Paolo che diceva loro: «Non conformatevi al secolo presente» (Rm. 12, 2). Ed infine si sono scoraggiati. Di fronte alle continue aggressioni del mondo, i cristiani hanno purtroppo opposto una colpevole debolezza. Il loro cattolicesimo è diventato timoroso, conciliante e conciliare, liberale e terra terra. Il loro modo di vivere è diventato mondano, n sacrificio, questa caratteristica profonda della vita cristiana autentica, ne è stato bandito.

«PER NONAVERE PIÙ NEMICI SI È PREFERITO RIFIUTARE GESÙ CRISTO
E LAVORARE SENZA DI LUI A UNA PACE SENZA FONDAMENTO. »

7. La Fraternità è totalmente immune?

È un vero pericolo per noi, dopo cinquantanni di crescita, credere che, poiché la Fraternità è oggi ben stabilita, la Tradizione può essere mantenuta con più facilità, più comodamente conservata. E che la vita cristiana sia oggi più facile, meno esigente. Niente è più falso: l’esigenza di una vita spirituale, di una vita interiore, di una vita di unione a Cristo reclama un combattimento quotidiano, un combattimento generoso contro la tentazione seducente di comprometterci con il mondo.

«La nozione di sacrificio è una nozione profondamente cristiana e profondamente cattolica» ricordava Mons. Lefebvre nella sua predica del 1979. «La nostra vita non può fare a meno del sacrificio da quando Nostro Signore Gesù Cristo, Dio stesso, ha voluto prendere un corpo come il nostro e dirci: “Seguitemi. Prendete la vostra croce e seguitemi se volete essere salvati”».

Dopo cinquantanni, esiste il pericolo di lasciarsi prendere da questa lassitudine e da questo scoraggiamento che hanno portato le anime a perdere a poco a poco il senso della vita cristiana, e a non vedere più le ragioni profonde che motivavano i loro sforzi sempre necessari.

È dunque fondamentale che questa vita veramente cristiana rimanga il nostro costante obiettivo, e che facciamo ogni giorno tutto ciò che è in nostro potere, con l’aiuto della grazia, per rendere possibile questa vita di carità con Nostro Signore, per permettere al nostro Salvatore di conquistare la nostra anima, per allontanare da noi tutti gli ostacoli che impediscono lo stabilirsi del suo regno in noi. Il combattimento spirituale, quotidiano, sostenuto dalla speranza cristiana, è indispensabile se vogliamo veramente rimanere fedeli al Cristo. Allora vivrà veramente in noi, e noi saremo per lui come una seconda umanità nella quale potrà liberamente rendere a suo Padre l’onore e la gloria che gli sono dovuti.

«FINCHÉ TALE IDEALE DI VITA SPIRITUALE RESTERÀ PROFONDAMENTE
NOSTRO, LA NOSTRA FEDELTÀ ALLE BATTAGLIE DELLA TRADIZIONE
SARÀ ASSICURATA. »

Se non diamo al nostro combattimento questa dimensione profonda, rischiamo di condurre una lotta puramente astratta: le nostre battaglie dottrinali saranno delle semplici sfide celebrali, speculative, disincarnate. Le idee affronteranno le idee, senza che la nostra vita morale sia illuminata dallo splendore della fede, n nostro combattimento per la Messa diventerà estetico: difenderemo la liturgia tradizionale per il semplice motivo che è più bella, più devota. Cosa certamente vera! Ma non è per questo che la difendiamo: è, più profondamente, perché è il mezzo per eccellenza per far conoscere agli uomini l’amore di Nostro Signore sull’altare; il mezzo per eccellenza di entrare pienamente nello stesso amore e nello stesso sacrificio, con l’adorazione e il dono di sé: ecco la ragione ultima della battaglia per la Messa; ecco il vero significato della parola “Tradizione”!

Finché tale ideale di vita spirituale resterà profondamente nostro, e finché quotidianamente permetteremo alla grazia del Salvatore di trasformarci a somiglianza di Gesù Cristo, la nostra fedeltà alle battaglie della Tradizione sarà assicurata e vivificata. Questo ideale, incarnato in una vita veramente animata da questo spirito, sarà quello che garantirà ai membri e ai fedeli della Fraternità la forza e la vitalità necessarie alla loro costanza nel servire il Cristo Re.

8. Come preparare la vittoria finale?

Quanto tempo durerà questa crisi nella Chiesa? E soprattutto, perché Dio permette che duri ancora? Che cosa si aspetta da noi? Abbiamo detto tutto sulla nocività della nuova messa; abbiamo detto tutto sugli errori della libertà religiosa, deH’ecumenismo etc.; che cosa resta da dire? Che cosa manca perché la Tradizione sia di nuovo in onore nella Chiesa?

Non resta qualcosa di nuovo da dire, speculativamente. Anche se è chiaro che dobbiamo continuare a non tacere nella predicazione della verità e nella denuncia degli errori del concilio Vaticano IL D’altro canto, ci resta ancora qualcosa da dare, concretamente: ecco la battaglia fondamentale. Questa situazione, con le sue difficoltà, esige da ciascuno di noi uno sforzo per offrire a Nostro Signore qualcosa di più estremo, di più radicale, di quanto abbiamo potuto già dargli: si tratta del dono incondizionato di noi stessi.

È proprio questo che ci chiede Nostro Signore, ed è per ottenerlo che permette che questa crisi si prolunghi ancora: nella sua bontà, ci accorda ancora del tempo. Non per stancarci! Non per imborghesirci! Ma per donarci più generosamente, n buon Dio usa questo tempo perché noi possiamo abbandonarci maggiormente alla sua Provvidenza e al suo amore: dopo tutto, poiché questa battaglia è la sua, è a Lui che appartiene l’ora della vittoria! Quanto a noi, restiamo fedeli per tutto il tempo che gli piacerà di metterci alla prova. La crisi è necessaria per provocare negli amici di Nostro Signore una reazione più virtuosa e più eroica agli attacchi dei suoi nemici, per suscitare delle anime che la prova renderà più generose, più offerte, più docili alle conquiste della sua grazia. In una parola: più sante.

Allora si innalzerà, ben viva, la fiamma che vogliamo trasmettere, a nostra volta, a quelli che continueranno domani questa battaglia che è la sua!

«QUESTA SITUAZIONE ESIGE DA CIASCUNO DI NOI UNO SFORZO PER OFFRIRE A NOSTRO SIGNORE QUALCOSA DI PIÙ ESTREMO, DI PIÙ RADICALE, DI QUANTO ABBIAMO POTUTO GIÀ DARGLI.»

2 Conferenza spirituale a Econe, 29 febbraio 1980

È a questa generosità che vi incoraggio. Con la Messa, la ricezione fervente dei sacramenti, soprattutto quello dell’Eucarestia, con lo spirito di sacrificio, con la preghiera, possano crescere nelle nostre anime la conoscenza e l’amore del Verbo incarnato; che la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo ci sostenga nella nostra battaglia spirituale e ci trasformi a sua immagine; che le nostre anime diventino uno con Lui e che, ricondotte a Lui tutte le cose, possiamo dire con san Paolo: «Ho giudicato un discapito tutte le cose, e le stimo come spazzatura per fare acquisto di Cristo, ed essere trovato in lui, con la giustizia che vien dalla fede di Cristo Gesù: al fine di conoscer lui, e l’efficacia della sua risurrezione, e la partecipazione dei suoi patimenti, conformatomi alla morte di lui» (Cf. Fìl. 3, 8-10).

Queste poche parole di san Paolo riassumono bene tutto ciò che Mons. Lefebvre ci ha trasmesso di più prezioso: «Lo spirito profondo ed immutabile del sacerdozio cattolico e dello spirito cristiano legato essenzialmente alla grande preghiera di Nostro Signore che il suo sacrificio della Croce esprime eternamente»6.

È tutto ciò che vi auguro, perché niente altro ha una vera importanza.

Dio vi benedica!

Menzingen, Festa di Tutti i Santi 2020 Don Davide Pagliarani, Superiore generale


[1] Cor unum, Lettera ai membri della Fraternità, Natale 1977

  • Dom Guillerand, Au seuil de l’cdrìme de Dieu, Parole et Silence, p. 60

[3]

[4] Cf. Omelia, Porte de Versailles, 23 settembre 1979

Le giustificazioni dottrinali sono allora venute a confermare questo rammollimento e questa lassitudine: «Mai più la guerra!». E ci si è messi a credere a una pace mondana, all’armonia universale tra tutti i credenti, a questa chimera di un cattolicesimo riconciliato con il mondo. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace – aveva detto Gesù Cristo – non come la dà il mondo io la do a voi» (Giov. 14, 27); ma per non avere più nemici si è preferito rifiutare questa offerta e lavorare senza di Lui a una pace senza fondamento. Poco importa se questo gli spiace: è più facile, meno esigente e più comodo piacere al mondo.

Dato che l’ideale cristiano defi’unione al Cristo è così sempre meno possibile da vivere, in una Chiesa sfigurata che l’abbandona e lo ignora sempre più, è capitale comprendere che è a una tale altezza che la Fraternità, oggi come ieri, ha il dovere di combattere, a qualsiasi costo.

Ora, questo pericolo di abbandonare Nostro Signore per conformarsi al mondo è sempre esistito: dall’orto degli Ulivi, i più fedeli amici del Salvatore si sono sempre trovati confrontati a tale prova. Questo combattimento per la fedeltà è una missione quotidiana. Si può dire che la Fraternità abbia mantenuto questa fedeltà?