Tratto da Stilum Curiae

Di Marco Tosatti

I dati messi a disposizione dal Ministero dell’Interno, in particolare dall’organismo che in esso ha il compito di monitorare gli hate crime fanno escludere che ci si trovi di fronte a un fenomeno sociologicamente rilevante. L’esame altrettanto obiettivo delle norme contenute nel t.u. Zan fa invece intravvedere, al di là delle intenzioni dei promotori, il rischio di un effetto liberticida derivante dalla loro eventuale introduzione nell’ordinamento.

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Sarebbe gravemente discriminatorio nei confronti delle persone omosessuali ritenere non applicabile nei loro confronti una o più di tali disposizioni a causa del loro orientamento sessuale: ma nell’ordinamento non vi è nulla di tutto questo. Una tutela rafforzata nei loro confronti sarebbe però egualmente discriminatoria verso le persone eterosessuali, o comunque verso soggetti il cui orientamento sessuale non sia in alcun modo emerso nella vicenda concreta oggetto di giudizio. Se, per es., fosse penalmente sanzionata soltanto l’ingiuria contro persone omosessuali, ciò costituirebbe una violazione del principio di uguaglianza in danno delle persone eterosessuali, poiché – si ha disagio nel sottolineare un dato così elementare – la dignità personale è lesa dall’ingiuria allo stesso modo per un omosessuale e per un etero- sessuale, e quindi integrerebbe una discriminazione per il secondo.

Uno screening appare tuttavia essere stato operato per identificare, nell’ambito delle segnalazioni, quelle che appaiono propriamente hate crime hate speech: esse sono in totale 1512. 897 (59.3%) hanno come matrice la razza o l’etnia, 286 (18.9%) la religione, 118 (7.8%) la disabilità, 197 (13%) l’orientamento sessuale, 15 (1%) l’identità di genere. Dunque, in otto anni l’insieme di presunte – è lecito adoperare questo aggettivo, poiché il riferi- mento è, lo si ripete, a segnalazioni e non a condanne definitive – condotte illecite con intenti di discriminazioni per ragioni di orientamento sessuale o di identità di genere sono 212: 26.5 segnalazioni all’anno. Si potrà convenire che non appare un numero da emergenza.

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Quanto fin qui sintetizzato fa escludere che nella materia di cui ci si occupa vi sia un vuoto normativo, o che vi sia una impellente esigenza di nuove disposizioni. Il dibattito alla Camera non ha chiarito su quali elementi si fondi l’affermazione, contenuta nella relazione alla originaria proposta di legge presentata dall’on. Zan e altri, di “una vera e propria escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, anzi di azioni di violenza inaudita”.

La ricerca sui numeri dei reati non è mai stata semplice, a fronte di nessun fenomeno criminoso, ma in questo caso alla enunciazione dell’escalation non viene fatta seguire l’indicazione di dati a supporto. Non è una operazione particolarmente avvincente, ma non c’è altro modo per capire se si è davvero dinanzi a una diffusione di comportamenti di dimensioni tali da essere in- quadrata come fenomeno emergenziale. Scorrendo le relazioni che accompagnano le cinque iniziali proposte di legge, le perplessità aumentano perché quelle che forniscono i numeri, li riferiscono principalmente alle donne (come nella p.d.l. Boldrini); quando sono relativi a persone LGBTI i dati attengono alle “minacce” o alle “aggressioni fisiche” (sempre p.d.l. Boldrini), ovve- ro alle “lesioni, violenze private, atti di bullismo, stalking, omicidi “(p.d.l. Perantoni). Si è visto come siano atti e comportamenti che già cadono sotto la scure della sanzione penale: peraltro neppure tra le più lievi, trattandosi di delitti per una parte dei quali è consentita l’applicazione di misure cautelari personali, e la con- cessione di qualsivoglia beneficio in sede di esecuzione della pena è fortemente limitata.

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