Tratto da Europa Cristiana

di Cristina Siccardi

Dal 2 luglio al 18 settembre di quest’anno il celebre Santuario di Oropa ha dato l’autorizzazione all’allestimento di una Mostra orrenda, una vera e propria Mostra mostruosa, una personale di Daniele Basso, dal titolo Le pieghe dell’anima, con il sottotitolo «… le pieghe, come cicatrici, riflettono la vita che ci attraversa, alla ricerca di noi stessi…”, a cura di Irene Finiguerra. Tale evento sta riscuotendo una forte avversione e molte aspre critiche, sia da parte dei fedeli che degli stessi critici dell’arte, come ha fatto Vittorio Sgarbi, il quale ha dichiarato: «Quella roba è di una bruttezza mai vista. E quello che è peggio, è stata violata la sacralità di un luogo sacro»[1]. Inoltre, la «sistemi a casa sua e non rompa le scatole a un sacro monte e a dio. È un aspetto insopportabile. Anzi, non è tollerabile. Avviserò di questo scempio il ministro e anche il presidente regionale Cirio affinché quelle installazioni siano tolte». Un laico come Sgarbi si indigna di fronte ad un’iniziativa simile e le autorità religiose non muovono un dito? Sembra di vivere un incubo.

Una sorta di Belfagor d’acciaio, chiamato «Boogyeman», che di sera viene illuminato di rosso, “accoglie” il pellegrino e visitatore già nel piazzale d’ingresso del Santuario, a pochi metri dall’antica chiesa, dove è custodita la mariana statua lignea eusebiana. È la prima delle 9 squallide sculture. Si tratta di “opere”, che preferiamo chiamare prodotti, in acciaio; prodotti che sono stati collocati lì per «dialogare con gli spazi del Santuario di Oropa», dice la Finiguerra, dunque, una vera e propria profanazione. Questa “trovata” ha lo scopo di creare «un corto circuito visivo e mentale che ci porta a riflettere, a pensare in un gioco di rimbalzo fra l’opera e lo spazio in cui viene collocata. Sono opere che per la loro dimensione, talora anche alquanto impegnativa, sono indice di un coraggio del fare dell’artista». È vero, ci vuole un bel coraggio a fare e presentare prodotti così brutti e glaciali e, soprattutto, porli in un cotesto sacro, dalla tradizione religiosa plurimillenaria. Il coraggio più grande, però, è del rettore del Santuario, il vero responsabile di tale delirio.

Sul sito ufficiale del Santuario la Mostra viene ampiamente sponsorizzata e proposta come possibilità di «Leggere il senso religioso dentro di noi» (Santuario di Oropa) con un commento di Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di Teologia fondamentale Pontificia Università della Santa Croce di Roma, il quale, con artifizi lessicali ed elucubrazioni sganciate dal reale, cercano di trasportare la mente da oggetti mercificati alle meraviglie di un Santuario che racchiude i Tabernacoli di Nostro Signore vivo e giudicante delle due basiliche, inferiore e superiore, e dei tesori visibili e invisibili di Nostra Signora.

La maggior parte delle persone sane di mente che arrivano alla gemma sacra di Oropa rimangono impressionate di fronte alla gigantesca figura dall’aspetto malefico, «se non addirittura “satanico”» come ha riportato il periodico «La Provincia di Biella», giornale che ha intervistato il rettore del Santuario, il quale, facendo rimanere basiti e confusi la maggior parte dei fedeli, ha affermato:

«Ci tengo a precisare innanzitutto che non c’è alcuna volontà provocatoria. Qualcuno può aver detto o pensato che sia stato fatto per far parlare, ma non è così: Oropa non ne ha bisogno. L’idea è invece quella di accogliere una mostra che indica un percorso condivisibile. È molto importante che ci sia una reazione, che le opere colpiscano o lascino stupiti, ben venga, laddove questo apre alla curiosità e all’interesse e consente di scoprire che si tratta appunto di un percorso che si sviluppa all’interno di tutto il Santuario, non di un’opera messa lì a caso e fine a se stessa».

Il percorso può essere condiviso soltanto da chi ha un gusto dell’horror della vita e diabolicamente lo propone agli altri, addirittura in un sito come questo, sacro e profondamente devozionale. Se Cristo cacciò i mercanti e profanatori dal Tempio di Gerusalemme, non dovrebbero i Suoi ministri fare altrettanto per un simile scempio?

Alla domanda del giornalista:

«Però ammetterà che Boogyeman, questo il nome dell’opera discussa, è effettivamente inquietante… L’impatto è molto forte. Perché è stata posizionata proprio all’ingresso, quasi ad accogliere i visitatori?»

Il rettore ha così dichiarato:

«Sì, è inquietante, non potrebbe essere altrimenti dato che simboleggia la paura, il terrore, lo spavento. È all’inizio del percorso per questo, perché rappresenta le angosce e i tormenti del nostro tempo, dalla pandemia alla guerra, e quelle che ognuno di noi si porta dietro proprio arrivando a Oropa. Paure delle quali simbolicamente ci si libera proprio nel cammino che ci avvicina alla Madonna, alla speranza e al coraggio che vengono rappresentati alla fine dalla scultura di Icaro».

A suo stesso dire non si tratta di una mostra religiosa, bensì di una mostra di arte profana, laica e contemporanea. Cosa c’entra, allora, tutto ciò in un contesto simile? Ebbene, con metodo relativista, contrario alla ragione e alla fede, sostiene che questa proposta «non è distante da una tradizione artistica tipica anche della Chiesa», in quanto: «Tutte le cattedrali medievali europee presentano le stesse simbologie, all’entrata e nei capitelli sono piene di mostri. Per la stessa identica ragione: in quei luoghi sacri, così come a Oropa, viene vinta la paura, il divino ce ne libera proprio perché entriamo in uno spazio abitato da Dio. Il male non va rimosso, ma guardato in faccia e affrontato».

L’impatto della mostra mostruosa di Oropa è devastante. Nei progetti gotici del Medioevo gargoyle, creature mostruose e figure demoniache venivano collocate con ben altri modi e con ben altre intenzioni: li ritroviamo, in maniera assolutamente armonica, soprattutto sulle mura esterne dei luoghi sacri, obbligate, dunque, a starsene appollaiate con una funzione molte volte precisa: la gargolla o garguglia è, infatti, la parte terminale dello scarico dei canali di gronda, onde evitare le infiltrazioni d’acqua all’interno delle mura. Nella simbologia medioevale queste proporzionate figure, non giganti, brutte ma di alta e nobile fattura, non dovevano incutere spavento aspirituale, bensì un santo timore. Esse erano parte integrante delle cattedrali, delle abbazie e delle chiese in quanto il male è sì nella realtà terrena, ma non rimandava né a pestilenze, né a carestie, né a guerre, bensì alle tentazioni e al peccato mortale, perché è il peccato il massimo orrore per l’uomo, non altro, in quanto lo allontana da Dio e lo conduce alla dannazione eterna. È il peccato l’unico responsabile della distanza che separa la creatura al Creatore, nessun evento terreno, per terribile che sia, può intromettersi nel rapporto fra Dio e l’individuo.  È il peccato mortale a trascinare le anime all’Inferno, nient’altro. Ma del peccato e dell’Inferno non ci sono tracce, neanche subliminali, nella replica di don Michele Berchi alla valanga di critiche, anche sui Social, che ha ricevuto.

Alle giuste e doverose critiche a questa Mostra si aggiungono ora anche quelle che sono emerse dalle sue spiegazioni irragionevoli: «per comprendere è necessario non fermarsi al primo impatto, ma avere l’umiltà di lasciarsi introdurre. Oltretutto non parliamo di arte astratta, ma figurativa, con immagini di persone, animali, ali… Insomma, più facile da capire, anche se magari non immediata. D’altro canto non è immediata nemmeno l’immagine della croce. Provi a pensare a una persona che non ha mai sentito parlare del Cristianesimo e che entra per la prima volta in una chiesa. Che impatto avrebbe su di lei la visione di un uomo inchiodato su dei pali di tortura? Molto probabilmente farebbe fatica a credere che si tratti di un luogo e di un simbolo sacri. Bisognerebbe spiegarle la storia di Gesù Cristo». Come è possibile affermare cose di questo genere?

Tutte le chiese, da quelle più piccole a quelle più maestose e monumentali, erano decorate dagli artisti su indicazione dottrinale e teologica dei committenti religiosi; perciò le figure e scene rappresentate spiegavano, proprio attraverso l’Arte Sacra, la storie della Sacra Scrittura, di Cristo, di Maria Vergine, dei Martiri, dei Santi. Le mura di questi sacri luoghi diventavano le pagine, in pietra dipinta, della Biblia pauperum, ovvero la Bibbia dei poveri, degli analfabeti. Questa era la catechesi per tutti, anche dei pagani e degli atei. La “scuola catechetica” di Daniele Basso sporca il Santuario di Oropa, anche con il suo bruttissimo e storto CristoRitorto Bleu, posizionato davanti all’antica statua della Madonna di Oropa, portata su questa montagna dal primo Vescovo evangelizzatore del Piemonte, sant’Eusebio.

Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese, si convertì, seduta stante, la viglia di Natale del 1886: gli bastò entrare nella Cattedrale di Notre Dame e registrò quell’evento, che cambiò di punto in bianco tutta la sua vita, in pagine autobiografiche di una bellezza unica. Fosse capitato al Santuario di Oropa, con le «pieghe dell’anima» del suo rettore Berchi e della merce di Basso, la conversione non sarebbe arrivata, anzi, chissà cosa avrebbe pensato e scritto in merito e della stessa Chiesa, che fa sue queste cose… oggi, comunque, le conversioni non sono più oggetto di attenzione per buona parte dei pastori, soggiogati dal mito interreligioso, quello che entra in sintonia con gli artisti del macabro, profanando luoghi celesti, scandalizzando le anime e lanciando messaggi anticristiani.

[1] https://www.lastampa.it/biella/2022/07/09/news/lira_di_sgarbi_sulla_mostra_di_oropaviolata_la_sacralita_del_santuario-5434113/