di Pier Luigi Tossani e Pucci Cipriani (*)
Una lettera aperta per chiedere la verità sul parroco di Barbiana nel centenario della nascita
Nell’ imminente centenario della nascita di don Lorenzo Milani, che ricorrerà il 27 maggio prossimo e per il quale è stata organizzata una nutrita serie di manifestazioni, incontri, giornate di ricordo e di studio, che si protrarranno fino a maggio 2024, è stato istituito un Comitato nazionale la cui presidenza è stata affidata all’on.le Rosy Bindi, e del quale fanno parte numerose istituzioni laiche e religiose: la Fondazione Don Lorenzo Milani, l’Istituzione culturale “Centro documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana”, l’Associazione di Volontariato “Gruppo don Lorenzo Milani di Calenzano”, l’Arcidiocesi di Firenze, la Conferenza Episcopale Italiana, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, la Regione Toscana, i Comuni di Firenze, Vicchio, Calenzano e Montespertoli. Infine, del Comitato nazionale fa parte anche la Presidenza della Repubblica, che ha concesso il suo alto patronato. E’ stata anche data notizia che lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà presente a Barbiana il 27 maggio.
In realtà, nonostante don Lorenzo Milani abbia ricevuto numerosi riconoscimenti istituzionali, inesorabilmente crescenti col passare dei decenni, il suo pensiero, la sua lezione, i suoi atti sono sempre stati caratterizzati da assai rilevanti criticità. Noi, da toscani, e quindi prossimi all’origine della questione, abbiamo dunque deciso di indirizzare una lettera aperta alle suddette Istituzioni nell’imminenza dell’evento. La missiva porta il titolo “Circa le imminenti iniziative di commemorazione del priore di Barbiana, raccomandiamo la ricerca della verità”.
Nel fare questo ci siamo serviti di un testo di riferimento, nel quale diamo la parola ad alcuni testimoni che lo conobbero personalmente, e anche ad altre voci. Tale testo di riferimento è il dossier in undici capitoli che accompagnava la “supplica”, che Pier Luigi Tossani – integrando le testimonianze fornitegli da Giuseppe Cipriani, senza le quali il dossier non avrebbe potuto essere completato nella sua interezza – volle rivolgere il 14 giugno 2017 a Papa Francesco e a tre Cardinali, nell’imminenza della visita del Pontefice a Barbiana, per metterli in guardia sui pericolosi contenuti della lezione del priore. Dossier e “supplica” sono tuttora leggibili online, sul blog La filosofia della TAV.
La posta in gioco è di estrema importanza poiché, come si diceva, nel tempo il pensiero milaniano è divenuto ormai un paradigma non solo italiano, ma in certo modo anche internazionale, per fare non solo pastorale ecclesiale ma anche educazione in senso lato, fare scuola e, infine, anche di trattare i temi del lavoro e della politica.
Per entrare nello specifico delle criticità milaniane, dobbiamo entrare in dettaglio. Procediamo dunque per punti, accennando sinteticamente in questa sede solo a quelli principali, e rimandando, per ogni necessario approfondimento, ai testi della lettera aperta e, più estesamente, del dossier.
1. Obbediente?… no, ribelle
Don Milani, lungi dall’essere quel “ribelle obbediente” alla Chiesa, come viene correntemente definito, si posizionava invece in uno stato di permanente ribellione verso di essa.
“Il secondo Vescovo di don Milani, il Card. Ermenegildo Florit, sa valutare correttamente il temperamento del suo prete, nonché la cifra del suo lavoro pastorale e ha la carità di scriverglielo con garbo, ma anche con franchezza e fermezza”. Florit è misericordioso davanti al temperamento costantemente polemico di don Milani. Ne esce quindi un don Milani, secondo Florit, che glielo scrive personalmente, “assolutista”, che fa una pastorale ispirata alla “lotta di classe”, caratterizzato da uno “zelo fustigatore” che lo fa apparire «dominatore delle coscienze prima ancora che padre». Don Milani pretende da Florit che il suo lavoro a San Donato a Calenzano e a Barbiana sia «solennemente e pubblicamente onorato», ma è fuori dalla realtà. Il priore non è quindi in grado di recepire la correzione del vescovo.
Dal libro di Mario Lancisi “Processo all’obbedienza: la vera storia di don Milani” (Laterza, 2016), si evince che il priore, già gravemente malato, se ne sfoga per lettera con uno dei suoi ragazzi, Francuccio Gesualdi. Al quale il 30 gennaio 1966 scrive che la risposta di Florit consiste in «tre pagine di crudeltà di falsità di ingiurie», e che non gli era mai stata data una parrocchia perché
«…manco di carità pastorale, sono classista, sferzante, credo di prendere la gente con l’aceto, invece ci vuole il miele, ecc. ecc. Ci ho sofferto per qualche ora, poi mi è passata perché lui (il Cardinale Florit, ndr) è un deficiente indemoniato (basti pensare la scelta del momento!) mi accusa ora che sono fuori combattimento di cose che se avesse creduto vere aveva il dovere di dirmi quando ero giovane e potevo correggermi. Pensa che è il primo rimprovero che ricevo dai ‘superiori’ in 19 anni di sacerdozio». (pag. 103)
Per il priore di Barbiana il suo Vescovo è dunque “un deficiente indemoniato”, che gli scrive una lettera piena “di crudeltà di falsità di ingiurie”. Questo è.
Dopo la valutazione di Florit circa il lavoro pastorale di don Milani, rimandiamo al dossier per vedere l’opinione del primo superiore di don Milani, il Venerabile Cardinale Arcivescovo Elia Dalla Costa. Al capitolo 10 riferiamo anche del parere di Angelo Giuseppe Roncalli, che all’epoca è patriarca di Venezia, e sarà poi il pontefice Giovanni XXIII. Nonché accenniamo alla severa critica del celebre testo milaniano “Esperienze pastorali” da parte de “La Civiltà Cattolica”, stampata con l’assenso del papa, che a quella data è Pio XII.
2. Il progetto educativo milaniano – Lettera “da” una professoressa
L’insieme degli aspetti problematici del priore ha ovviamente influenzato il suo progetto educativo, attribuendo ad esso un carattere ideologico e classista, che ne ha pregiudicato gravemente il livello nella qualità e nei contenuti. Ciò si è risolto in un danno, paradossalmente proprio nei confronti di quei poveri e di quegli ultimi che egli diceva di aver a cuore e voler aiutare, vale a dire in prima istanza i suoi allievi. Secondariamente verso tutti coloro, docenti e discenti, che si sono ispirati al suo esempio educativo. Si evince infatti dal dossier, che tutta la scuola italiana è stata largamente contaminata in modo negativo dal portato milaniano, che come si sa ha avuto moltissimi estimatori e seguaci.
Svolgiamo questo tema, in prima istanza, con l’ausilio della relazione della prof. Michela Piovesan, che cinquanta anni dopo la famosa Lettera a una professoressa risponde al priore di Barbiana. Seguono poi altri interventi, a firma della prof. Cesarina Dolfi, di Roberto Berardi e di Maurizio Grassini. I testi degli interventi sono tratti dalla rivista web fiorentina di cultura Il Covile, diretta da Stefano Borselli, che nella circostanza ringraziamo.
3. “Pacifista”, ma non operatore di pace
Il priore si dichiara “pacifista”, ma non è operatore di pace. Si veda, ad esempio, quando egli scrive nella Lettera ai cappellani militari toscani:
«…E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto».
Il che ci fa dedurre che il pacifismo del priore sia di matrice ideologica, strumentale alla lotta di classe. Don Milani, in effetti, dice che
«Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente…» però già agli albori del suo ministero, nell’ormai lontano 1950, quando era vice parroco a San Donato a Calenzano egli scriveva nella famosa Lettera a Pipetta:
«Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione. Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione».
Le due posizioni milaniane, quella disarmata e quella armata, vanno dunque fatalmente a confliggere.
4. Cuore di tenebra
Andiamo ora a verificare in questo importante capitolo se le valutazioni di Dalla Costa e Florit su don Milani erano giuste. E’ un servizio che rendiamo molto volentieri a questi due grandi della Chiesa fiorentina. Dopotutto capire don Milani è abbastanza semplice, potendo accedere direttamente al suo pensiero tramite i suoi numerosi scritti.
Rileviamo dunque che in alcuni suoi testi il priore di Barbiana si rivela un sostenitore della violenza rivoluzionaria. Egli infatti scrive nell’altrettanto famosa Lettera a Gianni, che porta la data del 30 marzo 1956:
«Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti. Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell’arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti».
Dunque la sentenza che giustifica l’ecatombe classista è già stata stesa. Poi leggiamo che
«Se quel Giudice quel giorno griderà «Via da me nel fuoco eterno» per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica? E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà riconoscere l’aggravante della provocazione? A quale dei due l’attenuante dell’estrema ignoranza? D’una ignoranza così grave da non esser neanche più uomini. Neanche forse più soggetti d’una qualsiasi responsabilità interiore».
Nella visione milaniana, gli sterminatori di classe hanno dunque diritto all’attenuante specifica dell’”estrema ignoranza”, che li esimerebbe dalla responsabilità degli omicidi da loro commessi a danno dei padroni, e che potrebbe anche persino aprir loro la porta del Regno dei Cieli. Il priore parla infatti di “assoluzione” divina per i proletari assassini. Anzi secondo lui essi non sarebbero “neanche più uomini”, e quindi, in quanto tali “forse” nemmeno perseguibili a termini di legge. Francamente quella di don Milani ci pare una disistima eccessiva per la classe contadina, che, specie nel 1956, non crediamo fosse ridotta nello stato di abbrutimento sub-umano da lui evocato. Ai padroni invece il priore assegna “l’aggravante della provocazione”, per il solo fatto di esistere.
Non sfugge dunque ad un occhio oggettivo il nocciolo profondo di violenza rivoluzionaria di stampo giacobino che evidentemente albergava nel cuore di tenebra del priore di Barbiana.
Il tutto ci pare eloquente. Il tempo futuro è domani, 31 marzo 1956. Il verbo non è il congiuntivo imperfetto, ma l’indicativo. L’eliminazione fisica della controparte, il prospettato massacro degli intellettuali, degli uomini di scienza, dei confratelli sacerdoti e perfino degli innocentissimi poeti, è preconizzato da don Milani come imminente e ineluttabile.
Diremmo che è particolarmente grave il fatto che il priore di Barbiana invece di scongiurare la violenza rivoluzionaria abbia evocato l’epilogo della lotta di classe fino alle sue estreme conseguenze invece di servirsi, da cattolico ancor prima che da prete, dei princìpi di sussidiarietà e di partecipazione autentica dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, per risolvere pacificamente i problemi del consesso civile con gli strumenti della Dottrina sociale cattolica. Rimandiamo, per altri episodi del medesimo tenore, alla Lettera a Ettore Bernabei e alla già citata Lettera a Pipetta. Dell’alternativa possibile e auspicabile ispirata alla Dottrina sociale, rispetto all’approccio milaniano caratterizzato dalla violenza rivoluzionaria, parliamo estesamente nel capitolo 7 del dossier.
5. Le pulsioni omosessuali e pedofile
In ultimo, don Milani manifesta anche pulsioni omosessuali e pedofile, inquadrate in una situazione psichica palesemente alterata, quando in una lettera all’amico Giorgio Pecorini egli scrive:
«Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani piú che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)»
e poi seguita
«…E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?»
Per il doveroso approfondimento della spinosa questione rimandiamo all’intero capitolo 5 e in particolare all’equilibrata relazione di Armando Ermini.
A questo punto in questa sede ci fermiamo e rimandiamo al testo integrale del dossier per gli altri temi pur importanti che vi abbiamo trattato. Tutto ciò premesso, leggevamo sul Corriere Fiorentino in data 7 dicembre 2022, circa le commemorazioni milaniane, che in proposito la Presidente Rosy Bindi si era espressa nel modo seguente: «Per dodici mesi, quindi anche nel 2024, non vogliamo celebrare, una parola cui lui era allergico, ma farlo parlare oggi, farlo parlare in primo luogo ai giovani, ai ventenni, motivo per cui ci sarà anche un sito del centenario e coinvolgeremo le scuole con iniziative, concorsi, premi, borse di studio collettive — spiega — il sito oltre a coinvolgere i giovani avrà spazio per tutte le iniziative legate al priore di Barbiana, non solo per quelle che faremo noi, poche, di livello nazionale e mi auguro di qualità».
Al che, abbiamo scritto ai destinatari istituzionali della nostra lettera aperta:
«Ebbene oggi, di cosa vogliamo far parlare don Milani, ai giovani, ma anche a noi stessi? E’ forse cambiato qualcosa rispetto al passato, rispetto alle valutazioni che su don Milani avevano dato i suoi diretti superiori dell’epoca, il Venerabile Cardinale Arcivescovo Elia Dalla Costa, e il Cardinale Ermenegildo Florit? E’ cambiato qualcosa rispetto alle valutazioni che ciascuno di noi ancora oggi può fare circa la lezione milaniana, attingendo direttamente dalle parole del priore? Può essere che la débâcle educativa milaniana, l’ammutinamento sistematico ai superiori, l’apologia della violenza rivoluzionaria, della lotta di classe, dello spargimento del sangue dei nemici del popolo, della lotta armata di stampo proto-brigatista e finanche – ma di questo Dalla Costa e Florit non erano a conoscenza – l’orgogliosa rivendicazione di pulsioni omosessuali e pedofile (il tutto è naturalmente documentato nei diversi capitoli del dossier), non siano più censurabili come lo erano una volta? »
«E’ una grave responsabilità quella di presentare il priore, non soltanto ai giovani, ma a tutti, come un modello da imitare. L’elementare principio di precauzione lo sconsiglia vivamente».
La lettera aperta sulla finestra di Overton milaniana operata dalle Istituzioni si chiude nel modo seguente: «Concludendo, ci pare evidente che a questo punto il tema centrale della questione vada ben oltre il pur importante ed esemplare caso specifico di don Lorenzo Milani. Ci permettiamo di segnalare piuttosto l’urgenza della ricerca della verità, ponendo sulla realtà uno sguardo libero da ideologie. Potremo così anche dare un giudizio chiaro e univoco, a pro di tutti, non sulla persona di don Lorenzo Milani, cosa che ci guardiamo bene dal fare, avendo anzi verso di lui la massima compassione, quanto piuttosto sulle scelte che egli fece e sulle parole inequivocabili che egli volle convintamente pronunciare. Una volta accantonato il mito ingombrante, potremo pienamente affidare il priore di Barbiana alla Misericordia di Dio e lasciarlo riposare in pace».
Václav Havel, nel Potere dei senza potere, scriveva: «La prima politica è vivere nella verità». Non sarà mai troppo tardi per riconoscere questo elementare dato di fatto”.
(*) Giuseppe Pucci Cipriani: scrittore e giornalista pubblicista di Borgo San Lorenzo, direttore della rivista “Controrivoluzione”.