Tratto da: Aldo Maria Valli

Di José Antonio Ureta

Cari amici di Duc in altum, ricevo, e volentieri vi propongo, questo contributo di José Antonio Ureta dedicato all’ultima intemerata di Francesco, ovvero la dichiarazione secondo cui “se tu non segui il Concilio, non stai con la Chiesa”.

Proprio contro questa dogmatizzazione del Concilio si schiera il libro, appena uscito, L’altro Vaticano II, edito da Chorabooks.

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Il pontificato di Francesco rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma anche rispetto all’imposizione ai tradizionalisti delle novità del Concilio Vaticano II: così egli passa dalla carota al bastone, dagli incentivi alle minacce.

Quando era ancora cardinale, Joseph Ratzinger aveva onestamente riconosciuto che “questo particolare Concilio [Vaticano II] non ha definito alcun dogma, e ha deliberatamente scelto di rimanere a un livello modesto, come un concilio puramente pastorale” (discorso a Santiago del Cile, 1988). Nella stessa occasione, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede si era lamentato del fatto che “però molti lo considerano quasi un super dogma, che priva di significato tutti gli altri concili”. Dopodiché, divenuto papa, riconoscendo che c’era ambiguità di interpretazione nei testi conciliari, Benedetto XVI propose, a chi ne metteva in dubbio l’ortodossia, la carota della “ermeneutica della continuità” con il magistero tradizionale. La carota teologica ratzingeriana non è riuscita digeribile a figure critiche del Concilio, come monsignor Brunero Gherardini, il professor Roberto de Mattei, i teologi della Fraternità San Pio X e altri ancora, che l’hanno respinta sostenendo che non bastava proclamare la presunta continuità del Vaticano II con il magistero precedente, ma bisognava dimostrarla.

Francesco ha abbandonato invece la carota e non solo ha accettato la tesi della rottura del nuovo insegnamento con quello tradizionale, ma ora brandisce il bastone.

Infatti, nel suo discorso per celebrare il venticinquesimo anniversario del Catechismo di Giovanni Paolo II, papa Bergoglio ha dichiarato: “La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al ‘deposito della fede’ come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare”.

E all’udienza di sabato scorso (30 gennaio 2021), è stato più severo. Rivolgendosi ai membri dell’Ufficio catechetico della Conferenza episcopale italiana, che celebrava il sessantesimo anniversario dell’inizio delle sue attività per rinnovare la catechesi sulla falsariga del Concilio Vaticano II, papa Francesco ha detto con tono minaccioso: “Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa”.

Insomma, si torna al super dogma. Con una circostanza aggravante: d’ora in poi non è più accettabile dare al Vaticano II anche una interpretazione diversa da quella ufficiale. Francesco, quindi, fa una doppia dogmatizzazione: del Concilio e della sua interpretazione. E ciò sembra difficilmente armonizzabile con il carattere pastorale e volontariamente non dogmatico dell’assemblea conciliare.

In Francia, i poveri alsaziani che furono forzatamente incorporati nell’esercito tedesco – in quanto di etnia germanica – sono conosciuti come “malgré nous” perché lo furono contro la loro volontà. I documenti del Vaticano II, per volontà autocratica di papa Francesco, divengono il “malgré nous” del magistero, poiché vengono incorporati di autorità tra i documenti infallibili contro la volontà manifesta dei padri conciliari che li approvarono.

Non c’è dubbio che il pontefice abbia il diritto di adoperare il carisma di infallibilità di cui Gesù Cristo ha dotato la sua Chiesa. Ma lo deve fare nel rispetto dei requisiti di solennità, universalità e manifestando in maniera espressa la volontà di definire, che la teologia esige dalle dichiarazioni ex cathedra. Una dogmatizzazione del Vaticano II fatta in modo improvvisato al margine di un’udienza non ha la forza magisteriale necessaria per obbligare in coscienza. Men che meno per giustificare l’esclusione dal seno della Chiesa, implicita nelle sue parole.

Lo stesso pontefice che non condanna, bensì benedice Joe Biden (nonostante questi dissenta apertamente dell’insegnamento della Chiesa su questioni morali essenziali come l’aborto e l’agenda Lgbtq), diventa inesorabile con coloro che mettono in dubbio il Vaticano II: “Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi… No, il Concilio è così. (…) Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa”.

In queste parole traspare una abusiva identificazione del magistero della Chiesa con le novità dell’ultimo Concilio, trasformandolo nel “super dogma che priva di significato tutti gli altri concili”, come denunciava l’allora cardinale Ratzinger. Questa identificazione sarebbe giustificata solo sulla base della teoria modernista di un deposito dinamico della fede, il cui contenuto si evolve con la coscienza dell’umanità, espresso nel cambiamento introdotto da Francesco nel Catechismo per rendere illecita la pena di morte, contrariamente a quanto dicono le Scritture e l’insegnamento perenne sin dai Padri della Chiesa.

Siamo pienamente d’accordo sul fatto che il magistero non debba essere negoziato e sulla necessità della Chiesa di essere rigorosa ed esigente nel difendere l’integrità del deposito della fede. Ma proprio per questo molti analisti seri e competenti si oppongono a passaggi dei documenti conciliari che, nel loro senso naturale, sembrano inconciliabili con l’insegnamento tradizionale.

Lo scorso giugno ho avuto l’onore di firmare una lettera aperta ai vescovi monsignor Carlo Maria Viganò e monsignor Athanasius Schneider in segno di apprezzamento per il loro appello ad aprire un dibattito onesto e aperto su ciò che è realmente accaduto al Vaticano II e per identificare alcuni dei più importanti punti dottrinali da affrontare in un’analoga analisi dei loro documenti. Lo scambio di opinioni – educato e rispettoso – di questi due prelati, si leggeva nella lettera, potrebbe servire da modello per un dibattito ancora più robusto, evitando meri attacchi ad hominem.

Purtroppo papa Francesco, nelle parole che ha improvvisato nell’udienza di sabato scorso, ha preso la strada opposta. Ma proprio queste parole rendono questo dibattito ancora più urgente, poiché sembrano inaugurare una nuova tappa nel rapporto della Santa Sede con coloro che, da diversi decenni, chiedono un pronunciamento definitivo da parte del magistero circa le loro obiezioni alle innovazioni conciliari. Il bastone brandito prefigura non solo il solito ostracismo dei tradizionalisti, ma anche la loro esclusione dalla Chiesa. Come quella subita gloriosamente nel IV secolo dal grande sant’Atanasio.

Che egli preghi per noi!

José Antonio Ureta

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