di Pucci Cipriani

Da venerdì 24 si potrà ordinare nelle librerie o presso l’Editore Solfanelli (Editore Solfanelli del Gruppo Editoriale Tabula Fati 66100 Chieti – Via Colonnetta 148 Telefoni 0871561806 – 3356499393) il libro curato da Pucci Cipriani e Ascanio Ruschi:“Da Barbiana al Forteto – Don Milani e il Donmilanismo” un’opera collettanea con la presentazione dell’Onorevole Vito Comencini e i contributi di : Carlo Manetti – Roberto de Mattei – Lorenzo Gasperini – Giano Accame – Don Mario Faggi – Enrico Nistri – Cristina Siccardi- Pucci Cipriani – Pier Luigi Tossani – Ascanio Ruschi – Alberto De Marchi -. Stefano Borselli – Pier Angelo Vassallo – Armando Ermini.“Da Barbiana al Forteto – Don Milani e il Donmilanismo” verrà presentato a  

Verona sabato 25 novembre 2023, alle ore 10, presso Bar Liston, piazza Bra,12 alla presenza dei curatori, Pucci Cipriani e Ascanio Ruschi da: On. Vito Comencini – Prof. Alberto De Marchi – Avv. Abbondio Dal Bon (vedi locandina in fondo),Pubblichiamo per gentile concessione dell’Editore Solfanelli la presentazione al libro su Don Milani fatta dall’Onorevole Vito Comencini

Presentazione del libro da parte di dell’Onorevole Vito Comencini

In questo testo gli amici Pucci Cipriani e Ascanio Ruschi, affrontano coraggiosamente e con una visione fortemente critica, la figura di Don Lorenzo Milani, per decenni e a torto santificata. Un sacerdote o, per meglio dire, un personaggio, che si è dimostrato e si dimostra funzionale ad uno dei vari tentacoli della Rivoluzione anticristiana, con i quali essa insidia e perseguita la nostra civiltà classico-cristiana: il cattocomunismo. Le ideologie che inquinano la nostra società sono fortemente cambiate ed evolute, ma il nocciolo della questione rimane tale. Don Milani è vissuto in un’epoca nella quale certamente la seduzione marxista era molto forte, anche nella Chiesa, ma nella quale molto ha giocato anche l’incipiente Rivoluzione dei costumi del 68. L’orizzontalismo e, quindi, la decadenza spirituale e morale della “dottrina donmilaniana” si ritrova molto anche nel deficit di vita soprannaturale che contraddistingue i nostri giorni e che ne è in qualche modo la conseguenza. Tutto ciò è legato certamente ad una volgarizzazione, perversione e degenerazione formativa ed educativa. Viene da chiedersi: come reagirebbe oggi don Milani alla diffusione delle teorie gender e alla propaganda Lgbtq+? Con finta indifferenza o sarebbe connivente? Ai posteri, anzi al Signore, l’ardua sentenza.

Una cosa è certa: alla base della processualità rivoluzionaria, da Lutero alla Rivoluzione Francese, dal Bolscevismo, fino alla Rivoluzione dei costumi e tendenziale dei nostri giorni, vi è certamente un relativismo e una serpeggiante dimensione immanentista. Relativismo e immanentismo storicista infarciscono infatti pienamente l’azione rivoluzionaria di don Milani e anticipano e riflettono pienamente l’attuale eclissi della Chiesa Cattolica, minata, nella sua componente umana, da una crisi molto profonda. Un buon cattolico, consapevole di questa crisi e di ciò che è e dovrebbe essere veramente la Santa Chiesa, non può non ravvisare in questa “Chiesa malata” o conciliare (come dicono alcuni) i caratteri della sinistra figura di Milani. Una malattia, già latente prima, ma che ha avuto la sua esplosione col Concilio Vaticano II e che ha i suoi tremendi ricaschi oggi sia sulla società e sui governanti, sia anche e soprattutto sul clero, inclusi quei sacerdoti che potremmo definire conservatori.

Quanti danni hanno causato, causano e causeranno infatti alcune false guide religiose all’interno della cosiddetta chiesa conciliare (il neologismo si deve al montiniano Benelli, Cardinale di Firenze)? Ciechi che guidano altri ciechi. Chiesa conciliare da intendersi quindi come opposta a quella sempiterna, ovvero una “falsa chiesa”, mondanizzata e protestantizzata, di contro a quella tradizionale e cattolica, che ha le sue radici all’insù, nel cielo. Sicuramente molti danni, sotto il profilo educativo e morale. Incalcolabili poi, se si considera la dannazione eterna di tante anime.

È pur vero che Dio non perde battaglie, né si lascia condizionare dalla Rivoluzione; che la sua Grazia salvifica e la sua Provvidenza operano sempre, anche in assenza di anime consacrate che adempiano fedelmente al loro dovere. E che l’àncora della preghiera, quale mezzo spirituale straordinario rimane in qualunque condizione umana, secondo il consolante e tremendo adagio di sant’Alfonso Maria de’ Liguori “Chi prega, certamente si salva; chi non prega, certamente si danna” . (Alfonso Maria de’Liguori, Apparecchio alla morte, considerazione XXX Della preghiera, punto II.)

Nondimeno riparare e, quindi, restaurare richiede un percorso decisamente lungo ed impervio, giacché dopo ogni Rivoluzione o ogni suo rigurgito, più o meno empio, più o meno perverso, più o meno criminale, rimangono solamente macerie. E, tuttavia, una rinascita, con l’aiuto di Dio e con la collaborazione e corrispondenza dell’uomo, è sempre possibile. Lo dimostra la fine della Rivoluzione bolscevico-marxista, sulle cui ceneri si assiste oggi a un risveglio evidente ed innegabile, in quelli che furono i territori dell’ex Unione Sovietica, dei valori cristiani e della difesa del diritto naturale. Un diritto che, non a caso, si trova ad essere costantemente osteggiato e contraddetto dalle legislazioni positive e positiviste del nostro tempo: su questo diritto positivo e sovente transumano e antiumano,

poggiano tutte le Rivoluzioni. Fra le altre quella, seguita da don Milani, che ha trasformato la prometeica chimera marxista della liberazione dell’uomo da Dio, nell’asservimento umiliante alle catene del diavolo.

Questo assalto ipocrita al Cielo fu completamente sposato da don Milani, che nella sua vita combatté fortemente dalla parte del male, pur vestendo l’abito talare, incurante dei moniti dell’autorità ecclesiastica e ammantandosi anzi di un’apparente aura di “ribelle buono e giusto”. Don Milani fu invece il tipico esempio di lupo travestito da pecorella, di ecclesiastico sedotto dalla Rivoluzione, sorta di Abbé Grégoire del Mugello.

Memore dell’insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo (“Ma il vostro parlare sia sì sì, no no, tutto il resto viene dal Maligno”, Mt. 5, 37) il volume collettaneo curato da Pucci Cipriani e Ascanio Ruschi ha il merito di smascherare il don Milano aureolato dei catto-marxisti e dei progressisti, mostrandone invece il vero volto e le opere, poiché è da queste che si riconosce l’albero buono: “Bona arbor bonos fructus facit” (Mt. 7, 17). Il don Milani di cui ci parlano Cipriani e Ruschi è alla continua ricerca di un “di più”, dell’inciampo, del tradimento e quindi del male travestito da bene. Il fatto che a farne le spese siano stati dei bambini e dei ragazzi è certamente una grossa e ulteriore aggravante.

Né conforta (a proposito di frutti) un certo discepolato milaniano: dal fotografo Oliviero Toscani, al Sindaco della mia città, Verona. Per fare solo due esempi. Del primo, tutti rammentano le ricorrenti campagne blasfeme. Per l’ex calciatore Damiano Tommasi, cattolicissimo bon butèl (bravo ragazzo, come si usa dire nella città scaligera) parlano i suoi atti, a cominciare dalla sua partecipazione alle parate dei sodomiti, al patrocinio comunardo ai libretti transgender, al sostegno all’utero in affitto e ai napoleonici massacratori dei suoi stessi concittadini, al tempo della gloriosa insurrezione delle Pasque Veronesi (17-25 aprile 1797). Insomma il peggio dell’Occidente consumistico, ultraliberale e perverso, sempre schierato con la Rivoluzione.

Sono certo che tutti i buoni si riconosceranno in quest’opera e nello spirito cattolico e autenticamente controrivoluzionario che la anima. Quella degli amici identitari e valoriali, come gli amici Pucci e Ascanio, è del resto una scelta di campo, dove per i vili e per gli opportunisti non c’è posto.

E mentre confidiamo nelle promesse della Santissima Vergine Maria a Fatima circa il prossimo trionfo del suo Cuore Immacolato, leviamo al Cielo il nostro sguardo (“ad te levavi oculos meos, qui habitas in caelis” secondo le parole del versetto iniziale del Salmo 122). Giacché Dio solo può salvarci e far cessare il tempo della prova, di questa lunga e plurisecolare prova chiamata Rivoluzione, affinché essa duri non un minuto, non un secondo di più.

Confidare in Dio, dunque. E ci sia permesso di chiudere queste nostre brevi considerazioni con le parole pronunciate dal grande Papa Pio XII nel suo celebre Radiomessaggio sulla Provvidenza Divina negli avvenimenti umani (29 giugno 1941) mentre l’uragano della seconda conflagrazione mondiale infuriava sull’Europa e sul globo. Chiedeva il Papa: “Che significa confidare in Dio? […]. È credere che nulla in questo mondo sfugge alla sua Provvidenza, così nell’ordine universale, come nel particolare […]. È credere che Dio può permettere talvolta quaggiù per qualche tempo il predominio dell’ateismo e dell’empietà, dolorosi oscuramenti del senso della giustizia, infrazioni del diritto, tormenti di uomini innocenti, pacifici, indifesi, senza sostegno. [Ma] è credere infine che la fiera acutezza della prova, come il trionfo del male, non dureranno anche quaggiù che per un certo tempo, e non più; che l’ora di Dio verrà, l’ora della misericordia, l’ora della santa letizia, l’ora del cantico nuovo della liberazione, dell’esultanza e della gioia, l’ora in cui, dopo aver lasciato un momento imperversare l’uragano sulla povera umanità, la onnipotente mano del Padre celeste con un cenno impercettibile lo ratterrà e sperderà e, per vie alle menti e alle speranze umane meno aperte, saranno restituite alle Nazioni la giustizia, la calma e la pace”.

On. Vito Comencini