di Ascanio Ruschi
Tratto da Radio Roma Libera
La roccia controrivoluzionaria
Nel 1806 col comandante Wade e nel 1860 col Messinelli, padre Leonardo Zilli da Campotosto e Supino di Bonaventura, la rivoluzione cozzò contro la roccia della Controrivoluzione, che – per dirla con De Maistre – «non è una rivoluzione di segno contrario, ma il contrario della rivoluzione». Le pagine di eroismo, scritte col sangue , a Civitella, le meritano il titolo di “Fedelissima” e sono da decenni oggetto di convegni e studi, cui prendono parte anche molti giovani.
Scrisse Carlo Alianello ne L’Alfiere del 1942: «Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un’idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi moriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c’è vanità, non c’è successo, non c’è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora –. Uomini che la violenza e l’illusione non li piega e che sentono la fedeltà, l’onore, la bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio».
L’unica speranza, il Cielo
Sulla Piazzaforte un pugno di uomini, seppur senza speranza terrena ma con ben viva nel cuore la certezza della vita divina, combatterono facendo garrire sulle mura, a fronte di un nemico reso furioso dall’inaspettato ostacolo a quell’iniqua conquista, il glorioso bianco vessillo con i dorati gigli borbonici e con la scritta «Senza speranza», se non quella del cielo. Un vessillo ricamato dalla Regina Maria Sofia che, «per vie segrete», fece pervenire ai soldati rimasti fedeli al loro Re, al loro Regno, alla loro Patria.
Ricorda Giorgio Cucentrentoli in La difesa della Fedelissima Civitella del Tronto: «A calci e pugni vengon tratti fuori il tenente Messinelli e Zopito di Bonaventura, rei di trasgredire le “leggi di guerra” con una prolungata difesa». La sentenza è la fucilazione: anche per padre Zilli. L’esecuzione è sommaria: si fucila alla schiena come si usa per i traditori. Zopito di Bonaventura, il “Generale di Franceschielle”, si reca incontro alla morte da valoroso con la sua coccarda rossa borbonica sul petto. Il plotone dei bersaglieri è con l’armi puntate. Padre Zilli da Campotosto si asciuga la fronte con una pezzuola, che poi ripone con cura nella manica del saio; guarda in alto come per cercare Dio. Aveva chiesto al Maggiore Finazzi una grazia, quella di poter essere seppellito nella sua chiesa. ‘No’ aveva replicato il Finazzi, ‘i briganti devono essere seppelliti sul luogo!’. Allo sparo, che rimbomba stranamente in quella ritornata pace, il frate cade in avanti e il cappuccio, alzandosi, gli copre, ora, in terra, tutta la testa. E così finì l’ultimo assedio di Civitella del Tronto.
Senso di Fede, senso di Patria
La Patria, per questi valorosi, non era un’astratta costruzione giacobina fatta con squadra e compasso, bensì, come diceva il vandeano Monsieur Charette, «i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe. tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra fede, il nostro re. Ma la loro patria [quella dei giacobini], cos’è per loro? Voi lo capite? Loro l’hanno in testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi».
Per ricordare l’eroismo dei difensori della Fortezza, si svolge da oltre trent’anni a Civitella del Tronto, per iniziativa di Pucci Cipriani, un Convegno della Tradizione Cattolica che è diventato uno storico appuntamento per tutto il mondo della Contro Rivoluzione cattolica in Italia.
Questo testo di Ascanio Ruschi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it