di Ascanio Ruschi

Già comandante del 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, comandante della Brigata “Folgore”, della “Task force 45” in Afghanistan, impiegato nelle operazioni in Somalia, Rwanda, Yemen, Balcani, Costa d’Avorio, Iraq, Libia, nel 2020 il Generale Roberto Vannacci balzò alle cronache nazionali, una prima volta, per aver depositato un clamoroso esposto alla Procura militare di Roma, con il quale ipotizzava gravi omissioni a carico dei vertici militari per non aver tutelato la salute di migliaia di sodati italiani impiegati in Iraq dal 1991 (e nelle successive missioni internazionali), per essere stati esposti senza alcuna preventiva informazione e formazione, all’uranio impoverito.

Il Generale Vannacci arrivò perfino ad accusare l’ammiraglio Cavo Dragone, poi capo di Stato maggiore della Marina, di non aver detto il vero alla commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito (23 febbraio 2017), presieduta da Gian Piero Scanu.

Vannacci, per tali affermazioni, non è stato punito e anzi è stato promosso generale di divisione.

Proprio nel 2020 è stato nominato addetto militare dell’ambasciata italiana a Mosca e, dal 2023 ha assunto la direzione dell’Istituto Geografico Militare di Firenze.

Il nome del Generale Vannacci è tornato oggi prepotentemente alla ribalta una seconda volta. Il generale si è infatti reso colpevole di aver scritto e autopubblicato un libro intitolato “Il Mondo al Contrario”, per il quale ha subìto un vero e proprio linciaggio morale da sinistra, da centro e, ahimè, anche da destra. Anzi, ha stupito e amareggiato l’immediata destituzione del generale dal proprio incarico presso l’Istituto Geografico Militare da parte dei vertici militari, preannunciata da un immancabile tweet del Ministro Crosetto (“Il Gen. Vannacci ha espresso opinioni che screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione. Per questo sarà avviato dalla Difesa l’esame disciplinare previsto”).

Ma quale sarebbe la colpa di cui si sarebbe indelebilmente macchiato il Gen. Vannacci? Presto detto: l’aver espresso nel suddetto libro, alcune personali opinioni assai critiche in merito all’ambientalismo, al gender, all’omosessualità, all’immigrazione, al femminismo e più in generale al politicamente corretto. Il Gen. Vannacci se la prende infatti con quelle che definisce “minoranze”, capaci però di imporre una dittatura di pensiero (e non solo) tale da influire e determinare l’agenda politica delle istituzioni nazionali e internazionali.

Apriti cielo!

Sul Generale si sono riversate le più infamanti accuse: razzista! omofobo! fascista! xenofobo!

E chi più ne ha, più ne metta.

Improvvisamente, un militare pluridecorato, per anni protagonista delle missioni internazionali del nostro Paese più importanti e pericolose, apprezzato per le sue doti professionali e umane, diviene un mostro da defenestrare al più presto dal nostro Esercito. E il Ministro Crosetto, non si sa se per convenienza o per convinzione, non ha perso tempo, e lo ha accusato di farneticazioni razziste. Un gesto simile ce lo saremmo aspettati dalla sinistra fucsia e petalosa, ma non certo dal Ministro della Difesa espresso dal partito di maggioranza dell’attuale governo di destra.

Senza voler entrare in questa sede nel merito delle affermazioni del Gen. Vannacci, e più in generale del libro messo all’indice dal nuovo tribunale giacobino del politically correct, emerge chiaramente che il generale deve essere ora difeso senza snobismi e sterili distinguo. Certo, i riferimenti culturali del Gen. Vannacci non sono propriamente controrivoluzionari. Il richiamo a Mazzini e Garibaldi mi ha fatto rabbrividire. Ma la questione è un’altra.

Trenta o quarant’anni fa quanto scritto dal generale sarebbe passato inosservato: i concetti da lui espressi sarebbero apparsi assolutamente normali, financo borghesi. Un bravo servitore dello Stato democratico, tutto Dio Patria e famiglia, che probabilmente avrebbe votato DC.

Oggi tuttavia, anche la normalità rischia di essere vietata. Esprimere sui social, o anche sul proprio luogo di lavoro, pensieri non politicamente corretti, potrebbe costituire giusto motivo per vedersi limitati diritti basilari come la libertà di pensiero o, nella peggiore delle ipotesi, per incorrere in reati penali.

La vicenda del Gen. Vannacci lo dimostra. Benchè l’art. 1472 del Codice dell’Ordinamento Militare (“Libertà di manifestazione del pensiero”) stabilisca che “i militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero”, il Vannacci è stato immediatamente sostituito dal Comando dell’IGM, e la sua carriera appare irrimediabilmente compromessa.

Il Gen. Vannacci non è incorso in alcun reato penale, né ha offeso qualcuno; ha espresso i propri personali punti di vista su questioni che, nostro malgrado, ci coinvolgono tutti. Se passasse il principio per cui non è possibile criticare, anche con toni aspri, il cosiddetto “pensiero unico”, noi tutti potremmo subirne le conseguenze. 

E’ in gioco la libertà di pensiero. E per questo il Gen. Vannacci va difeso. Non sarà certo un novello Jacques Cathelineau, ma nella battaglia io so da che parte schierarmi. E arriverà, forse presto, il momento in cui, come disse Chesterton: “Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”.

Ascanio Ruschi