di Vittorio Acerbi
Partiamo col dire che questo viaggio a Napoli è stato merito del libro omonimo scritto dal caro amico Pucci Cipriani. Non a caso, giunti alla fine della sua presentazione, io e Maria Chiara abbiamo espresso il desiderio di intraprendere un viaggio fra gli splendidi luoghi raccontati dall’autore.
Le premesse del viaggio tuttavia ci stavano demoralizzando: trovare un alloggio nei giorni del ponte per la festa di San Marco non è semplice. Un po’ perché Napoli è una città che attira molti turisti e un po’ perché sono i napoletani stessi, fuori sede, che approfittando dei giorni di festa decidono di rientrare nella loro città. In questo i campani (ma tutto il sud in generale) sono invidiabili; hanno un grande attaccamento alla propria terra.
Penso di aver fatto una quindicina di telefonate senza nessuna buona notizia. Trovare due camere singole è divenuta un’impresa ardua. Poi ci ha pensato la Provvidenza. Contatto l’Eremo di Camaldoli delle suore di Santa Brigida e avendo visto la bellezza del luogo penso: “Non troverò mai posto…”. Ma, come detto, ci ha pensato Qualcuno e siamo riusciti a prenotare.
Partiamo di buon mattino sabato 22 aprile. Dato che a me piace guidare ed avendo una buona resistenza, non accogliendo nessuna richiesta di sosta, sono andato a dritto direzione Napoli. Quindi cinque ore e mezza di macchina senza fermata. Giunti a destinazione facciamo fatica a capire da dove entrare poiché mancano dei cartelli che diano indicazioni ai pellegrini; aggiungeteci pure che la comunicazione con suore non di nazionalità italiana rende difficile il tutto. Il paesaggio che si può vedere dall’Eremo è il più bello di tutta la zona. Non a caso, ci viene detto, Camaldoli è il punto più alto della città da cui si può vedere, in lontananza, il Vesuvio, tutta Napoli ai suoi piedi, compreso Posillipo.
Scendiamo in macchina. Casualmente (ma noi al caso non crediamo) dal parcheggio dove lasciamo la macchina ci rechiamo a piedi verso il centro. Passiamo quindi accanto ad una chiesa che scopriamo essere Santa Caterina a Formiello. E il pensiero va subito alle pagine del libro di Pucci e dei Martiri di Otranto, per cui doveroso fermarsi per una preghiera. Ed una anche per Santa Caterina d’Alessandria.
E visto che siamo stanchi ed affamati, abbiamo il nostro primo incontro con la gastronomia locale, con tanto di sfogliatella per dolce (rigorosamente scelta nel posto più rinomato della città).
Segue poi la visita al Duomo sulle orme di San Gennaro. La cappella dedicata al protettore della città ospita non solo il busto e il sangue del santo, ma anche busti con reliquie degli altri 55 protettori della città. La figura di san Gennaro è un enorme patrimonio da cui prendere esempio. Il dipinto “San Gennaro esce illeso dalla fornace” di Jusepe de Ribera oltre a raccontare un miracolo del santo, vale già il prezzo del biglietto.
Segue poi la visita al tesoro di San Gennaro nel museo di fianco con i paramenti e il contratto stipulato dai cittadini stessi.
Ma per uno come me non è possibile andare a Napoli senza visitare il Teatro San Carlo. Ne approfittiamo per un concerto di un giovanissimo pianista prodigio: Alexandre Kantorow. Più che avere venticinque anni, la percezione era quella di uno che ne dimostra venti di più ma comunque il concerto è piacevole. E Liszt, uno dei più ostici da eseguire, sembra nelle sue mani molto semplice. Esibirsi al San Carlo deve essere un grande onore per uno così giovane. I suoi bis sono diversi ed ognuno merita realmente gli applausi del pubblico che sa apprezzare i numerosi fuori programma.
Domenica mattina abbiamo appuntamento a Barra per prendere la messa presso l’Istituto di Cristo Re (Convento San Tommaso d’Aquino) nonché per salutare un amico sacerdote che si trovava a Livorno. Arrivare a Barra significa fare i conti con una realtà diversa per i nostri occhi. Il degrado e la povertà sono notevoli. E pure ritrovarsi alla messa, alla vera messa di sempre, abbatte tutte le preoccupazioni e ti ricarica le energie. Quante volte ci è capitato di prendere la messa in luoghi diversi con preti diversi senza sapere cosa aspettarsi. Perché ammettiamolo, ognuno fa di testa sua e la celebrazione se la “annacqua” come pare a lui. Nella messa tradizionale no. Ovunque tu sia, anche nella parte più sperduta del mondo, ritroverai la stessa messa. E questa è forse la più grande testimonianza dell’universalità della Chiesa. Menzione speciale all’affresco sopra il presbiterio con la Madonna che col suo velo avvolge i consacrati suore e seminaristi domenicani.
Rientriamo per pranzo a Napoli e ci rechiamo nella celeberrima via Toledo, fulcro pedonale della città. Facciamo poi tappa presso la Chiesa di Santa Chiara in visita alle tombe di Salvo D’Acquisto della famiglia Borbone dove è doverosa una preghiera al servo di Dio Francesco II. E dato che siamo a Santa Chiara facciamo visita alla dirimpettaia Chiesa del Gesù Nuovo. Seguendo le orme del santo Giuseppe Moscati del quale, oltre alla tomba, è possibile visitare tutti gli ex voto a lui dedicati, la replica del suo studio e il famoso cappello per i suoi pazienti: “Chi ha metta, chi non ha prenda.”
La Chiesa del Gesù Nuovo è forse la chiesa che più di tutte mi ha colpito di Napoli (forse dovuto a quella meravigliosa statua dell’Immacolata al di sopra del globo di lapislazzuli). La chiesa è ricca di molte altre reliquie nonché di una parte dedicata ad un altro santo medico: San Ciro.
Rotta verso i quartieri spagnoli e nello specifico la chiesa di San Giuseppe dei Vecchi. Sicuramente non gode dello stesso prestigio di molti luoghi santi più conosciuti, ma a Napoli una visita a Don Dolindo Ruotolo è doverosa. Ammetto che non conoscessi la figura di questo uomo prima di giungere a Napoli. E una volta appresso a grandi linee la sua vita, me ne sono subito appassionato. Una vita di grandi sacrifici e tanta mortificazione ma tutto offerto al Signore in una grande santità d’animo.
Arriviamo alla domenica e in contemporanea si sta giocando a Torino la partita Juventus – Napoli. Proprio nel mentre si sta concludendo la partita ci ritroviamo dentro un taxi per rientrare all’eremo. Viene segnato (e poi annullato) un gol alla juve, con conseguente esultanza sommessa (prima) da parte mia e disperazione (poi). A quel punto, pur nel mio nascondimento, il tassista deve essere ammoscato di qualcosa. Non a caso nei minuti che seguono ci guardiamo negli occhi in segno di sfida attraverso lo specchietto, quasi come fosse un primo piano targato Sergio Leone; manca solo la musica di Morricone. Proprio quando la partita sta per concludersi, arriva la beffa: il gol del Napoli. Il tassista a quel punto esplode. Dalla sua compostezza professionale, tira fuori la sua “napoletanità”; infatti ferma il taxi in mezzo ad un incrocio, alza il volume della radio al massimo e si volta per qualche secondo ai suoi compaesani in strada esultando assieme a loro. A quel punto è partita una scena stile Giovanni Storti con l’indice puntato all’orologio “Ciccio però andiamo che il tassametro corre”.
Lunedì mattina decidiamo di uscire fuori e ci rechiamo al Santuario di Pompei. Arriviamo proprio mentre sta iniziando la messa, questa “novus”, e decidiamo di prendere parte. E veniamo anche graziati di fare la comunione come esigiamo noi (e come sarebbe più giusto farla). Il santuario è enorme; la chiesa riporta molte cappelle laterali dedicati a santi dei quali sono raffigurati momenti particolari della loro vita. Il santuario è legato alla figura del Beato Bartolo Longo (di cui è presente, oltre alla tomba, un bellissimo reliquiario). Per quanto non sia particolarmente legato agli striscioni presenti nelle facciate delle chiese, c’è una massima che riassume il potere salvifico della preghiera: “Se cerchi salvezza propaga il Rosario”. Ed è proprio questo il monito per il pellegrino che entra in visita al Santuario nel quotidiano, e del cattolico nell’eternità.
Nel pomeriggio andiamo a visitare il Chiostro maiolicato di Santa Chiara. I turisti sono molti e a perderne un po’ è la santità e la pace del posto, prima luogo di silenzio spirituale e adesso luogo turistico. Visitiamo anche l’attiguo museo dove sono conservati reperti archeologici nonché reliquie di grande importanza. Ma il turista, specialmente il cristiano, oggi non venera più le reliquie; tanto che quando ci passa davanti non comprende la portata di ciò che gli sta di fronte agli occhi. Oggi si guarda con gli occhi della modernità, non della fede.
Ci ritroviamo con qualche minuto libero e decidiamo di provare ad andare a vedere il Cristo velato. Siamo consapevoli della difficoltà di vederlo in quel momento ma proviamo a fare ugualmente un tentativo. Mi viene risposto che hanno le prenotazioni occupate fino a metà maggio. Qui è doveroso fare una considerazione sulla problematica spirituale di vivere il nostro tempo. L’unico rimpianto che porto di questo viaggio a Napoli è il non essere riusciti a visitare il bastone fiorito di San Giuseppe. E questo solo perché la chiesa era chiusa. In un mondo dove le persone vanno a visitare un’opera architettonica in massa (per quanto ispirata) e dall’altra parte una reliquia di grande importanza la si può visitare solo in determinati momenti dell’anno perché il luogo che la custodisce è chiuso, forse è il caso di farsi qualche domanda…
Per sfruttare il tempo che ci rimane andiamo quindi in via San Gregorio Armeno perché il mio obiettivo era quello di comprare una particolare statuina del presepe. Inutile dire che alle statuine classiche (quelle che davvero bastano) si aggiungono anche le statuine di molti personaggi famosi del nostro tempo. Non si può fare a meno di restare abbagliati dalle opere d’arte che questi artigiani riescono a fabbricare. Ci sarebbe da spendere un patrimonio a san Gregorio Armeno. Rimango tuttavia colpito che, dopo molto faticare, riesco a trovare la statuina che stavo cercando (statuina molto particolare ripeto), ma a quel punto una domanda ci sorge spontanea: fra le tante statuine che ci sono, ci sarà pure una statuina dell’inventore del presepe? Incredibile ma vero, san Francesco non compare nelle mensole degli artigiani. Maria Chiara giustamente suggerisce di far notare la cosa; chissà che non possa fare la fortuna di qualche artigiano. (Nota a margine: una struggente statua della Madonna Addolorata nella Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo).
Martedì è il giorno della nostra ripartenza. Ma non senza un’ultima missione. Per prima cosa partecipiamo alla messa, novus ordo anche questa. Rimango sbalordito nel vedere che le suore tutte come formichine ricevono la comunione sulla mano con tanto di “Amen” a seguire. Ma non si è mai soli. Nonostante i pochi fedeli presenti fra di loro, ce ne sono due, probabilmente padre e figlio. Ormai le persone impari un po’ a riconoscerle a forza di prendere messe. E loro ricevono la messa con la stessa devozione con cui ogni uomo dovrebbe viverla. Non a caso, loro, ricevono la comunione sulla lingua. E lì ho capito che nonostante le corruzioni di alcuni sacerdoti nel celebrarla, ci sono fedeli che tengono duro e resistono in questa trincea della vita.
Ci dirigiamo quindi alla Chiesa di San Gregorio Armeno. Una chiesa piccola ma che non manca di bellezza. Dopotutto nella casa del Signore si è sempre a casa e non si ha bisogno di grandi spazi. Ed è impressionante la pace che si sente qua dentro conoscendo il trambusto che c’è fuori nella strada omonima. Siamo venuti qui per vivere il miracolo del sangue di Santa Patrizia (anche lei co-patrona di Napoli) che qui risiede nelle sue spoglie mortali. Perchè i napoletani non hanno solo il miracolo del sangue di San Gennaro ma anche quello di Santa Patrizia le cui ampolle vengono oscillate dalle suore crocifisse adoratrici dell’Eucaristia ogni marterdì mattina al fine della messa.
Dopo aver fatto scorta di sfogliatelle in zona Garibaldi, purtroppo assistiamo in lontananza al corteo dei compagni in occasione della “festa della liberazione” e purtroppo credevo di aver visto molti cortei in vita mai, ma il livello di Napoli raggiunge vette mai viste (forse dovuto al nome della zona in cui si erano riuniti).
Rientriamo lasciando un pezzo del nostro a cuore.
Quale è la cosa più bella di Napoli? Almeno per me intendo. Le edicole. Si rimane colpiti dal numero di edicole (grandi e piccole; appese alla parete o addirittura racchiuse in piccole recinzioni ai bordi della strada) dedicate alla Madonna. Napoli è piena di edicole. Quando passeggiavamo per i quartieri spagnoli, la prima cosa che vivi è la pienezza di quei posti. Spazi stretti per moltissime persone. Una condizione di mortificazione tale che metterebbe a dura prova qualsiasi persona. E per quanto noi siamo abituati ad altri spazi e ad altre comodità lì, ai quartieri spagnoli, ogni trenta metri c’è un’edicola, e ognuna di esse ha un fiore fresco in omaggio. Mi è venuto a mente l’episodio del film “Don Camillo Monsignore… ma non troppo” quando i comunisti per costruire una casa popolare devono buttare giù una statua della Madonna. E nonostante la volontà, col piccone pronto a colpire, Peppone incrocia lo sguardo con quello della Madonna non riesce a sferrare il colpo. Forse il miracolo di Napoli sta proprio in questo. Che tutte quelle persone nonostante gli spazi stretti e la possibilità di ricavare due o tre metri in più nelle loro abitazioni, non le toccano. La spiritualità di Napoli sta tutta in questo. E poco importa se San Gennaro un pochino viene depredato perché accostato a Maradona (santo proclamato da molti, ma non da tutti i napoletani), ci pensa la Madonna a mettere pace fra tutti.
“O Madre Bella,
Tra le tempeste
ci sei stella
il tuo nome fa armonia
mormorando Ave Maria” (tratto da una edicola di Napoli)