di Pucci Cipriani

“C’erano una volta, tanto tempo fa, un Re, una Regina e un Regno bellissimi: i più belli che si conoscevano a quel tempo. Una notte scese dal cielo tanta pioggia e poi fulmini, ghiaccio, neve e vento, tanto vento. La mattina dopo tutti gli abitanti si svegliarono ancora pieni di sonno per le paure di quella nottata passata a pregare che tutto finisse. Ma il Re, la Regina e il Regno non c’erano più. Una nebbia fitta si era posata fino a terra. Non c’erano più i palazzi, non c’erano più carrozze e strade, i quadri le statue, le chiese e i santi, i cavalli con tutti i cavalieri e finanche il mare e il sole : spariti come sparisce un mago dopo un gioco. (…) E oggi nessuno crede a questa favola. Ma qualcuno ancora la ricorda. C’erano una volta, tanto tempo fa… (Gennaro De Crescenzo: “Racconti delle Due Sicilie” (Ed.Mea)

Quando stanotte sullo schermo è apparsa la notizia della vittoria, da parte della squadra calcistica del Napoli, del terzo “Campionato” io – che non seguo il calcio e che non tifo per alcuna squadra – ho esultato come un bambino e vedendo la folla entusiasta avrei voluto essere lì, tra la gente della “mia” Napoli, sul Lungomare Caracciolo, a Santa Lucia, nei Quartieri, al Vomero, a saltellare, a sparar petardi, a brindare “a boccia”, passata di mano in mano, con il vino aspro di Granarolo…Invece son qui nella provincia fiorentina, nel “verde Mugello”, dove son nato e dove spero – gli anni son tanti ormai – un  giorno di morire, in casa mia, lontano dalle camere asettiche e i pavimenti tirati a lucido dell’ospedale dove ora, la gente “educata ed evoluta” manda i “malati” a finire i loro giorni perché in casa disturbano l’attività lavorativa e, soprattutto, potrebbero impressionare “i bambini/e” (pochi) che vanno in discoteca alle 23 e tornano a casa, impasticcati e inebetiti, alle cinque…e, invece, vedo in quelle strade napoletane, dove è riapparso “o’ Pazzariello”, giovani e vecchi, bambini e donne, belli e brutti, “signori” e popolani, che urlano a squarciagola i “cori” ritmati con i quali avevano incoraggiato i loro beniamini in campo. All’improvviso sento sparar mortaretti e il fragore dei fuochi d’artificio – la mia gatta corre a nascondersi nell’armadio – e mi pento di non aver fatto anch’io rifornimento di polvere pirica: mi affaccio al balcone del quinto piano e vedo (e sento) ragazzi con bandiere e caroselli di auto…La gioia partenopea è arrivata anche qui, ai piedi dell’Appennino, dovunque sia un napoletano lì c’è un pezzo di Napoli…e si fa festa…metto al balcone la bianca bandiera del Borbone, la bandiera dell’identità del popolo “napolitano”…e preparo, per l’indomani, la “pochette” per il taschino della giacca con lo stemma del Regno delle Due Sicilie e il golfino celeste con lo stesso stemma ricamato, doni del caro amico, napoletano purosangue, Andrea Asciuti che mi aveva consegnato – insieme ad una meravigliosa sciarpa di lana con la scritta Forza Napoli e gli stemmi suddetti ricamati – già a Natale in previsione di questa vittoria.

E, al mattino, eccomi, in perfetto “Armicromismo borbonico”, a prendere il caffè con gli amici, da “Toppero” e al “Passaguai” …per cui è impossibile non parlare della vittoria del Napoli e del “Regno del Sud” interrompendo -seppur per un minuto – i discorsi, in gran voga, sulla venuta in Mugello del Presidente Mattarella e di Rosi Bindi per la “glorificazione” di don Lorenzo Milani, un demagogo in tonaca, che riversava le sue frustrazioni su una diecina di malcapitati alunni in una sorta di “scuola” dove “erano ammessi scapaccioni, ‘cignate’, botte e dove si faceva anche uso della frusta” (Cfr.Sebastiano Vassalli: “Don Milani, che mascalzone” in “La Repubblica” di martedì 30 giugno 1992, pag.36)Insomma, amici, lo avrete capito, appartengo a quella sottile schiera di sognatori che crede ancora in quella bella favola per cui…“c’erano una volta, tanto tempo fa, un Re, una Regina e un Regno bellissimi…” come scrive nell’Incipit del suo meraviglioso libro “Racconti delle Due Sicilie” il mio amico Gennaro De Crescenzo…ma quella bella favola io non l’ho vissuta solo nel sogno o sui libri di storia; no, l’ho vissuta e la vivo tuttavia – ed altri con me l’hanno vissuta e la vivono – con l’animo e con il cuore da quando, ragazzo, mi innamorai (ci innamorammo) di quelle terre bellissime e benedette da Dio, di quel Re e di quella Regina, che difesero il loro Regno combattendo sul Volturno e sugli spalti di Gaeta contro un invasore tricolorato, barbaro e feroce, portatore delle “false libertà” come spiega, proprio a Gaeta, il morente Tenente Franco all’Alfiere Pino Lancia:“…E la libertà – chiese Pino- che n’hai fatto?-Ce l’ho qui- rispose Franco e si batté sul petto- dacché tra la mia e quella dei liberali ho scelto liberamente da uomo. Non mi piace la libertà, che quando te la vengono a portare con le baionette, non è più essa. Io sto da questa parte perché così mi piace a me , che sono don Enrico Franco, e mi piace perché oggi è la parte più bella. Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un’idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi moriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c’è vanità, non c’è successo, non c’è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora. Uomini che la violenza e l’illusione non li piega e che servono la fedeltà, l’onore, la bandiera, la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio. Ieri forse poteva sembrar più nobile , più alta la parte di là,ma oggi con noi c’è la sventura, e questa è la parte più bella. Perché sopra, noi ci possiamo scrivere, senza speranza…” (Confr. Carlo Alianello in “L’Alfiere” pag,429)Era, questo Regno di favola, pieno di “care memorie”: i “sedili Napoletani”…quella “Napoli Ispanica” immortalata in quell’opera monumentale di Elias de Tejada…poi i Borbone quando il 10 maggio del 1734 Carlo III entrò trionfante a Napoli e fu l’inizio di una nuova politica…come in quel 10 maggio del 1987 quando il popolo napoletano associò le due date allorché il triplice fischio dell’arbitro decretò la fine della partita e l’inizio di una festa attesa per sessant’anni per cui in uno striscione appeso fuori dal cimitero di Poggioreale si poteva leggere:“Guagliò non potete immaginare cosa vi siete persi!”…poi la festa di oggi anche questa attesa da trentatré anni…Dicono che quel Regno sia stato il “Regno delle tre effe: feste-farina e forca” ed è vero riguardo alle prime due effe: feste, tante, bellissime, congeniali a quel popolo allegro, e anche farina in quanto non mancò mai il pane…per quanto riguarda la forca no, quello strumento giacobino non fu mai usato…ma con l’Unità d’Italia le tre effe rimasero pur cangiando significato: Fetenzie, fottiture e Forca…e qui la forca fu usata davvero dai predoni tricolorati (francesi e italioti), in quanto la forca fu proprio strumento dei giacobini, prima dei predoni francesi (ma quel Regno di favola riuscì a liberare quelle terre meridionali con l’eroica impresa del Cardinale Ruffo e dei “lazzari” napoletani che cacciarono gl’invasori francesi e i loro leccaterga, i giacobini locali!) e poi dei risorgimentali, in quanto il Risorgimento fu davvero la Rivoluzione Italiana, dopo quella in  Francia.Per sessant’anni abbiamo rimpianto quel Regno e quella favola…per sessant’anni abbiamo scritto e documentato le infamie di coloro che distrussero quella favola…ricordo, da ragazzo, le prime letture e i primi sogni fatti sui due capolavori di Carlo Alianello: “L’Alfiere” e “l’Eredità della priora”… e l’amicizia con Silvio Vitale con il suo “L’Alfiere – Rivista tradizionalista napoletana” e poi Civitella del Tronto: ci vado (e fu Paolo Caucci l’ideatore!) da oltre cinquant’anni in quella Roccaforte eroica, ultimo baluardo del Regno delle Due Sicilie…e da 37 anni organizzo – prima da solo, poi con Ascanio Ruschi che, per ragioni anagrafiche, ne assicura la continuità, – annualmente gl’Incontri della Tradizione cattolica della “Fedelissima” Civitella del Tronto…Quello che noi andavamo dicendo e scrivendo da sempre lo riassunse magistralmente, nel 2010,Pino Aprile nella introduzione al suo fortunatissimo libro “Terroni” (ed. Piemme) :“Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni,(…)non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali(…)Ignoravo che in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i lanzichenecchi a Roma.<E che praticarono la tortura(non sapevo ) che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna(…) centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci: se donne, brigantesse o mogli, figlie di briganti; o consanguinei di briganti(sino al quarto grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. (…)IO credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglie per difendere il proprio paese invaso.(…) Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa gli istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa perché li squagliavano nella calce, come nell’Unione Sovietica di Stalin.(…)Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, fino al Gran Maestro Armando Corona, nel 1988).(…)Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno del Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)?

E che “c’azzecca”, per dirla alla Di Pietro, l’eroismo del soldato napoletano, il coraggio del popolo, la Resistenza alle occupazioni francese e piemontese e la fine del Regno favoloso con il “fischietto dell’arbitro” che decreta la fine della partita che ti ha fatto vincere lo scudetto? C’entra eccome se c’entra…Coloro che decretarono la fine del Regno portarono l’ideologia giacobina, ovvero una sorta di “giansenismo” laico che odiava il popolo napoletano in tutte le sue espressioni: rumoroso, invadente, non facile all’inquadramento…insomma una società “solidale”, dotata di fede popolare (quella fede popolare che si è cercato di sradicare dai cuori della gente con il Concilio Vaticano II) fedele alla Tradizione anche nelle piccole cose…a Napoli, per ogni evento, sposalizio, nozze d’oro e d’argento, laurea, diploma, compleanni etc. ci sono, per festeggiare con gli amici, confetti di colore diverso…E il cuore di Napoli, della Napoli tradizionale è proprio nei Quartieri popolari: il Porto, Pendino, Stella Sanità, i Quartieri Spagnoli: lì non accade che si possa trovare qualcuno morto in casa dopo un anno come succede nelle periferie anonime delle grandi città, lì la gente vive ancora di “scambi”, nessuno muore di fame e se qualcuno manca, un giorno, all’appello è dovere di tutti interessarsi della sua sorte.

In questi quartieri , particolarmente, avvenne quella breve primavera, negli anni Cinquanta, della stagione Laurina che sembrò rinnovare i fasti della Napoli Spagnola e Borbonica…fu un plebiscito per il Comandante Monarchico Achille Lauro, sembrava che dalle ombre camorristiche(la Camorra, fenomeno fino allora sconosciuto, fu ingaggiata e alimentata dal Farini, mediante Liborio Romano, per mantenere “l’ordine giacobino-risorgimentale”) potesse riemergere quel caro Regno dei miei sogni…macché! I demoniaci cristiani (ovvero i cattolici apostati ed eretici) riuscirono a “comprare” ben dodici consiglieri laurini e a far cadere così quell’amministrazione popolare e monarchica…i dodici Giuda (e chi scrive conosce bene la viltà e la sporcizia dei Giuda);il quotidiano “Roma”, diretto da Alberto Giovannini, uscì con un fondo, riferito ai  dodici Giuda, dal titolo. “I PUTTANI”…e da allora tutti sindaci napoletani, con la puzza sotto il naso, fecero a gara non tanto ad amministrare (male)la bella città ma a “punirla”, per la sua “sciatteria” dovuta a quell’appoggio popolare e “tradizionalista” dei Quartieri, e non solo dei Quartieri, tanto detestato (so di fare cosa non gradita a molti ma dal novero dei sindaci “fetenti” toglierei de Magistris, che di guai ne ha fatti tanti ma, almeno, amava e ama Napoli!)….

Ho vissuto -a quei tempi insegnavo a Napoli ed ero vaticanista e inviato speciale del “Candido” di Giorgio Pisanò, fondato da Giovannino Guareschi – in  prima persona il terremoto di Napoli e ricordo assai bene la mia battaglia (decine di servizi sul “Candido”) suggeritami da un noto amico giornalista napoletano e, come me, tradizionalista,contro la deportazione del popolo napoletano.

Già! All’inizio nessuno lo aveva capito (compreso il sottoscritto) un progetto diabolico, quando il Sindaco Valenzi, di non venerata memoria, iniziò insieme a tutti i gerarchi comunisti (ricordo bene l’Asssessore Geremicca)a fare un suo “apostolato laico”, contro il degrado dei Quartieri spagnoli, definiti ora “ghetto”, ora “rifugio dei camorristi”, ora “zone d’ombra e di criminalità”…insomma (e “Repubblica” suonava la Diana di guerra) luoghi da “chiudere” da “abbattere”… e insieme ai Quartieri c’era da far fuori anche i loro abitanti…

E allora il premiato duo Valenzi – Geremicca cercò di mettere in atto quel progetto: i quartieri erano inabitabili (un mio amico architetto che, con me e l’altro inviato di “Candido”, Guido Giraudo, fece una ricognizione in loco, ci disse invece che erano più sicuri i quartieri delle altre abitazioni  napoletane!) e pertanto andavano sgomberati, per cui coloro che avessero accettato di lasciare le loro abitazioni, avrebbe avuto gratuitamente un’abitazione a…Pianura, ovvero a diecine di chilometri dalla città, un luogo in cui mancavano strutture e luoghi di socializzazione: botteghe, chiese, ristoranti, farmacie…salvo una “Casa del Popolo”…sarebbero stati messi a disposizione ( e infatti furono messi) dei pullman per…la deportazione.

Pochissimi furono quelli che abboccarono (molti di notte se ne tornarono a Napoli)…la gente (la “plebe napoletana” secondo i fogli comunisti e le gazzette liberalrisorgimentali) preferì non abbandonare i propri “focolari” e inizio’ così una Resistenza contro il giacobin-stalinismo di Valenzi che, di giorno faceva costruire centinaia di muretti che impedissero l’accesso di ogni veicolo e anche delle persone alle abitazioni…e, di notte, il “popolo napoletano” abbatteva questi muretti…e la battaglia – non fu estraneo l’aiuto del “Candido” – fu vinta….da quella stessa gente che consapevolmente o meno, come noi, crede ancora a quella meravigliosa favola del Regno, e si entusiasma e gioisce – di fronte allo scandalizzarsi del giansenismo bacchettone – anche quando il fischietto arbitrale decreta la vittoria di questo scudetto.

E forse meglio di ogni analisi vale il “fondo” di Edoardo Vitale che su “L’Alfiere” dell’ottobre 2022 scriveva:
(…)E Napoli, unica metropoli occidentale ancora abitata dal suo popolo(e non da una miscela di sradicati alla ricerca di un surrogato di comunità),rappresenta l’avamposto occidentale, l’ultimo baluardo, della civiltà greco-romano-cristiana, di fronte all’immenso schieramento del Nuovo Ordine Mondiale livellatore e schiavista, che come un infinito sciame di cavallette attacca ogni manifestazione di bellezza e di umanità senza risparmiare nemmeno l’intimità delle nostre case. Ora, chi si lascia formattare il cervello accettando di inalarsi i gas tossici del Pensiero Unico, intuisce che la filosofia di vita prevalente al Sud, il mondo in cui vi si vive la socialità, la più diffusa insofferenza verso le norme percepite come irrazionali o ingiuste sono incompatibili con le trasformazioni che il globalismo liberista sta cercando di imporre. Un mondo capillarmente controllato, dove anche per la precarietà del lavoro si deve essere costantemente disposti a trasferirsi, dove è consigliato se non imposto il distanziamento fisico, dove il radicamento affettivo è considerato un disvalore, dove l’autorità si intromette in modo sempre più penetrante nella vita familiare e favorisce stili di vita contrari alla tradizione, dove le piccole attività legate al territorio vengono scoraggiate: questo mondo sconvolgerebbe tutti i punti cardinali della vita di uomini e donne del Sud. E contro questa prospettiva la società esercita,in varie forme una resistenza notevole. Soprattutto a Napoli città il cui popolo – per la maggior  parte della sua storia – ha sempre fatto valere la sua forza nelle decisioni politiche, è più evidente. Ne consegue che il gregge del Pensiero Unico vede Napoli come il lupo. E inneggia, dal Nord come dal Sud – un po’ per invidia verso chi ama la propria libertà, un po’ per paura del diverso – alla distruzione della città del golfo. Un odio, quindi, da capire. Che rappresenta per i napoletani un indiretto riconoscimento, ma che contemporaneamente rivela quale responsabilità storica e morale pesi sulle nostre spalle in questi nanni cupi “Ecco, l’avete capito, ora il nesso tra il fischietto dell’arbitro che decreta la vittoria agognata di un Campionato di calcio e la bellezza di quella favola del Regno…di un Re e di una Regina coraggiosi…e dei pochi che ancora credono a quella bellissima “favola “Io ci credo e, forse, inconsapevolmente ci credono tutti coloro che a Napoli o lontani dalla propria Patria, festeggiarono, ieri, festeggiano oggi e, speriamo, anche domani, la vittoria lontani dai piagnoni “democratici” e dai radical chic dei “Quartieri alti “e dai cretini che invocano: “Vesuvio bruciali tutti” e “Borboni = Africa”. Che altro dire se non gridare con loro: Viva Napoli.

E viva San Gennaro!