di Gildo della Querce
Vi sono occasioni, non poco ricorrenti, in cui la storia si incarica di rendere manifesta la tempra e il valore di qualcuno, specie con riferimento ai capi carismatici di un popolo o di una porzione di esso. Non è molto distante da quello che il salmista, sul piano tanto collettivo quanto individuale, designa con la felice espressione: «Ci hai passati al crogiuolo, come l’argento» (Ps 66, 11), a significare quell’insieme di circostanze che concorrono a far emergere il carattere di chi le sopporta.
Nel balletto repubblicanterzista, dal quale, bon gré mal gré, dipendono le sorti dei nostri figli e solo per questo lo attenzionioniamo con premura, la faccenda quirinalizia appena conclusa è stata certamente l’occasione per ciascuno dei leader politici di misurare le proprie forze e, soprattutto, le proprie capacità “direzionali”.
Duole, ancora una volta, constatare come la compagine del centrodestra, guidata da Matteo Salvini, che aveva l’onere di rappresentare la maggioranza relativa del Paese, abbia dimostrato una compattezza pari ad un grumo di neve al sole, liquefatta dalle melliflue trame di una agguerrita pattuglia di peones.
Ed è intollerabile che chi si ostina a governare con la tecnocrazia, facendo sponda politica a coloro che servono il potere dei poteri, non abbia nemmeno il garbo di assicurarsi un’inversione di rotta sul lungo periodo, in controtendenza al grigiore di conigli bianchi in campi bianchi.
Stiano in guardia costoro, che si accingeranno, presto a tardi, a voler nuovamente abusare della fiducia di elettori che da molti lustri, ormai, non godono di un’adeguata rappresentanza per la sola inettitudine dei rappresentanti.
Non sarà più sufficiente accettare rosari o brandirne ai comizi, di proclami ne abbiamo visti una collezione, solo esibiti; non vorremmo che gli odierni, drammatici tatticismi arrivassero direttamente dal Pian dei Giullari, da chi, invece di osservare gli arresti domiciliari nella quiete della collina, si adopera senza posa per riscattare le migliori sorti della figlia.
Se così fosse, il destino di capitan fracassa sarebbe segnato, prima che dalle urne, dall’impossibilità, come insegna il Goldoni, di essere al contempo servitore di due padroni.