di Corrado Gnerre
Fonte: Basta Bugie
In questi giorni di pandemia, si è tornati a parlare degli anziani. Molto spesso parcheggiati negli ospizi (termine più elegante: RSA) o affidati esclusivamente a badanti che vanno e vengono.
D’altronde – ogni tanto ci torniamo su – la nostra è una società degli anziani. E lo è e lo sarà ancora per molto. Anziani soli
Se non si mettono al mondo più figli, se il modello familiare è quello di un figlio e un cane, allora giocoforza gli anziani rimangono soli. È infatti sempre più frequente che si sposino figli unici. E così rimangono quattro anziani con solo due figli, per giunta in carriera… e il destino della solitudine è compiuto! Chi si prenderà cura di questi anziani? Le RSA o le badanti, e non altri che queste.
Dunque il problema è nel calo demografico, cioè nel fare pochi figli. Ma perché questo calo? Si dice sia la questione economica, la precarietà lavorativa. Forse c’è anche questo, ma non prendiamoci troppo in giro, l’intelligenza non può andare al massacro. Se valesse l’equazione questione economica-calo demografico, avremmo dovuto avere, con il boom economico degli anni ’60, un aumento delle nascite. E invece in quegli anni si verificò l’esatto contrario. Proprio quando la ricchezza pro-capite aumentava, s’iniziò a smettere di fare figli.
Dunque, il problema è un altro. Il problema è culturale, cioè di mentalità. Volendo essere precisi, c’è un problema strutturale ed uno esistenziale.
Il problema strutturale sta nel fatto che è cambiato il modello familiare. I ruoli dei genitori si sono omogeneizzati. La madre fondamentalmente si è dissolta iniziando ad occuparsi non anche di “altro”, ma prevalentemente di “altro”. Ha iniziato a vedere i figli come una sorta di ostacolo, per finire poi di convincersi di quell’enorme stupidaggine secondo cui non sarebbe importante la quantità ma solo la qualità del tempo.
Ma – dicevamo – c’è anche un problema esistenziale. Il calo demografico è l’esito (in un certo qual modo inevitabile) dello smarrimento della perdita del senso della vita. Cioè di non sapere più per quale motivo sacrificarsi, donarsi ed offrirsi. Mettere al mondo figli non è un gioco, ma una responsabilità. Una responsabilità non solo di suo, perché i figli devono essere bene accolti, ma una responsabilità perché viene richiesto impegno, lavoro, fatica. La fatica dell’amore, ma pur sempre fatica.
Se però ci si chiude in una prospettiva individualista ed edonista, quale impegno, quale lavoro, quale fatica?
E così la prospettiva individualista ed edonista sono inevitabili in un contesto in cui si è scartata la ragione del soffrire: la Croce. […]
Siamo stati bravissimi a trasformare il Vangelo in una sorta di Manuale delle Giovani Marmotte, bellino, carino, “politicamente correttissimo”, dove i sacrifici che vengono richiesti, sono solo quelli per affermare la propria personalità, i propri diritti… piuttosto che per immolarsi per i propri doveri, offrendo tutto se stessi, costi quel che costi.
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