tratto da: Stilum Curiae
di Fabio Adernò
Cari amici e nemici di Stium Curiae, Kafka e Orwell non bastano più a descrivere quello che sta accadendo nel nostro Paese, in particolare – ma non solo – per quanto riguarda le celebrazioni. Una saga che ha conosciuto ieri ulteriori sviluppi, con messaggi e comunicati, del Ministero degli Interni e la Segreteria della Cei. La penna graffiante dell’avvocato Fabio Adernò fa giustizia impietosamente e ironicamente degli uni e degli altri. Buona lettura.
È davvero troppo tardi.
Constatiamo, simultaneamente, da Avvenire (v. qui) e dalla CEI (v. qui) che il ruggito del micetto dell’ultima Nota è stato l’ennesimo sassolino nello stagno. Un po’ di rumore, giusto per ricordare che ci sono…
Ben presto dimenticati i domenicali boati ai limiti dell’isteria, è tempo di tornare ad allinearsi al neogiurisdizionalismo perfetto.
Nonostante le grandi parole che fatuamente rivendicavano autonomia e libertà di azione (“la Chiesa esige” e tante altre cose belle), la CEI torna subito col cappello in mano dal Governo a pietire spiegazioni circa le nuove irrazionali disposizioni contenute nell’ultimo capolavoro di ingegneria biolegale partorito dall’Esecutivo e, come se non fossero già bastate le umiliazioni ricevute lo scorso 27 marzo con la risposta sui riti della settimana santa (v. qui), gliene chiede un’altra, sollecitando spiegazioni sulle “cerimonie funebri”, le sole ad esser state “consentite” dal Leviatano sanitario nella “fase 2”. Lo stesso che decide chi possiamo incontrare e chi no.
Peraltro, restiamo davvero sorpresi nel constatare con quanta velocità galoppi il bizantinismo acrobatico delle attuali relazioni Stato-Chiesa, visto che non si è ancora finito di polemizzare sulla distinzione delle competenze e con affanno – senza riconoscere la natura diplomatica della questione – si torna sul luogo del misfatto e si propongono dei “quesiti” al Ministero degli Interni. Vien naturale chiedersi se giocare a nascondino rientri nelle tecniche di coordinamento tra due ordinamenti primari.
E la solerte risposta non è tardata ad arrivare (v. qui), firmata nuovamente dal prefetto Michele di Bari, e indirizzata stavolta al Segretario Generale della CEI, mons. Stefano Russo.
Nel documento di oggi, 30 aprile, nel Dipartimento per le Libertà Civili (che già risulta essere ossimorico di questi tempi) torna a farsi nuovamente esercizio di rubricismo e, tra le altre perle di neo-catechismo liturgico, si “concede” all’autorità ecclesiastica la libertà di scegliere quale “forma liturgica” adoperare nelle cerimonie funebri (e noi che pensavamo che ci avrebbero prescritto se usare i paramenti viola o neri… l’abbiamo scampata!).
In più, sacrestanicamente si bisbiglia che i riti finali della “commendatio” e dalla “valedictio” (toh!) sono anch’essi ad libitum, quando invece sono parte essenziale delle esequie (cfr. Rito delle Esequie, Premesse, n. 10); ma questo forse è sfuggito al “Ministero del Culto” di questa grottesca quarta repubblica.
D’altra parte, il contenuto del documento si appalesa davvero anomalo: cosa s’intende per “forma liturgica”? In che senso “forma”? È forse una categoria giuridico-amministrativa conosciuta al Viminale il sintagma “forma liturgica”? Si riferisce per caso alle tre “forme” previste delle premesse del Rito, una delle quali (quella nella casa del defunto) non è peraltro contemplata in Italia? Ma davvero il Ministero degli Interni di uno Stato laico viene a specificare ai sacerdoti cosa devono fare in occasione di un funerale? Ma la cosa più scandalosa è che sia lo stesso Segretario Generale a chiedere lumi in materia al Ministero dell’Internazione del Culto, come si deduce dallo stesso documento nel quale si legge apertis verbis: «come richiesto dall’E.V.» (= Eccellenza Vostra).
E alle ormai litaniche misofobiche raccomandazioni, l’estensore della risposta ne aggiunge un’altra, dal sapore tutto vetero-democristiano, perché viene pure a dire che la cerimonia deve svolgersi «in un tempo contenuto»; non so, vogliamo anche fornire uno schema su cosa dire nella predica, o si possono usare parole proprie?
Poi la stangata: «Nel caso in cui venga celebrata la messa». Ah! Dunque avevamo visto giusto… per “cerimonia funebre” lo Stato dispotico onniregolatore, oltre a indicare chi e quanti possano piangere un morto, non contempla in linea ordinaria la complessiva cerimonia in suffragio del defunto, ma solo, come avevamo sciaguratamente subodorato, il Rito esequiale! A questo punto, tanto valeva dire pure quali letture scegliere e quali orazioni recitare.
«Si avrà cura – leggiamo sbigottiti – che i partecipanti si allontanino quanto prima dal luogo della celebrazione, evitando la formazione di assembramenti ovvero di cortei di accompagnamento al trasporto del feretro».
Ma chiediamo a color che tutto sanno: a piedi o anche in auto? A dorso di mulo o in bici?
Lo Stato laico (lo stesso che non gradisce le ingerenze su argomenti che toccano l’etica e i costumi, lo stesso che legalizza la soppressione di vite innocenti, tanto nel grembo materno quanto sui letti della sofferenza) torna con prepotenza a usare i termini graziosi di nauseante matrice liberale, sprezzanti della libertà della Chiesa, e “concede” solo le cerimonie che possano svolgersi a determinate condizioni: dunque, anche qui, vien legittimamente da chiedersi se non dovremo aspettarci pattuglie di solerti agenti di polizia religiosa che sorveglino anche su questo e magari arrivino a impedire una celebrazione se non considereranno (arbitrariamente, s’intende) idonee le condizioni ambientali. E nei paesini dove la chiesa è quella che è? O così, o niente? È davvero la sagra dell’assurdo, ma anche dell’immoralità.
Epperò, se fosse solo questo torneremmo a dire che, quantunque sollecitato, lo Stato ha tracimato i margini della sua competenza e insiste a normare un aspetto (quello cultuale e propriamente rituale) sul quale non ha alcuna disponibilità, per natura e per scelta istituzionale.
Ma il problema non è solo questo, perché a questa risposta del Viminale segue un perfetto allineamento della CEI a quanto viene imperato. Dopo gli stracci di domenica, ecco uno scambio di amorosi sensi: io con te, tu con me. Perfetta incarnazione plastica del principio massonico-liberale per il quale la Chiesa è libera solo nello Stato, che è libero più di lei, s’intende, ed è gestore e padrone di ogni libertà.
Con una “nota complementare” (che già solo per il nome farebbe ridere, se non facesse piangere) a firma del medesimo mons. Russo, infatti, la CEI informa che «a complemento del testo del Ministero dell’Interno inviato questa mattina, vengono di seguito indicate alcune misure – già condivise – cui ottemperare con cura». O-t-t-e-m-p-e-r-a-r-e. Sia fatta la volontà dell’OMS…
In poche parole la Conferenza Episcopale – che è un ente della “costituzione gerarchica della Chiesa”, soggetto giuridico autonomo, indipendente e sovrano – emette una normativa “complementare” a quella di uno stato secolare, come fosse un qualsiasi organismo della funzione pubblica. Bene.
Ma vediamo insieme cosa dice questo capolavoro mitrato.
Anzitutto: «Prima dell’accesso in chiesa dei partecipanti alle esequie funebri» si dovrà «garantire» (ciò significa che sarà obbligatoria) la presenza di «un addetto alla sicurezza» che si occupi della «misurazione della temperatura corporea, attraverso un termometro digitale o un termo-scanner».
Al di là dell’assurdità della prescrizione, viene da chiedersi se questo “addetto alla sicurezza” sarà il sagrista, o comunque persona scelta dal sacerdote, ovvero se sarà una figura fornita dalle autorità sanitarie; d’altra parte, ci chiediamo anche: 1) il termo-scanner si acquista o viene dato in uso? 2) Se si deve acquistare, a spese di chi? 3) Chi li fornisce? Il servizio sanitario nazionale tramite CEI a tutte le parrocchie e alle chiese d’Italia? Ma seriamente? O è una barzelletta?
Ci piacerebbe ma…c’è poco da ridere, perché il Segretario Generale della CEI è chiaro: «Venga bloccato l’accesso a chi risulti avere una temperatura corporea superiore ai 37,5°C.». Caspita! Un interdetto sanitario in piena regola! È andata meglio all’untore del Manzoni…
Immancabile la conferma dell’asservimento totale alle direttive statali: «Vista la possibilità di celebrare le esequie anche con la Santa Messa». “Anche”… cioè il Segretario Generale della CEI considera con animo grato la concessione dello Stato di poter celebrare la Messa… eccerto, perché avevamo bisogno che lo scrivesse il prefetto che la Messa per i morti si può dire…
Seguono quindi patetiche disposizioni liturgiche: «nel momento della distribuzione della Comunione eucaristica si evitino spostamenti. Sia il celebrante a recarsi ai posti, dove i fedeli – al massimo quindici – sono disposti nel rispetto della distanza sanitaria.». Manca uno schemino però, perché non è molto chiaro se il celebrante – che non abbiamo ben capito se è contemplato o meno nel novero dei “15 uomini sulla bara del morto” – dovrà avvicinarsi ai banchi lateralmente o frontalmente, né se dovrà comunicare prima i fedeli che stanno a destra e poi a sinistra… quanta imprecisione!
«Il sacerdote indossi la mascherina, avendo cura di coprirsi adeguatamente naso e bocca, e mantenga a sua volta un’adeguata distanza di sicurezza.»: quando? Anche durante la Consacrazione per proferire le parole della transustanziazione? Cos’è a rischio di contagio? L’Ostia immacolata che lui stesso consumerà subito dopo? Domine, ut videam!
«La distribuzione dell’Eucarestia avvenga dopo che il celebrante abbia curato l’igiene delle proprie mani; lo stesso abbia cura di offrire l’ostia porgendola sulle mani dei fedeli, senza venire a contatto fisico con esse.». Bene, il secondo lavabo con l’amuchina prima della comunione nemmeno nelle messe pontificali… ma sinceramente la cosa grave è l’obbligo (implicito ma chiaro) della comunione in mano. I Vescovi, cioè, costringono a un atto che è contronatura, sia per l’azione in sé come insegna San Tommaso (cfr. S. Th III, q. 82, a. 13) sia perché la comunione in mano è solo una permissione, ma non può mai costituire un obbligo per tutti i fedeli (cfr. Congregazione per il Culto Divino, Lettera del 3 aprile 1985, n. 7, EV 1539).
«Per quanto concerne la sanificazione, la chiesa sia igienizzata regolarmente, mediante pulizia delle superfici e degli arredi con idonei detergenti ad azione antisettica.»: bene, ma chi paga?
«Al termine di ogni celebrazione si dovrà favorire il ricambio dell’aria»: ma si può usare l’incenso? E l’acqua per l’aspersione della bara? Dev’essere amuchina benedetta?
Tra le chicche finali poi leggiamo: «Si consideri anche l’ipotesi di celebrare le esequie funebri all’aperto nelle aree cimiteriali ove vi sia la possibilità di mantenere un adeguato distanziamento fisico.». Al di là di ogni considerazione di opportunità circa l’adozione di obblighi che hanno solo carattere surreale nemmeno la chiesa fosse una sala operatoria per interventi a cuore aperto, ci chiediamo quante specie di “esequie” vi siano nella liturgia cattolica oltre a quelle “funebri”.
Alla immancabile chiosa di trasparenza («L’Autorità ecclesiastica competente informi tutti i fedeli e chiunque entri in chiesa sulle disposizioni di sicurezza sopraindicate, sia attraverso i suoi canali di comunicazione, sia affiggendo all’ingresso della chiesa stessa appositi cartelli informativi.»), segue l’ennesima raccomandazione sanitaria: «Sia indicato anche l’obbligo di rimanere a casa in presenza di temperatura corporea oltre i 37,5°C o di altri sintomi influenzali. Si raccomandi di non accedere comunque alla chiesa e di non partecipare alle celebrazioni esequiali se sono presenti sintomi di influenza o vi è stato contatto con persone positive a SARS-COV-2 nei giorni precedenti.».
Dunque adesso un mal di testa e un ipotetico starnuto diventano impedimento canonico personale per l’accesso al luogo di culto (sotto forma di interdetto, dunque di censura canonica, a norma del can. 1332 CIC), al netto del fatto che nemmeno a chi è scomunicato è fisicamente impedito entrare in chiesa (cfr. can. 1331). Però, in compenso, al supermercato si entra senza controllo. Giusto! E si chiede addirittura ai fedeli di sostituire “l’esame di coscienza” con “l’esame della conoscenza”, cioè andare a ritroso nella memoria e ricordarsi, sub poena inderdictionis, di aver incontrato qualcuno che forse era stato affetto da covid-19. Facevano prima a chiedere il libretto sanitario con l’elenco delle malattie esantematiche. E se era asintomatico? A volte anche l’intelligenza lo è…
Ci siamo sforzati di prenderla a ridere, ma c’è molto poco da ridere. Siamo davanti all’assurdo, alla somma delle irrazionalità più eclatanti e sconcertanti che si potessero mai contenere in una (che grazie a Dio non è una fonte del diritto canonico né costituisce una base legale ma solo, in linea di principio, un indirizzo, anche se i toni non sono poi tanto morbidi come abbiamo visto).
Il problema è che ora, a questa epifania di irrazionalità, seguiranno probabilmente molti decreti singolari dei Vescovi che patriotticamente si sentiranno in dovere di applicare queste assurdità per decreto.
A questo punto sarebbe auspicabile che si evitassero le celebrazioni delle Messe e si svolgessero solo i riti finali, giusto per compiere più cristianamente il pietoso ufficio della sepoltura, senza recare ulteriore offesa al Creatore.
Resta l’amarezza e lo sbigottimento davanti a ciò che accade innanzi ai nostri occhi. Uno spettacolo impietoso, grottesco, gravido di irrazionalità e contraddizioni logiche.
Vero, la norma irrazionale è in sé ineseguibile, e secondo il perenne caposaldo della teologia morale «lex positiva non obligat cum gravi incommodo». Però è anche vero che appare assurdo trovarsi a discutere e commentare simili indicazioni provenienti non da un Soviet ma dalla stessa gerarchia che davvero, alla luce di ciò, pare davvero aver solo starnazzato argomenti ai quali essa stessa sembra sciaguratamente non credere.
E come se non fosse già satura delle offese ricevute da un’autorità secolare che – è evidente – agisce in odium Fidei dando vita a una normativa ossessivamente liberticida; come se non fosse già abbastanza aver ricevuto un trattamento ingiusto – prima ancora che ingeneroso – alla luce del diritto naturale, costituzionale e internazionale; come se difendere i diritti suoi e dei fedeli non fosse logica conseguenza di difendere i diritti di Dio; dimentica dell’esempio di libertà dei martiri e dei santi, essa cosa fa ancora una volta? Va da Cesare, umiliata e prona, a chiedere cosa si può fare e cosa no, cosa è lecito e cosa no, in casa propria. Essa, la stessa istituzione che ha inventato gli ospedali, che ha curato miliardi di ferite, fisiche e spirituali, che è stata presidio ed esempio di civiltà e libertà soprattutto nelle ore più buie della storia dell’umanità, Essa, la Chiesa, la sposa immacolata di Cristo, chiede lumi ad un governo neo-giacobino ed emette una “nota complementare” che la allinea perfettamente all’asse neo-giurisdizionalista decretando la sua capitolazione morale, prima ancora che istituzionale. E per la seconda volta, sorda e cieca. Va bene il “porgi l’altra guancia”, ma come diceva Andreotti «il buon Dio, con molta intelligenza, di guance ce ne ha date soltanto due».
Ora basta!
Fabio Adernò