di Vittorio Acerbi

La musica è un linguaggio universale. Più precisamente la musica è il linguaggio universale della bellezza. Poiché la musica è universale, vediamo persone di origini culturali e religiose completamente diverse che si fanno afferrare e parimenti guidare da essa e che se ne fanno interpreti.

È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile.

La musica, più in generale l’arte, può diventare quindi un veicolo privilegiato di incontro e di reciproca conoscenza e stima fra popolazioni e culture diverse; un mezzo alla portata di tutti per valorizzare l’universale linguaggio dell’arte.

A mio avviso ritengo che sia dovere di ogni uomo imparare a suonare uno strumento: un intero universo di musica che ci porta dall’insondabile al gioioso, dal serio al faceto, dal grandioso all’umile; il dialogo interiore delle melodie.

Il suonare insieme (di più strumenti) da solisti richiede dal singolo, non solo l’impegno di tutte le sue capacità tecniche e musicali nell’esecuzione della propria parte, ma al contempo, sempre, anche il sapersi ritirare nell’ascolto attento degli altri. Solo se questo riesce, se cioè ciascuno non pone al centro se stesso ma, in spirito di servizio, si inserisce nell’insieme e, per così dire, si mette a disposizione come “strumento”, affinché il pensiero del compositore possa diventare suono e raggiungere così il cuore degli ascoltatori, solo allora si ha un’interpretazione veramente grande.

La musica ci aiuta a meditare sulla complessità della vita e sulle piccole vicende quotidiane. Ogni giornata è un intreccio di gioie e dolori, di speranze e delusioni, di attese e di sorprese, che si alternano in modo movimentato e che devastano nel nostro intimo le domande sul “da dove”, ma soprattutto sul “verso dove”, ossia verso il vero senso della stessa nostra esistenza. La musica, che esprime tutte queste percezioni, come in uno specchio, riflette le vicende della storia personale e di quella universale. Non solo, ma ci offre ancora di più: mediante i suoi suoni ci porta come in un altro mondo ed armonizza il nostro animo. Trovato così un momento di pace, siamo in grado di vedere, come da un punto elevato, le misteriose realtà che l’uomo cerca di decifrare.

Possiamo immaginare la storia del mondo come una meravigliosa sinfonia composta e che costantemente viene eseguita. Sebbene a noi la partitura a volte sembra difficile e complessa, colui che l’ha composta ne conosce dalla prima sino all’ultima nota. Non siamo chiamati a prendere in mano la bacchetta del direttore, e ancora meno a cambiare le melodie secondo il nostro gusto. Ma siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare nell’esecuzione di tale stupendo capolavoro.

La IX Sinfonia, questo capolavoro imponente che appartiene al patrimonio universale dell’umanità, suscita sempre la mia meraviglia: dopo anni di auto-isolamento e di vita ritirata in cui Beethoven aveva da combattere con difficoltà interne ed esterne che gli procuravano depressione e profonda amarezza, e minacciavano di soffocare la sua creatività artistica, il compositore ormai totalmente sordo, nell’anno 1824, sorprese il pubblico con una composizione che rompe la forma tradizionale della sinfonia e, nella cooperazione di orchestra, coro e solisti, si eleva ad uno straordinario finale di ottimismo e di gioia. Che cosa era accaduto?

La musica stessa lascia intuire qualcosa di ciò che sta alla base di questa esplosione inaspettata di giubilo. Il travolgente sentimento di gioia trasformato anche qui in musica non è qualcosa di leggero e di superficiale: è un sentimento conquistato con fatica, superando il vuoto intorno di chi dalla sordità era stato spinto all’isolamento. La solitudine silenziosa, però, aveva insegnato a Beethoven un modo nuovo di ascolto che si spingeva ben oltre la semplice capacità di sperimentare nell’immaginazione il suono delle note che si leggono o che si scrivono.

La musica non si ascolta con le orecchie, si ascolta con il cuore.

Dopo la torre di Babele le lingue separano gli uomini, creano barriere. Ciononostante c’è una parte indistrutta del mondo, ed è la musica: la lingua che noi tutti possiamo capire, perché tocca il cuore di noi tutti. Questo per noi non è solo una garanzia che la bontà e la bellezza non sono distrutte, ma che noi siamo chiamati e capaci di lavorare per il bene e per il bello.

Per questa consolazione, per questo conforto nella nostra vita di tutti i giorni, siamo grati alla musica.

                                                                                                                                                                        Vittorio Acerbi