di Gennaro De Crescenzo

Tratto da Post 1Post 2

SOLDATINI. Nei giorni del ricordo di Pietrarsa, Lauria, Pontelandofo, Casalduni, Auletta…

Da piccolo ho avuto centinaia di soldatini, indiani e cowboy, archi e frecce, fucili, pistole e battaglie su battaglie. Avrò massacrato tanti indiani e forse dovrei chiedergli scusa. Sì, perché a quel tempo non c’erano dubbi: i buoni erano i cowboy e i cattivi gli indiani. Uscivamo, del resto, da decenni di libri e film con questo schema e i soldatini di plastica lo riproducevano. Poi arrivarono i primi film-verità e poi i primi libri e poi addirittura la politica con scuse e risarcimenti per le stragi di cui i “nativi” furono vittime ad opera dei “nuovi americani”. Oggi qualche pensiero mi torna in mente e capisco come possano essere importanti film, romanzi o media e, cambiate le cose da cambiare, quello schema mi sembra che somigli molto a quello delle cose nostre. Per circa un secolo e mezzo ci hanno raccontato di eroi che, più o meno come i cowboy, sarebbero venuti a liberare e non a conquistare il Sud e per circa un secolo e mezzo ci siamo convinti di questa tesi (maggioritaria, con poche ed eroiche eccezioni) e del fatto che i meridionali (prima i Borbone, poi i briganti, poi i terroni) erano brutti sporchi e cattivi più o meno come gli indiani. Da circa 30 anni, grazie a ricerche&divulgazione dei neoborbonici e di (ormai) numerosi storici e scrittori, la tesi maggioritaria non è più quella degli eroi belli e buoni. Ecco: se esistessero ancora i soldatini di plastica qualcuno dovrebbe cambiarli pensando alla storia delle Due Sicilie e dell’unità d’Italia. E mancano ancora scuse e risarcimenti (morali se non materiali) perché le questioni meridionali, da allora in poi, sono nate e ancora non sono state risolte. Ecco perché la “battaglia”, inevitabilmente, è e sarà prima culturale e poi politica. E noi stiamo continuando a continueremo a “combatterla”. Pure senza “soldatini”.

Gennaro De Crescenzo

LE “PERLE” ANTINAPOLETANE DI FACCI E IL SOLITO “RAZZISMO” NEL “RAZZISMO”.

– “Napoli fa schifo, in tutta Europa non esiste una città del genere”…

– “Quello della spazzatura di Napoli è un problema storico-culturale che salta ancora agli occhi e al naso”…

“Costantinapoli” la sua definizione della città turca “sporca e puzzolente”…

“Maradona aveva difetti da mediocre imbecille e i napoletani si sono identificati in lui creando una deificazione che fa venire la nausea”…

– “Se i napoletani lavorassero come piangono” (dopo la sconfitta in coppa con il Milan)…

Queste alcune delle “perle” che il giornalista Filippo Facci ha dedicato a Napoli in questi anni e a niente sono servite proteste (dei neoborbonici e di pochi altri), pec o denunce all’ordine dei giornalisti perché in Italia esiste il “razzismo nel razzismo”: puoi dire quello che vuoi di Napoli o del Sud e non succede nulla e, anzi, fai pure carriera e magari sei ospite fisso in tv e magari, come in questi giorni, ti affidano pure un programma in prima serata su Rai Uno (tv pubblica e pagata anche dai Napoletani e dai meridionali). Se però Facci offende altre categorie o altre comunità scatta (giustamente) l’indignazione nazionale e magari ti cancellano pure il programma, com’è capitato in queste ore.

Funziona così da oltre 160 anni e questa è una delle basi più solide di una questione meridionale nata solo 160 anni fa e mai risolta proprio perché il problema è culturale e fino a quando (dai bar alle curve, dalle redazioni dei giornali fino alle aule parlamentari) esisterà questo “razzismo” strisciante ed esisteranno questi (immotivati) complessi di superiorità padani e questi (immotivati) complessi di inferiorità meridionali, non ci saranno mai pari diritti tra Nord e Sud.

Gennaro De Crescenzo