Pucci Cipriani

Per gentile concessione dell’Editore Solfanelli pubblichiamo il capitolo 1*(31 gennaio.San Giovanni Bosco una vita tra cielo e terra) del libro di Pucci Cipriani : “La Memoria negata: Appunti per una storia della Tradizione cattolica in Italia” – Terza edizione Chieti 2020 

San Giovanni Bosco è un grande Santo e sarebbe sbagliato ridurre la sua opera a quella — per dirla con Cristina Siccardi che ha pubblicato un libro assai interessante: Don Bosco mistico (1) — impostata ideologicamente di un “Santo sociale” o di un grande manager o di un modesto psicologo (ovvero una sorta di ciarlatano) o pedagogista-pedagogo o, peggio ancora, un anticipatore del Concilio Vaticano II, lui che tenne tanto alla purezza della Fede; egli fu un sacerdote eccezionale posto, appunto, “tra cielo e terra”, che cercò, in tutta la sua vita di rendersi Santo e di far sì che anche gli altri si santificassero: portare tante anime in cielo e rapirle al Demonio, all’inferno.

«Chi rifiuta — scriveva don Bosco nelle sue Meditazioni — Dio fino all’ultimo, cioè anche mentre muore, continuerà a rifiutarlo per sempre! Perciò la Giustizia divina, nel rispetto della libera scelta fatta dalla sua creatura, la allontana per sempre da Sé, lasciandola andare al destino di chi ha rifiutato il Sommo Bene per scegliere il sommo male, cioè l’INFERNO ETERNO. Oh! Inferno, Inferno! Quanto sono infelici quelli che cadono nei suoi abissi!»

Egli visse di visioni, di “sogni”, cioè ebbe una continua visitazione del “Divino”, infatti nell’antico quanto nel nuovo Testamento, e del resto anche nella vita di molti Santi, abbiamo esempi di messaggi o comandi o spirito di profezia e di assistenza celeste. Egli mise al servizio della sua missione e della Tradizione questi doni profetici usando la sua “agile penna” contro le eresie e gli errori dell’epoca come il Liberalismo e la Massoneria difendendo la Chiesa e la sua dottrina.

Don Bosco è dunque un Santo della Tradizione e, in tutta la vita, osteggiato dalla Setta e dal suo vescovo modernista Gastaldi, si adoperò per instaurare il Regno di Dio. Ebbe sempre chiaro il disegno della Setta che (ieri come oggi poco è cambiato), divenne ancora più evidente quando ebbe tra le mani “l’Istruzione massonica”, un progetto che non rimase sulla carta ma venne applicato con rigore:

Il Papa… non verrà mai alle società segrete; tocca alle Società segrete di fare il primo passo verso la Chiesa e verso il Papa, collo scopo di vincerli tutti e due… Quello che noi dobbiamo cercare ed aspettare, come gli Ebrei aspettano il Messia, si è un Papa secondo i nostri bisogni… Con questo solo noi marceremo più sicuramente all’assalto della Chiesa, che cogli opuscoletti dei nostri fratelli di Francia e coll’oro stesso dell’Inghilterra… Come l’Inghilterra e la Francia, così l’Italia non mancherà mai di penne che sappiano dire bugie utili per la buona causa…

Il popolo qui fra noi, in Italia, è nell’infanzia del liberalismo. Ora egli crede ai liberali come più tardi crederà a qualunque altra cosa. Schiacciate dunque, schiacciate dunque il nemico qualunque siasi, quando è potente a forza di maldicenze e calunnie, ma soprattutto schiacciatelo quando è ancora nell’uovo.

Alla gioventù infatti bisogna mirare: bisogna sedurre i giovani: è necessario che noi attiriamo la gioventù, senza che se ne accorga, sotto le bandiere delle società segrete. I vostri genitori, i vostri figli, le vostre stesse donne dovranno sempre ignorare il segreto che portate in seno. E se vi piacesse, per meglio ingannare gli occhi scrutatori, di andarvi a confessare sovente, voi siete autorizzati a serbare, anche al confessore il più assoluto silenzio sopra questa materia, giacché voi sapete che la menoma rivelazione, che il più piccolo indizio sfuggitovi nel Tribunale della Penitenza o altrove può condurci a grandi calamità: e che il rivelatore volontario o involontario sottoscrive con ciò stesso la sua sentenza di morte (pugnale o veleno).

Bisogna lasciare in disparte i vecchi e gli uomini maturi. Andate, invece, diritto alla gioventù, se è possibile, anche all’infanzia…

Don Bosco cercò di dissuadere il re d’Italia Vittorio Emanuele dal firmare le leggi inique sulla confisca dei beni ecclesiastici con il racconto dei suoi sogni profetici:

Un valletto in uniforme rossa arriva e annunzia: “Gran funerale in Corte”. Giorni dopo il sogno si ripete con una variante significativa e il valletto grida: “Non grande funerale a Corte ma grandi funerali a Corte”. Ma Cavour, il vero genio del male, vince le comprensibili perplessità del Re terrorizzato, facendo venire in suo aiuto i preti apostati liberali: “Maestà non vi spaventate don Bosco appartiene al passato, come al passato appartengono le profezie”.

La legge contro i conventi è in discussione in Parlamento e la Corona è colpita da lutti gravissimi: il 12 gennaio muore a 54 anni la Regina Madre Maria Teresa; il 20 gennaio a trent’anni la regina Maria Adelaide; il 10 febbraio a 33 anni Ferdinando Duca di Genova, fratello del Re, il 10 maggio a quattro mesi Vittorio Emanuele, ultimogenito del Re.

Ma don Bosco non si ferma qui e ricorda a Vittorio Emanuele: “La famiglia di chi ruba alla Chiesa non giunge alla quarta generazione! Se V.S. segna quel decreto segnerà la fine dei reali di Savoia”. E i Savoia non sono arrivati alla quarta generazione.

Ecco don Bosco nella sua opera ebbe sempre presente questo progetto della sovversione e cercò di avvicinare i giovani e l’infanzia con l’amore, con l’esempio, con la preghiera, con l’istruzione. Grande la sua produzione letteraria, storico-teologica, dal Catechismo della Chiesa alla bellissima Storia della Chiesa fino alla Storia d’Italia. Scrisse dottamente e in modo da farsi capire da tutti: leggeva i suoi scritti a mamma Margherita che era analfabeta ed era lei a indicargli gli argomenti meno comprensibili.

Oggi in un’epoca di cedimenti, di confusione, di dialoghi “ecumenici” più o meno sincretisti, sentite con quale chiarezza spiega ai suoi ragazzi Maometto e la sua religione:

Il famoso impostore Maometto nacque da povera famiglia di padre gentile e di madre ebrea nella Mecca, città dell’Arabia. Vagando in cerca di fortuna fu fatto agente di una vedova mercantessa di Damasco che poi lo sposò. Siccome soffriva di epilessia, egli seppe servirsi di questa sua infermità a provare la religione da sé inventata, affermando che quelle frequenti cadute erano altrettante visioni in cui egli aveva colloqui con l’Arcangelo Gabriele.

La religione che esso predicava è un miscuglio di paganesimo, di giudaismo e di cristianesimo. Ammette un solo Dio, e riconosce Gesù Cristo, non come figliolo di Dio, ma soltanto come profeta. Vantandosi per altro superiore al Divin Salvatore, venne tosto eccitato a far miracoli al pari di lui…

Scrisse la sua credenza in lingua araba in un libro cui diede nome Corano, ossia libro per eccellenza, nel quale si vanta di aver operato un miracolo per altro molto ridicolo. Narra, cioè, che essendo caduto un pezzo della luna nella sua manica si gloriava di averla saputa racconciare; il perché i maomettani presero per insegna la mezzaluna.

Conosciuto per uomo perturbatore, i suoi concittadini volevano ucciderlo. Ma l’accorto Maometto pigliò la fuga, e ritirossi a Medina con alcuni avventurieri che l’aiutarono a impossessarsi di quella città. Questa fuga di Maometto appellasi Egira, che vuol dire persecuzione e da essa appunto cominciò l’Era Musulmana corrispondente all’anno di Gesù 622.

Il suo Corano è pieno di contraddizioni, assurdità e ripetizioni. Non sapendo scrivere, Maometto fu aiutato da un ebreo e da un monaco apostata persiano, di nome Sergio.

Il Maomettanesimo favorendo il libertinaggio ebbe tosto molti seguaci, ed in breve il suo autore divenuto capo di formidabili masnadieri, poté, con le parole, ma specialmente con le armi, dilatarla quasi per tutto l’Oriente. Maometto dopo nove anni di regno tirannico morì nella città di Medina nell’anno 632. (2)

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Quanti equivoci si eviterebbero e quanti cervelli balzani si metterebbero a posto con il linguaggio chiaro dell’evangelico: “sì sì no no”, con quelle opere che don Bosco compose per i suoi alunni si formarono generazioni di buoni cristiani… ma oggi don Bosco, dopo aver cercato di contrabbandarlo per un Santo precursore del Concilio, si è messo da parte… anzi appare ai novatori come un impenitente reazionario specie quando vengono ricordate le persecuzioni politiche da parte dei liberali che ebbe quel prete che, conosciuta “L’Istruzione” della Setta, lavorò infaticabilmente per portare nei granai del Signore opime messi. 

* * *

Dai salesiani tutto era ordine e gerarchia: la campana che suonava l’ora d’entrata delle lezioni, il termine delle stesse e “l’Angelus” e poi il Direttore, il Prefetto, il Consigliere, i professori, i fratelli laici… Alle otto la Santa Messa, quindi l’inizio delle lezioni alle 8,30, a mezzogiorno al suono della campana, l’Angelus, le preghiere prima dell’inizio di ogni attività. Si viveva in comunità l’anno liturgico e i colori dei paramenti sacri, i gesti del celebrante, l’incenso, le laudi… tutto aveva un suo significato, un senso che noi conoscevamo e vivevamo.

Quanti sacerdoti ricordo dell’Istituto Salesiano dell’Immacolata di Firenze: don Larghi, il Consigliere, don Gambaro e don Breschi due docenti di latino nelle medie, don Ivo Paltronieri, il Direttore, don Capace che morì, investito da un’auto, mentre andava, in bicicletta, a portare il viatico a un morente, e poi don Morelli il Direttore dell’oratorio, il sig. Fregnani uno dei maestri artigiani, don Riccardi il professore di latino e greco di mio fratello e il professore di disegno Bilik, un cecoslovacco, fratello laico… ricordo le belle edizioni dei libri della SEI che prendevamo nella libreria salesiana di via Gioberti o, direttamente, dal Prefetto che te li metteva in conto, insieme alla retta mensile.

Il protettore e l’esempio dei giovani oratoriani era san Domenico Savio, il giovane della purezza che andava ripetendo: «La morte ma non il peccato!»

A dodici anni già sapeva di dover morire; non ce la faceva più, non reggeva allo studio e al collegio, fu quindi deciso di rimandarlo in famiglia a Mondonio. Accettò tutto serenamente: «Arrivederci dove saremo sempre con il Signore…» si congedò, così, dai suoi compagni che erano andati a trovarlo. 

Le ultime parole furono rivolte al suo babbo: «Addio, caro papà… Oh, che bella cosa io vedo mai!»

Don Bosco fu il primo biografo del Santo, quel candido giglio che il 9 marzo 1857: «aprì la sua bianca corolla nel giardino dei Santi.»

Il 9 marzo, all’oratorio salesiano, il pomeriggio, e la mattina, alla Messa, prima dell’inizio delle lezioni si cantava la laude del Santo: 

Gloria o Savio a te si canti

A te fior di gioventù.

Deh noi pur tu rendi Santi 

Per l’amor di tue virtù.

Di rose e di gigli

cospargi il sentier 

all’alme anelanti 

al bene ed al ver

O angelico Savio 

dei giovani onor

Dal cielo tu guida

i giovani cuor. 

La memoria di don Bosco si celebra dunque il 31 gennaio: a scuola “dai salesiani” era giorno di festa ma dovevamo andare lo stesso all’Istituto e andavamo volentieri perché quelle feste entusiasmavano e la mattina c’era la Santa Messa solenne, in terzo, con diacono e suddiacono, si cantava l’inno a don Bosco, quello che cantavamo spesso, anche durante l’anno scolastico: 

Giù dai colli un dì lontano

con la sola madre accanto

Tu scendesti verso il piano

dei tuoi sogni al dolce incanto!

Oggi o Padre non più solo 

per le strade passi ancora;

dei tuoi figli immenso stuolo

con gran giubilo T’onora!

Don Bosco ritorna 

tra i giovani ancor

ti chiaman frementi

di gioia e d’amor.

Sì ritorna sorridente

l’opra tua il mondo acclama; 

ora è vita rifulgente

quel che già fu sogno e brama!

Torna e guarda: a mille a mille

stanno i figli all’opre intenti;

l’ore scorrono tranquille

tra il lavoro ed i concerti!

Don Bosco ritorna ecc.

Subito dopo la Messa in refettorio con gli “interni”, così si chiamavano i convittori, per una colazione con la cioccolata in tazza e il pane con il burro, talvolta anche le brioches… alla sera, dopo la benedizione Eucaristica delle 14,30, tutti al Teatro Don Bosco, con le famiglie, dove si assisteva un meraviglioso spettacolo: l’Accademia in onore del Santo. Recite dei ragazzi di tutte le classi dalle medie (anzi c’era anche la quinta elementare) fino alla terza liceo: a Firenze c’erano, allora, i due anni di ginnasio e i tre del liceo classico; canti, recita di poesie, monologhi, cori… e da settimane ci preparavamo a questa festa, a questa “Accademia” che riceveva il plauso dei tanti familiari presenti.

E l’Accademia terminava sempre con un altro inno a don Bosco, forse il più bello:

Don Bosco la gloria dei cieli

ti cinge; t’esalta la terra;

i fiori di campo e di serra

profumano il bianco tua altar.

Eppur tu volgi sul mondo

ancora paterno tuo sguardo

ancora tu lanci gagliardo

il sacro tuo grido d’amor:

da mihi animas!…

Un’altra festa classica nelle scuole salesiane era la festa degli ex allievi: si teneva una volta all’anno, in genere una delle ultime domeniche di scuola ed erano invitati tutti gli alunni (ma anche gli oratoriani) che erano stati precedentemente alla scuola di don Bosco. Tavolate di persone attempate che rievocavano le partite di calcio, le interrogazioni, gli esercizi spirituali (tre giorni ogni anno) e quelli della buona morte che si facevano una volta al mese.

Era davvero giorno di festa perché alle tavolate degli “ex” si univano anche gli studenti degli ultimi due anni del Liceo e così si creava una felice sintesi tra il passato e il presente come, appunto, comanda la Tradizione.

A Firenze io andavo ogni anno alla festa con l’amico avvocato Luigi Clarckson che era il Presidente degli ex allievi; a Borgo San Lorenzo (e non vi dico quanti anni son passati!) il sig. Gino Squarcini, al termine del pranzo, che si prolungava nel pomeriggio, acclamatissimo, recitava quello che era il suo pezzo forte, i monologhi della Gina Pagani: Il Balio, La Fattoressa delle monache, La Perpetua e quest’ultimo monologo mandava in visibilio nel sentir discorrere in vernacolo fiorentino un’attempata Perpetua:

Tanto lui (accennando al priore) i’ dottore gli ha detto che ne mangi poca di carne… e io ci guardo, ’nteso? ‘un mi’ vo’ rimorsi; piuttosto la mangio io… Anch’io, siamo giusti, che ho goduto nulla ni ‘mi ‘mondo? Pe’ dieci anni mi toccò succiammi qui crostino della sora Zenobia, (accennando al priore) la su’ mamma bah… L’avea poi qui viziaccio; ugni tanto l’era co’ i’ dito a sfruconà le galline pe’ sentì se l’aveano a fa l’ovo… fammi sentire poerina… — Uggiosa con qui tastare la mi facea una rabbia… La sapea sempre quant’ova gli aveva a nascere; un mi riusciva mai di bevenne neanche uno… gnene feci perdere, veh, qui’ viziaccio… una mattina a bruzzico quando la veddi entrare in cucina, gni mandai incontro i’ gatto. — La badi, costì, tra’ piedi, la ci ha una gallina — Lei mezza cischera come l’era la si china. — Fammi sentire, poerina. — (fa l’atto) i’ gatto a sentissi fa qui verso co’ i dito su pe’.., Madonnina benedetta! (imitando il verso del gatto che si rivolta) gni si rivortò come una tigre e pe’ poco un l’acceca…

E allora per Gino Squarcini, filodrammatico bravissimo, erano applausi a scena aperta…

Quando ci lasciavamo era triste ma c’era la speranza di un nuovo incontro: vecchi e giovani, insieme nello spirito di don Bosco… 

Poi i salesiani partirono e finirono così quelle feste tradizionali, la festa di don Bosco e quella degli ex allievi… sparirono anche due bei quadri ad olio, uno di don Bosco e uno di Domenico Savio, opere dell’artista scarperiese Gigi Savi, che stavano, venerati dalla gente, ai lati della balaustra scampata miracolosamente (grazie al prof. Mario Bini, Ispettore Onorario delle Belle Arti) all’iconoclastia post conciliare…

Poi, negli anni Novanta, un ex allievo salesiano, Pier Luigi Naldi, da sempre innamorato dell’Opera di don Bosco, con pazienza certosina — all’epoca non c’era il computer — organizzò una “rimpatriata” di tutti gli ex allievi salesiani (era oltre vent’anni che i sacerdoti di don Bosco se n’eran partiti) e ricopiando i nominativi dai registri giacenti nelle varie scuole ne cercò gl’indirizzi sui vari elenchi telefonici e… si mise a scrivere. Altrettanto con i sacerdoti che erano stati a Borgo, andando a rintracciarli nelle varie Case. Fu un lavoro immane ma che dette grande soddisfazione all’entusiasta ex allievo: una gran Messa solenne (con il Credo, e il Gloria cantati in latino) e poi un pranzo con centinaia di persone… e tutti furono felici e contenti… la giornata spumeggiante… la promessa di ritrovarci ancora! 

Da allora, Pier Luigi Naldi, senza l’aiuto di nessuno, armato solo della sua passione, anno dopo anno, ha organizzato, la sera del 31 gennaio, alle 21, nella ricorrenza del Santo, una Messa in onore di don Bosco presso l’Oratorio del SS. Crocifisso, quindi, dopo la Messa, quasi a voler riassaporare i ricordi di un tempo, una cioccolata calda per tutti.

E com’era bella e sentita quella Messa — l’ultima volta, quattro anni fa, la celebrò, con parti in latino, don Leonardo De Angelis, con dei meravigliosi paramenti — accompagnata dal coro della schola cantorum Sancta Cecilia… e com’era buona quella cioccolata calda presa alle undici di sera in compagnia piacevole… erano momenti che ci riportavano indietro nel tempo tra quelle “care memorie”…

Ora Pier Luigi è cupo e sdegnato — non so cosa sia successo — e mi disse, tempo fa, tristemente: «Da questa Chiesa ormai non mi aspetto più nulla.» Già! Ma sono gli amici, caro Pier Luigi, che si aspettano qualcosa da te… per amore al nostro Santo, per poter ancora, in “quest’atomo opaco del male”, stringere, sia pur per un attimo — come diceva Paul Claudel — nel nostro pugno “un po’ di cielo”.

1) C. Siccardi, Don Bosco mistico, La Fontana di Siloe, Torino 2013.

2) G. Bosco, Storia ecclesiastica per uso delle scuole compilata dal sacerdote Giovanni Bosco, Vol. I, parte II, S.E.I., Torino 1929, ristampa a cura della Pia Società Salesiana.