Presentare un libro di cui si è fatta la postfazione, è piuttosto arduo.
Si rischia di ripetersi, oppure, nel tentativo di essere originali, di dire qualche “baggianata”.
Che poi, nel caso di specie, conoscendo bene l’indole dell’Autore, la “baggianata” non passerebbe certo inosservata e, sicura, arriverebbe la reprimenda.
Ma a tale impegno non voglio sottrarmi, e lo faccio volentieri, non fosse altro perché a chiedermelo è stato Pucci, che conosco sin da quando ero adolescente.
Ricordo ancora la prima volta che lo incontrai nella sua vecchia casa di campagna. Un cucinone all’antica, con camino a vista; vecchie pentole di rame, quadri e suppellettili di un tempo. Un pentolone a sobbollire sulla cucina economica. Odori e profumi di una volta. Mi parve che il tempo si fosse fermato, o meglio ancora, che mi trovassi fuori dal tempo.
Un piccolo mondo antico in cui l’Autore, senza alcun accenno di eccentricità, si trovava pienamente a suo agio.
A quella serata mille altre, e forse più, ne sono seguite.
Serate di discussioni, risate, brindisi e preghiere.
Serate in cui ho capito che accanto ad alcuni comportamenti spigolosi, mai celati per opportunismo, vi è una persona dal forte senso poetico, amante della vita e del buon vivere, devota alla societas di un’epoca, solidamente cattolica, refrattaria all’omologazione e ai falsi perbenismi.
Ecco, tutto questo l’ho ritrovato in quest’opera di Pucci Cipriani, fortemente venata di amore per la propria terra, per le tradizioni, e soprattutto per la propria Fede.
Tradizioni popolari, e dunque genuine, vere, tramandate di generazione in generazione con amore e rispetto.
In questo il libro di Pucci rimanda evidentemente ad un altro Autore mugellano, oggi purtroppo dimenticato dai più, quel Tito Casini scrittore e poeta, già collaboratore de “Il Frontespizio”, che dedicò scritti polemici alle riforme liturgiche successive al Concilio Vaticano II, e che mai, esattamente come Pucci, si distaccò dalla sua terra.
Mi viene in mente al riguardo un racconto di Tito Casini, intitolato “I giorni del castagno”, in cui l’autore firenzuolino racconta la preparazione del castagneto e l’inizio della raccolta.
Alla stessa maniera, Pucci Cipriani ci immerge in quel mondo contadino, fatto anche di miseria ma mai di miserabili,
Il libro di Pucci Cipriani, come detto nella mia postfazione, è un libro di ricordi, ma non personalistico. E’ un libro di aneddoti locali, ma che tratta di questioni universali: la vita, la morte, le tragedie della vita, la religione, l’amore e il dolore.
E’ un libro di nostalgie del tempo che fu, ma rivolto alle generazioni future. E’ un libro che, come il suo Autore, si richiama alla Tradizione (quella vera, cattolica e occidentale), a valori antichi e ancestrali, a usanze e costumi che stiamo smarrendo. In questo senso, e penso di non sbagliare, nella mia postfazione avevo indicato che si respirava, in quest’opera, aria di Strapaese, di cui Pucci Cipriani, a mio modesto avviso, può essere considerato un esponente e, usando un neologismo, lo si potrebbe definire un post-strapaesano…
Ciò che risulta evidente a chi scorra le pagine del libro, è la trasmissione di quel senso di comunità oggi oramai dimenticata, se non addirittura osteggiata.
La famiglia come primo nucleo fondamentale, il piccolo paese come centro di custodia dei valori comunitari, la semplicità della vita paesana e le usanze contadine quali fonti di trasmissione di saperi e valori antichi.
Le consuetudini secolari e la comune Fede cattolica a far da collante ad una comunità talvolta fiaccata da povertà e da guerre, ma sempre attenta al sostegno e all’aiuto dei più bisognosi.
Una comunità meno individualista, in cui i rapporti umani, nel nome della comune Fede, si estrinsecano anche mediante atti pubblici condivisi: ecco le processioni religiose, le feste paesane, le sagre, le celebrazioni delle Sante Messe in occasioni di Santi e Patroni. Il legame con i morti mai rescisso, ove il sacro e il mistero ancora prevalevano sul razionale e il profano. La piazza come luogo di incontro ove, in senso tutto medievale, il Municipio e la Pieve si fronteggiano e si proteggono al tempo stesso.
È dunque spiritualità prima che materialismo.
È un mondo, quello raccontato da Pucci Cipriani più semplice ma forse (anzi sicuramente) più genuino, un piccolo mondo antico, per dirla con Fogazzaro. È il piccolo mondo di Giovannino Guareschi, di Don Camillo e del “Candido”; un autore, Giovannino Guareschi, oltre al Tito Casini poc’anzi ricordato, cui Pucci Cipriani è profondamente legato e al quale deve, ma non solo lui, molto.
Da parte nostra, siamo grati a Pucci Cipriani per questa sua ennesima fatica, nella consapevolezza che quanto ci ha trasmesso, anche noi lo trasmetteremo. Semplicemente. Con riconoscenza. E ringraziando Dio.
Concludo questo mio intervento parafrasando le parole con le quali Nicola Lisi, scrittore di Scarperia e anch’egli animatore del “Frontespizio, ebbe a descrivere la figura di Tito Casini nella sua “Antologia degli scrittori cattolici”, ritenendo che le stesse possano ben possano adattarsi all’amico Pucci: “Insegnante per laurea e per gli occhiali a stanghetta, per tutto il resto colto, intelligentissimo mugellano, esaltatore e difensore di tutto ciò che vive e si muove all’ombra del suo campanile”.
Ascanio Ruschi