di Vittorio Acerbi

Avete presente la canzone Stairway to Heaven dei Led Zeppelin? Probabilmente molte volte vi sarà capitato di sentirla anche se non conoscevate il titolo. La canzone in questione è, da sempre, considerata la più famosa della band. Fu scritta nel 1971. A quel tempo la fama dei Led Zeppelin era già ampiamente diffusa nel mondo sebbene quella specifica canzone non fosse tenuta in grande considerazione, tant’è che sia critica che ammiratori preferivano altri pezzi della loro produzione musicale. Diventerà una canzone intramontabile solo col passare degli anni. La stessa sorte capiterà ad un giovane compositore russo vissuto in pieno ‘800 che risponde al nome di Modest Mussorgsky (traslitterato, originariamente Musorgskij). La maggior parte delle sue opere saranno rappresentate soltanto dopo la sua morte.

La faccia è certamente quella di un compagno di bevute (finanche quella di un “compagno di merende”, nda) e sarà proprio l’alcol una delle sue debolezze, la sua rovina.

Nato nel marzo 1839 (non si sa se il 9, il 21 o il 28; siccome potremmo essere nati nello stesso giorno, io adotterei quella data, così al santo Luigi Gonzaga associamo pure un avvinazzato), discendente dai principi Smolenski, una delle più antiche famiglie russe, era figlio di un piccolo proprietario terriero. La madre, buona musicista dilettante, gli insegna il pianoforte ancor giovanissimo e la nutrice lo inizia ai vecchi racconti russi, sorgente feconda di ispirazione (secondo la sua stessa testimonianza) da cui sgorgano maldestre improvvisazioni pianistiche. Maldestre perchè non ancora mature; tuttavia parliamo di un personaggio che all’età di sette anni suonava pezzi di Franz Liszt (e i suonatori di pianoforte possono testimoniare quanto sia difficoltoso Liszt; aggiungo anche un po’ barboso e soporifero, nda). Riceve un’educazione generale molto severa, all’europea, e, secondo la tradizione familiare, è introdotto nella buona società russa e nella Guardia imperiale. Dall’una e dall’altra si libererà tuttavia prestissimo, spinto a diventare un “narodnik” [=populista] dal suo temperamento ribelle e da una naturale curiosità. Nel 1849 il padre porta il giovane Mussorgsky a San Pietroburgo, dove frequenta la scuola militare Peter-Paul e il Conservatorio di San Pietroburgo.

Nel 1856 diventa tenente e frequenta uno dei reggimenti più aristocratici della Russia. In questi ambienti conosce diversi agenti musicali e proprio in questi anni cominciano alcuni problemi di salute (soffre infatti di gravi crisi di depressione nervosa). Conosce la musica del compositore russo Mikhail Glinka, tre anni dopo, nel giugno 1859, va a Mosca al Cremlino e poco dopo conosce un altro compositore importante russo, Mily Balakirev che diventa suo maestro. È questo il primo nucleo di quello che sarà nominato il famoso “Gruppo dei Cinque” (Mussorgsky, Balakirev, Glinka, Rimski-Korsakov, Borodin). In sostanza, si trattava di compositori che alla loro musica conferirono un’impronta nazionale, e anche nazionalista, intesa come riscoperta delle musiche russe tradizionali e del loro impatto sulla cultura nazionale. Le preoccupazioni del gruppo sono di ordine molto generale: progresso sociale, ateismo, democratizzazione dell’arte. La personalità del giovane Mussorgsky si è improvvisamente svegliata; dapprima giovanotto galante e conformista a tutto il suo contrario. E sebbene componga attivamente, non sa assolutamente nulla del mestiere di compositore. Nel 1863 lavora come impiegato presso il Ministero delle Comunicazioni ma si trova a dover affrontare delle gravi crisi economiche, tanto da doversi rivolgere ad usurai. A San Pietroburgo vive in una grande casa assieme ad altri giovani artisti e intellettuali che si scambiano le loro idee d’avanguardia: sull’arte, sulla religione, sulla filosofia.

Assumono come insegna il nome di “La Comune”. Ma due anni più tardi una crisi di epilessia, prima manifestazione della sua dipsomania, lo costringe a ritirarsi presso il fratello. Nel 1865 infatti perde la madre (con la quale ha sempre avuto un rapporto molto forte) e la donna amata. Nel 1868 riprende servizio nella pubblica amministrazione (Acque e Foreste). Nello stesso anno comincia a comporre il Boris Godunov, la sola opera lirica completata da Mussorgsky ed è considerata il suo capolavoro. Ne esistono due versioni, entrambe del suo autore: la versione originale del 1869, in sette scene, non venne accettata per essere rappresentata, e venne eseguita per la prima volta quasi cinquant’anni dopo la morte del compositore (ora capite perchè citavo i Led Zeppelin prima); la seconda versione, del 1871, in quattro atti, profondamente revisionata e tagliata. I giudizi degli amici nonché colleghi Rimski-Korzakov e Borodin saranno spietati nei suoi confronti (Rimski- Korzakov tra l’altro sarà il musicista che porterà in scena gran parte delle opere del compositore, apportando in esse molte personali modifiche; capito che bell’amico?). Turbano profondamente la sensibilità del compositore e lo sospingono verso l’alcolismo. Tra alcolismo e due crisi di epilessia (o delirium tremens) nel febbraio 1881 finisce all’ospedale militare Nikolaievski, dove continua a comporre. È durante la convalescenza che l’amico Repin esegue il suo celebre ritratto. Il 16 marzo, alle cinque del mattino viene trovato morto; credendo di essere nato in quel giorno aveva festeggiato a suo modo con del cognac. Pare che in punto di morte abbia pronunciato le parole: “Tutto è finito; il dolore sono io”. With a Little Help from My Friends del duo McCartney/Lennon sembra quasi ironica nei confronti del disgraziato Mussorgsky; chissà come sarebbe andata a finire se avesse avuto amicizie migliori…

L’estetica di Mussorgsky è fondata sulla verità artistica, che implica il rifiuto della bellezza formale, la subordinazione dell’arte alla vita: l’arte è un mezzo immediato per comunicare con gli altri.

Pessimista ma nello stesso tempo ribelle alle ingiustizie umane (non è tuttavia un rivoluzionario: non crede nel progresso), artista isolato nel mondo musicale del suo tempo. È stato prima introdotto nei salotti dell’aristocrazia russa; successivamente anticonformista e, infine, un pentito di quegli ideali che sfoceranno poi nella rivoluzione russa. Mussorgsky appartiene alla stessa famiglia spirituale di Dostoevskij (non è forse della stessa razza dei Karamazov?). L’elemento lirico si alimenta soprattutto alle sorgenti del folclore russo; l’elemento espressionistico subordina la melodia all’idea, con l’accompagnamento di una armonia e di una strumentazione empirica e non ortodossa. L’ortodossia spirituale però continuerà a portarsela dietro, seppur con distacco. È affascinato dai suoi valori sebbene non abbia mai confidato nella vera fede. Non si vergogna a parlare del male e delle sue forme. Ne è una dimostrazione la figura di Baba Jaga (tratta dall’opera Quadri di un’esposizione), creatura della mitologia slava e russa, raffigurata in una vecchia e perfida strega che abita la foresta. C’è un’opera che è divenuta famosa per la sua trasposizione

cinematografica nel film Fantasia: Una notte sul Monte Calvo. Sebbene Walt Disney si sia avvalso della figura di Chernobog (demone slavo) per l’animazione, l’opera di Mussorgsky parla appunto del monte ucraino da cui prende il nome. La storia racconta di un giovane pastore di nome Gric’ko che sogna di risvegliarsi ai piedi del monte nella notte di San Giovanni (tra il 23 e il 24 giugno).

Secondo le credenze popolari, proprio in quel giorno le streghe erano solite radunarsi e consumare un sabba. Il giovane, scorgendo dei falò in lontananza, decide di avvicinarsi e, nascosto dietro la roccia, assiste al rito. Le streghe e i demoni ingaggiano danze furibonde, in un crescendo demoniaco, fino all’apice, il sabba, durante il quale danno libero sfogo alla loro follia. Finchè, in lontananza si ode il suono di una campana. Quel lento e lieve suono che riesce a silenziare, scemare, sconfiggere la danza macabra. Giunge la redenzione che salva il pastore. “E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.”