Tratto da: Aldo Maria Valli
di Dottor Francesco Avanzini
“Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Questo famoso verso della Divina commedia, con cui Virgilio si rivolge a Catone l’Uticense nel primo canto del Purgatorio, mi è tornato spesso alla mente in questi drammatici tempi. Quella che per Virgilio vuole essere una giustificazione del gesto estremo come segno della libera coscienza, suona invece tragico in riferimento ai tanti suicidi che la pandemia ha mietuto. In soli sei mesi, dal marzo agli inizi di settembre 2020, si sono contati settantuno suicidi dovuti alla disperazione di chi ha perduto il lavoro o ha assistito impotente alla rovina di ciò che con fatica e caparbietà aveva costruito. Nei giovani si è stimato un aumento del 20% di gesti estremi dovuti alla pandemia. Per non parlare dell’aumentato consumo di droghe di vario genere e psicofarmaci per curare ansia e depressione. Soltanto che, in questo caso, quelli che l’hanno fatta finita non cercavano tanto la libertà, quanto una via di uscita dal tunnel della disperazione. E hanno rifiutato la vita, una vita fatta ormai soltanto di obbedienza allo Stato padrone, uno Stato che ha deciso di privarti dell’essenziale, in cambio della tutela della tua salute. La qual cosa potrebbe sembrare anche giustificata, quando però sia proporzionata alla mancanza dei mezzi di cura e alla estrema gravità della malattia. Se questo appariva logico nei momenti iniziali dello scoppio della pandemia, dopo che si sono individuate le misure e le terapie, quelle adeguate, per combattere l’infezione, un tale atteggiamento suona solo come una ingiustificata imposizione. E qui veniamo a un punto cruciale, sottolineato a più voci anche adesso dai sostenitori delle chiusure e delle restrizioni a oltranza. Si è sentito affermare recentemente in un webinar tenuto (ahinoi) dal Movimento per la vita, gloriosa istituzione a difesa della vita nascente, che per il Covid-19 non esistono cure, tranne il sacro vaccino. Certo, come no! Se per cure si intendono vigile attesa e paracetamolo (la famosa Tachipirina), forse si capisce il decorso di una malattia lasciata al suo inarrestabile corso e l’odierno martellamento della campagna vaccinale. Ma se invece guardiamo a chi, eroicamente, si è speso recandosi nelle case a visitare i malati, come la buona condotta ha da sempre suggerito, scopriamo che una cura c’è. Eccome se c’è: grazie a questi colleghi, su circa undicimila infetti solo cinque (e sottolineo cinque) sono finiti in terapia intensiva! Presto i dati relativi verranno pubblicati. Non mi si dica che chi afferma ciò sono i no-vax, epiteto che ormai è diventato il più grave e infamante insulto con cui si possa ingiuriare una persona, una sorta di lettera scarlatta da appiccicare alla schiena o al petto per esporre l’infame al pubblico ludibrio.
Ma non è tanto di questo che qui voglio riferire quanto del fatto, allarmante e sbalorditivo, di come, in questa situazione, ci si sia fatti a poco a poco privare delle più elementari libertà. Da subito mascherine e distanziamento (a parte l’orribile annesso aggettivo di “sociale”, non bastava dire fisico?). Poi le chiusure, i divieti, l’abolizione dei sacramenti, addirittura l’irruzione nelle chiese, una Chiesa prona a tutte le imposizioni con una sottomissione all’Imperatore che non si vide nemmeno ai tempi delle famose lotte medievali, la privazione perfino dell’insegnamento in presenza nelle scuole di vario ordine e grado, dei contatti più prossimi, le visite ai parenti, l’abbandono dei propri cari a una morte solitaria e senza conforti, la distruzione sistematica del tessuto sociale e dell’economia. Misure che nemmeno sotto le guerre si erano viste. E adesso? L’ultima brillante trovata è il pass vaccinale, sorta di salvacondotto che trova il suo corrispettivo forse nel famoso lasciapassare dei tempi, appunto, di guerra. Vuoi bere un caffè al bar o addirittura pranzare al ristorante? Vuoi per caso andare ancora in vacanza? O a teatro oppure a sentire un concerto? O più semplicemente a trovare i tuoi cari o la fidanzata? Ma certo, io te lo concedo graziosamente, ti dice lo Stato, è sufficiente che tu comunichi il tuo stato vaccinale o il tuo tampone o il tuo incontro ravvicinato con il Covid e io, tuo signore e padrone, ti regalo il mitico e agognato pass, con buona pace della privacy e delle libertà previste dalla Costituzione, quella italiana, detta la più bella del mondo.
Così, impalpabilmente, sottilmente, gradualmente, senza strappi al motore, ti hanno sottratto la libertà. Non te ne sei quasi accorto e, come in un sogno o in una favola, ti sei trovato d’un tratto in una gabbia. Se poi a qualunque titolo fai parte del mondo della sanità, un tempo paradiso popolato di angeli ed eroi che ci avrebbero salvato, se adesso non ti sottoponi subito e quasi senza condizioni al vaccino, sii tu maledetto, reietto, privato dello stipendio, dei contributi pensionistici e pure sospeso dal tuo ordine professionale.
Ma lo spettacolo più triste che crea smarrimento e sconforto è venuto proprio dalla Chiesa, un tempo attaccata alla roccia, al suo deposito di fede perenne e cristallino, come ci è stata consegnata, difesa dal suo popolo dai soprusi e dai pericoli per l’anima, quella Chiesa che un tempo si alzava in piedi e adesso è invece distesa ai piedi del potere mondano e di tutte le agenzie mondialiste. Una Chiesa che addirittura distribuisce a tutti i parroci il decalogo con domandine e risposte, stile Catechismo di San Pio X ma di ben altro tenore, da consegnare ai dubbiosi, insieme al vademecum per le omelie alle Sante Messe. E i famosi laici, coloro che avrebbero dovuto rappresentare il futuro ecclesiale, gli stessi esponenti di associazioni, movimenti o partiti, i singoli credenti che ancora si rifanno (a parole) ai principi cristiani che cosa stanno facendo? Dove sono? Perché non si alzano più in piedi? Qui risuona appropriata un’altra frase importante, pronunciata da un certo Ludwig van Beethoven che ebbe a dire: “Bisogna fare tutto il bene possibile, amare la libertà sopra ogni cosa e non tradire mai la verità”. Verità e libertà: un binomio che, al credente ma anche al non credente, dovrebbe pur ancora dire qualcosa.
Sembra che i cattolici di ogni ordine e grado non ricordino più le vite e le meravigliose opere dei figli di santa madre Chiesa che combattevano le malattie con santità, sapienza, conoscenze e preghiere e difendevano la vita dall’inizio alla fine. Penso ai santi Arcangeli, alla Madonna della Salute, al medico san Luca evangelista, a san Giacomo Maggiore apostolo, a santa Lucia, alla santa e dottore della Chiesa Hildegard von Bingen, al vescovo san Biagio, a sant’Antonio Abate, a san Cristoforo, san Camillo de Lellis, santa Rita, san Pellegrino, i santi Cosma e Damiano, sant’Agata, san Rocco di Montpellier, san Sebastiano, santa Francesca Romana, santa Rosalia de’ Sinibaldi, san Giovanni Bosco, per terminare con quelli a noi più vicini, come san Giuseppe Moscati, san Riccardo Pampuri, il venerabile Jerome Lejeune. Sarebbe questa l’occasione propizia per aggiungere quelli mancanti alle litanie dei santi ausiliatori, medici e taumaturghi. Qualche ecclesiastico ha mai pensato di recitarle o proporle in tempo di pandemia?
Dottor Francesco Avanzini
Medico ospedaliero
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