Grande è sempre stata la mia devozione per San Giovanni Bosco, il Santo della gioventù e della Tradizione: “Da mihi animas cetera tolle”. Abbiamo dedicato, il 31 gennaio 2022, nel giorno della sua nascita al cielo, una S. Messa (la Messa in rito romano antico, ora perseguitata e bandita dagli eretici Neomodernisti) a gloria di questo Santo come potrete vedere dalla cronaca e ascoltando la bellissima omelia del M.R. Prof. Don Stefano Carusi. Da parte mia ho spesso ricordato nei miei articoli e nei miei libri San Giovanni Bosco; ora l’Editore Solfanelli ( a cui si deve già la pubblicazione della “Storia Sacra” del Sac. Giovanni Bosco e la copia anastatica di alcuni suoi aurei libretti, tra cui la “Conversione di Valdese” ) ha in programma la ristampa di una grande opera del Santo torinese: “Storia d’Italia” e dovrebbero essere Guido Scatizzi e il sottoscritto i curatori della medesima.
Nel 2005 in “L’altra Toscana: Diario di un conservatore”, nei miei ricordi giovanili, parlai a lungo di don Bosco e dei suoi salesiani…ebbi decine di lettere da parte di salesiani e da parte di ex allievi, che si ritrovavano in questo mio “Amarcord”: mi colpì il messaggio di S.E. Carlo Buscarino Strambio, Procuratore Generale Onorario della Suprema Corte di Cassazione , anche lui orgogliosamente ex allievo salesiano. Dalla data di questa lettera del luglio 2006 potrete notare anche quante cose siano cambiate (in peggio) non solo dai “vecchi tempi” ma anche in questi ultimi quindici anni. Ecco la lettera:
Caro Pucci Cipriani,
ho ricevuto il Suo bellissimo Diario nel quale, i un italiano perfetto, mondo da vocaboli stranieri, ammanta un contenuto che non potrebbe essermi più congeniale.
Io (nato il 27 maggio 1915) ho qualche anno in più di Lei, ma mi trovo collegato i tutte le sue ispirazioni del libro.
Sono anch’io salesiano di complemento (ginnasio e liceo dal 1926 al 1933), poi Presidente dell’Unione ex allievi del Liceo Valselice(per oltre quindici anni): ho rivissuto, quasi ringiovanendo con commozione, quegli anni, leggendo i primi capitoli, nei quali ritrovo i nostri canti; il dissodamento delle nostre anime operato da impareggiabili educatori le cui origini prevalentemente contadine avevano resi esperti nl collocare il seme nella profondità della terra; incredibile armonia esistente fra noi allievi, con tanta naturalezza, si annullavano le diversità sociali; l’ottimismo con il quale ci fu insegnato ad accogliere il dono della vita, sia nella gioia sia nel dolore: quell’ottimismo, non di maniera, che è cartina di tornasole per distinguerci e per riconoscerci, come mi accade con l’attuale Capo del Governo (all’epoca era l’On. Silvio Berlusconi n.p.c.) e di un partito, nel quale la presenza di ex allievi è consistente.
Anche la serie dei “Quando”, tratta dal “Giovane provveduto” io ben conosco e fra non molto, conoscerò da vicino, anche se non mi spiacerebbe passare insensibilment dal sonno all’eternità per non correre il rischio di avere al mio capezzale un sacerdote diverso dai miei: esempio quel parroco della mia parrocchia (ora non c’è più) che, in una predica domenicale, si rivolse ai fedeli con questi elevati pnsieri: “Immaginate voi ch siete padri e madri , quale dolore provasse Dio Padre nel vedere Suo Figlio soffrire così atrocemnte sulla croce”.
La nostra fede è messa a dura prova, ma come ho detto sopra, pesca in profondità. Perio in sgarbi riaffiorano talvolta le radici cristiane (v. il bell’articolo “L’Avarizia di Genova”, ne “Il Giornale del 6 febbraio).
Mi manca moltissimo la Santa Messa in latino con il canto gregoriano (un sacramentale), a tal punto che, assistendo , qualche anno fa, ad una funzione tradizionale a suffragio dell’anima del giovane figlio del mio collega ed amico Giovanni Durando, ne uscii sconvolto, èerché mi pareva di on avr sentito la Messa da anni.
E c’è di peggio, addirittura in una chiesa salesiana anche loro sono un po’ cambiati) il predicatore, assai noto, trattò da par uo l’argomento che non si deve indulger alle mode. E non avvertì la contraddizione di quella Messa che era accomèagnata da musiche più sincopate, con strumenti esotici, mntre i fdeli assecondavano il ritmo con i piedi.
Sono ormai più accoglienti le povere vuote ciesette di campagna, ridotte a pura arcitttura, che ancora profumano di latino; mia figlia dice di cantina. Il buon Dio si trova èiù facilmente lì –
Le poche messe che, “obtorto collo” ci sono concesse dall’Ordinario diocesano, sono bn lontane da noi e in ore impossibili; quelle ce la consorte impiega per far da mangiare. Ce ne vorrebbe una in ogni quartiere e i ore meno commestibili.
Ritorneranno quando io on ci sarò più.
Termino qusta lunga rivisitazione salesiana e spirituale, segnalando che il mio secondo cognome Strambio compare in molte pagine della voluminosa “Vita di Don Bosco” del padre Lemoyne, perché il mio bisnonno e i miei gran zii paterni furono compagni di scuola di don Bosco . Don Bosco era “di casa” a Camagna e altrove: la sua a prima lunga lettera, riportata nel libro, fu da lui scritta a Pinerolo, ove era osite dei miei trisavoli; e la mia nonna ricordava di essere stata sulle sue ginocchia.
éorto anche la responsabilità di avere in famiglia ben quattro Santi, il più vicino dei quali (mio cugino in undicesimo grado) fu San Vincenzo Maria Strambio, passionistsa, vescovo di Macerata e Tolentino, canonizzato nel 1950 dall’ultimo Papa romano. Quel ramo della famiglia (oriunda del Monferrato) trasferendosi nelcntro Italia perse la “o”.
Magistrato per 44 anni, 1° Capitano degli Alpini, piemontese secolare “ex utriusque latere”, moglie compresa, confido che questa mia giovane Patria, unificata da centoquarantacinque anni soltanto, possa consolidare la sua esistenza, dall’Alèi al Lilibeo, ma convengo pienamente con Lei che la Storia debba essere ripulita (checché ne pensi Ciampi) e che i setimnti delle popolazioni debbao essre ovunque rispettati pressoché a livello della religione, ricordando che, attraverso quei morti, noi, oggi viviamo.
Fui anch’io giornalista : suòò’organo uficiale dell’ANM (dal quale detti le dimissioni nel 1976 , seguito dall’amico éaolo Caccia Dominioni, di loriosa memoria, perché troppo politicizzata) e su “Prospettiva”, che fondai con l’amico Antoio Buono (finito male), poi nel dicembre del 1984, per tre anni, su invito di Montanelli, su “Il Giornale”.
Con simpatia Le porgo cordialissimi saluti ed auguri.
Suo Carlo Buscarino Strambio