Di Roberto de Mattei

Fonte: Radio Roma Libera

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Il motu proprio Spiritus Domini del 10 gennaio 2021, con cui papa Francesco ha modificato il canone 230 § 1 del Codice di diritto canonico, permettendo l’accesso delle donne ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, ha suscitato un grande clamore mediatico perché è sembrato aprire la porta al sacerdozio femminile. Queste porte sono ancora chiuse, ma il documento di papa Francesco contribuisce certamente a un ulteriore svilimento del sacerdozio, ratificando una prassi già diffusa, quella del servizio delle donne all’altare, come accade nel caso delle letture e delle ministre straordinarie dell’eucaristia.

Però, per comprendere questo declassamento della liturgia della Chiesa è necessario sottolineare, che le maggiori responsabilità di questo processo vanno attribuite a Paolo VI e al Concilio Vaticano II, di cui papa Francesco non ha fatto che esplicitare alcuni principi.
Secondo la tradizione della Chiesa il sacramento dell’Ordine ha vari gradi. Si distingue negli ordini maggiori: Episcopato, Sacerdozio, Diaconato; e negli ordini minori: Ostiarato, Lettorato, Esorcistato, Accolitato; c’è anche il grado del Suddiaconato, che nella Chiesa bizantina è attribuito agli ordini minori e in quella latina tradizionalmente annoverato tra gli ordini maggiori.

Il 15 agosto 1972 papa Paolo VI, con il motu proprio Ministeria quaedam ha trasformato gli “ordini sacri” in “ministeri”, rendendoli parzialmente accessibili anche ai laici, secondo il principio del “sacerdozio comune dei fedeli” del Concilio Vaticano II; ha ridotto questi ministeri a due, il Lettorato e l’Accolitato, attribuendo ad essi tutte le funzioni riservate al Suddiaconato; ha interrotto il rapporto di concatenazione che legava gli ordini minori al sacerdozio, stabilendo che i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato sarebbero stati “orientati”, ma non “ordinati” al sacerdozio, come invece restava il Diaconato. Per questa stessa ragione ha stabilito che non fosse più conferita la prima tonsura (colla quale si entrava nello stato clericale)
Come ha notato in un suo articolo l’abbé Jean-Michel Gleize, il principio della riforma di Paolo VI sta in un documento del Vaticano II, la Sacrosanctum concilium. Questa costituzione conciliare al n. 21 fonda la riforma liturgica sulla “partecipazione piena, attiva e comunitaria” del popolo cristiano e al n ° 14 professa lo stesso principio, ma lo mette in relazione con il sacerdozio comune dei fedeli, che deriva dal battesimo e che evidentemente non ha nulla a che fare col sacerdozio propriamente detto.

Questo termine è utilizzato ambiguamente dal Vaticano II e da Paolo VI, che però nel suo motu proprio Ministeria quædam non ha attribuito alle donne la possibilità di accedere al Lettorato e all’Accolitato. La presenza delle donne sull’Altare, negli ultimi trent’anni, è avvenuta in deroga alla legge, mentre papa Francesco con il motu proprio Spiritus Domini permette loro di farlo in maniera ufficiale.

In una lettera indirizzata assieme al motu proprio al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Luis Ladaria, Papa Francesco ha spiegato che «tali ministeri laicali, essendo basati sul sacramento del Battesimo, possono essere affidati a tutti i fedeli, che risultino idonei, di sesso maschile o femminile, secondo quanto già implicitamente previsto dal secondo paragrafo del canone 230».

Papa Francesco è coerente: se il nostro punto di riferimento è il documento di Paolo VI secondo cui i ministeri laicali sono semplici funzioni, che possono essere svolte da qualsiasi battezzato, in nome del principio del sacerdozio comune dei fedeli, non si vede perché debbano esserne escluse le donne. Se invece il nostro punto di riferimento è la tradizione immemorabile della Chiesa, questa non esclude solo il sacerdozio femminile, ma anche il principio stesso del “sacerdozio comune”.

Insomma, il documento di papa Francesco non fa che portare alle sue conseguenze, il principio stabilito da Paolo VI e affermatosi, nella prassi sotto i suoi successori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Resta il fatto che il 30 maggio 2018, la Congregazione per la dottrina della fede ha ribadito che il sacerdozio riservato agli uomini è dottrina definitiva e irreformabile della Chiesa, come già aveva affermato Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994. Anche papa Francesco nella lettera al cardinal Ladaria, ribadisce che la Chiesa «non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale».
Però la Chiesa non ha neanche la facoltà di conferire alle donne il diaconato, e questo non è detto.

Va notato infine che né gli ordini minori né il Suddiaconato sono stati mai “soppressi”. La prova è data dalla possibilità data ai cosiddetti Istituti Ecclesia Dei, di utilizzare i libri liturgici del 1962, che prevedono l’esistenza di questi ordini, sia maggiori che minori.

Nella confusione generale c’è almeno un dato positivo: la tradizione immemorabile della Chiesa è mantenuta ovunque si rimanga fedeli alla liturgia tradizionale e i luoghi in cui ciò avviene sono in crescita in tutto il mondo.

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