Tratto da: Stilum Curiae

L’EROISMO DEI SOLDATI DEL PAPA DURANTE LA PRESA DI ROMA

Nonostante la storiografia moderna li abbia trattati da vili mercenari

 Visitando il cimitero Veranno a Roma ed inoltrandosi verso la parte più antica, quella del Pincetto, si arriva alle tombe dei soldati pontifici caduti nelle varie battaglie durante il decennio dal 1860 al 1870.

Oltre ai caduti in battaglia ci sono anche le vittime di un vile attentato presso la caserma Serristori nel rione Borgo, vicino San Pietroavvenuto nel novembre del 1867, dove morirono 25 giovani zuavi della banda musicale insieme ad una madre con il bambino.

Vedendo queste tombe addolora lo stato di totale abbandono in cui versano invece di essere custodite come eroica testimonianza da parte delle autorità pontificie, dimenticando che, grazie al loro sacrifico, papa Pio IX poté resistere e vivere nella Città del Vaticano, insieme ai suoi successori; ma forse questi non sono più i tempi per riconoscere l’eroismo.

Ma torniamo alle testimonianze silenziose del cimitero.

Tra queste e di ciò che rappresentò la difesa di Roma, si trova la tomba semi distrutta del generale Hermann Kanzler, alla prima fila sotto la Rupe Caracciolo, per chi volesse portare un fiore, l’ultimo comandate delle forze papali fino al fatidico 20 settembre del 1870, una data fatta di luci e ombre da parte dei vincitori.

E’ doveroso, però, prima di proseguire in questo racconto, sottolineare come il destino di Roma capitale d’Italia fosse il coronamento di un ideale legittimo giustificato dalla storia e, se mi permettete, anche spirituale.

Ciò che non si può accettare, però, fu la violenza di una guerra mai dichiarata da coloro che furono invasi e contro ogni legge di diritto internazionale.

Infatti, le cronache di quei tempi riportano che senza alcuna dichiarazione di guerra da parte del Papa, né atti che potevano essere di pretesto per una azione belligerante, i piemontesi, al comando del gen. Cadorna, l’11 settembre del 1870 alla testa di 65.000 soldati attraversarono ciò che restava dello Stato Pontificio avendo precedentemente strappato alla Chiesa illegalmente i suoi territori senza alcuna giustificazione, anzi, un pretesto fu trovato per questo atto di guerra: “Reprimere le rivolte, totalmente inventate, scoppiate nelle provincie circostanti Roma e proteggere (sic) nientemeno che il Papa”.

Peccato che a Roma non si registrassero movimenti insurrezionali di alcun tipo; i cosiddetti filo italiani del resto erano pochissimi, anzi ci furono molti attestati di solidarietà verso il Pio IX, non solo da parte del popolo, ma da ogni parte di Italia e dall’estero accorrevano volontari per combattere e difendere i diritti del Pontefice.

Su questi uomini, tutti o quasi ragazzi, si è scritto ogni misfatto come troviamo in tanti libri di storia, dipingendoli come soldataglia al soldo del Papa, dediti al saccheggio e a taglieggiare la povera gente, insomma una specie di Lanzichenecchi redivivi, ma la realtà, quando non la scrivono i vincitori, è tutta un’altra.

Leggendo le cifre scopriamo che questo esercito, al comando del generale HermanKanzler per la difesa di Roma, era composto da 13.624 uomini di cui 8.300 romani e 5.324 da altre regioni italiane con una buona percentuale anche di giovani stranieri come tedeschi, svizzeri, francesi e belgi, tra le nazioni più rappresentative del mondo cattolico.

Tutti volontari come il resto dell’esercito; perché, a differenza dei piemontesi lo Stato Pontificio non aveva la leva obbligatoria, inoltre questi mercenari, nonostante le tesi dei Savoia, in realtà appartenevano in molti casi a famiglie nobili e benestanti che di tasca loro si pagavano tutto dalla divisa, alle armi, al vitto ed all’alloggio,. Altro che mercenari.

Un capitolo a parte meritano i “squadriglieri”, soldati del Papa provenienti per la maggior parte dalla provincia di Viterbo, quelli che oggi definiremmo truppe d’assalto.

Non erano militari nel senso classico del termine, tra loro c’erano in maggioranza contadini che per divisa avevano solo i loro costumi tradizionali, ma erano profondi conoscitori del territorio dove operavano, tanto che in pochi anni avevano ripulito il Lazio meridionale dalla piaga del brigantaggio, ma, soprattutto, avevano respinto in più occasioni le ripetute infiltrazioni garibaldine nella campagna romana.

Questi soldati erano al comando del colonnello Achille Azzanesi che avrebbe voluto creare una snervante guerriglia contro l’avanzata dei piemontesi da sud del Lazio verso Roma, ma Pio IX non volle altro spargimento di sangue, ma solo una dimostrazione puramente simbolica per dimostrare la violenza degli italiani verso il suo legittimo Stato.

Gli squadriglieri obbedirono al Papa-Re e si ritirarono nei propri paesi accolti come eroi dalle popolazioni locali, mentre quando arrivarono a Viterbo i soldati di Vittorio Emanuele furono accolti, si racconta, da non più di dodici persone.

L’avanzata delle truppe del generale Cadorno verso Roma trovò solo un ostacolo importante dovuto alla resistenza di 110 zuavi che asserragliati all’interno della Rocca Borgia presso Civita Castellana; i piemontesi non esitarono a bombardarli con duecentoquaranta proiettili da cannone sparati contro gli assediati pontifici che avevano solo vecchi fucili francesi. Un’ora dopo gli zuavi si dovettero arrendere con un bilancio di sette feriti nell’esercito italiano, (uno di questi morirà in seguito) e tre contusi fra i pontifici.

Senza altri ostacoli le truppe italiane arrivarono il 15 settembre ai confini delle mura della città e subito la cinsero d’assedio.

Escluse le zone di Trastevere, di Castel Sant’Angelo e le mura Leonine, le altre zone di Roma difficilmente avrebbero potuto resistere ad un assedio prolungato.

La città, infatti, pur circondata da alte mura risalenti a 1500 anni prima, non erano certo adatte per una difesa moderna fatta di obici e artiglieria pesante, tanto che la famosa ‘Breccia’ fu aperta perché, a differenza di altre mura, lo spessore delle fortificazioni era assai ridotto, troppo poco per sopportare le cannonate.

In quei giorni così drammatici, ancora il 16 settembre, Pio IX si recò in preghiera alla Chiesa dell’Ara Coeli, sul monte del Campidoglio acclamato da una folla commossa, mentre volontari non solo romani si recavano alle mura Leonine insieme all’esercito regolare per difendere quel lembo di terra sacra.

Prima di sferrare l’ultimo assalto, il generale Cadorna invitò alla resa il generale Kanzler che la respinse con sdegno, perché nella missiva c’erano spudorate bugie dove si ribadiva l’assurda scusa “… della dominazione di truppe straniere che imponevano la loro volontà al Papa e ai Romani“.

Non si capisce, allora, se le cose stavano veramente così, perchè una volta entrati e vinte le presunte truppe straniere i piemontesi non sono tornati indietro?

Ovviamente è inutile ogni risposta.

Intanto, la situazione volgeva alla fine, era solo una questione di ore e di questo Pio IX ne era ben conscio tanto che, nella notte tra il 19 e la mattina del 20 settembre, fece radunare in piazza san Pietro tutti i suoi uomini per dare loro una solenne benedizione, insieme al viatico e alla estrema unzione; alcuni, infatti, non sarebbero più tornati alle loro case.

All’albeggiare, con le prime luci del mattino del 20 settembre, le truppe italiane cominciarono il bombardamento sulla città sempre più intenso, con una potenza di fuoco di più di cento cannoni che colpivano vari punti delle mura cercando una breccia per entrare e spezzare di fatto le difese pontifici.

Cadorna non poteva rimandare oltre l’entrata a Roma; da Firenze, capitale provvisoria del giovane Stato unitario, aspettavano risultati immediati, la guerra, al di là degli ideali, cominciava a costare troppo per le dissanguate finanze italiane.

Un caso che merita di essere ricordato in quelle ore è il comportamento di colui che fu il luogotenente di Garibaldi: Nino Bixio.

L’uomo conosceva bene la città e sapeva che partendo da Porta Portese, cioè Trastevere, arrivare in San Pietro era una passeggiata a differenza di altre zone della città.

Decise così di farsi assegnare proprio questo quartiere per la sua trionfale entrata, ma l’uomo non sapeva che pochi giorni prima il popolo di Trastevere aveva offerto al Papa la propria vita per la difesa di Roma a qualsiasi costo.

Di questa volontà a resistere se ne accorse ben presto l’ex garibaldino, quando i combattimenti si fecero assai più decisi che in altre zone cittadine tanto da ritardare la sua entrata da Porta Portese.

Per risolvere questo ostacolo non esitò a sparare con i cannoni proiettili micidiali che colpirono tra l’altro case, conventi, ospedali e facendo non poche vittime tra i civili, ma Trastevere non cedeva.

A quel punto la rabbia di Bixio per questo contrattempo era ormai senza controllo, tanto che quando intorno alle dieci arrivò un drappello di dragoni per informare che il Papa si era ufficialmente arreso ed ogni atto di belligeranza era sospeso immediatamente, Bixio, nonostante gli ordini e le tante bandiere bianche che sventolavano sulle mura di Trastevere, agì contro ogni comportamento d’onore militare continuando a bombardare le mura per oltre  mezz’ora con altri danni e vittime, tanto era l’ irritazione verso coloro che gli avevano impedito il suo conquista di Roma.

Nonostante l’eroica, ma sfortunata resistenza, con la famosa Breccia di Porta Pia, i piemontesi entrarono a Roma e trovarono tutt’altro che una città festante, come viene invece raccontata nei libri di storia.

Secondo più testimonianze anche degli stranieri che risiedevano a Roma, ci furono violenze, spoliazioni, atti violenti contro i militari pontifici che vennero sospinti come bestie al macello, privati delle loro decorazioni, dei cavalli, degli effetti personali in una città diventata preda del caos e della paura per quasi quattro giorni, atti provocati, tra l’altro, dall’arrivo di molti ed improvvisati patrioti che si dimostrarono, questi sì al facile saccheggio, all’oltraggio verso le donne e provocazioni verso i religiosi.

In proposito possiamo leggere una cronaca del giornale La Nazione di Firenze: “Roma è stata consegnata come res nullius a tutti i promotori di disordini e di agitazioni, a tutti gli approfittatori politici di professione, a coloro che amano pescare nel torbido, ai bighelloni di cento città italiane. Si potrebbe pensare che il governo voglia fare di Roma il ricettacolo della feccia di tutta Italia“.

Ricordiamo, ancora da La Nazione, un trafiletto in prima pagina del 21 settembre nel quale apprendiamo che venivano date cento lire, una cifra importante per l’epoca, a tutti quei romani che erano esuli dallo Stato pontificio per poter tornare a Roma e accogliere con ‘entusiasmo’ le truppe italiane.

Roma papale fu persa per sempre, ma non certo il suo valore.

I pochi e male armati soldati del Papa-Re avevano procurato alle truppe degli invasori, solo nella giornata del 20 settembre, 4 morti e nove feriti tra gli ufficiali e 145 tra la truppa con 132 feriti, mentre tra le file papali ci furono solo 19 morti e 68 feriti.

Vogliamo concludere con una frase dello storico Ferdinando Gregorovius che visse a Roma molti anni che pur essendo protestante ed acerrimo nemico del papato, come si evince in molte sue opere, alla caduta di Roma scrisse: “La vecchia Roma sta tramontando. Vi sarà qui un mondo nuovo. Io però sono felice di essere vissuto per tanto tempo nella vecchia Roma”.

Antonello Cannarozzo