Tratto da Il Galletto
di Pucci Cipriani
Come da tradizione l’appuntamento della mattina del mercoledì delle Ceneri è fissato mercoledì 26 febbraio in Piazza Garibaldi con la polentata, una tradizione secolare che torna ogni anno grazie all’impegno di associazioni, gruppi e singoli borghigiani.
La polentata in Piazza nacque per festeggiare la rivolta dei borghigiani contro i Francesi che furono cacciati dal paese e dal Mugello dai Viva Maria, un movimento popolare che si oppose alle truppe giacobine un po’ in tutta la Toscana. Questa pagina di storia ce la racconta Pucci Cipriani spiegandoci perché ancora oggi a Borgo è ben radicata la tradizione della polentata.
Tra il 1796 e il 1799, in alcuni casi più tardi, il popolo del Mugello – come del resto il popolo di tutta la Penisola – insorse, in armi, contro le truppe francesi, che avevano portato in Italia la Rivoluzione.
Da luogo a luogo le Insorgenze antigiacobine furono differenti, risposta popolare alle violenze, agli atti sacrileghi, agli stupri, alle libertà conculcate dall’esercito napoleonico, garante degli interessi militari ed economici della Francia rivoluzionaria. La rivolta popolare e “controrivoluzionaria” covava e, nelle campagne, venivano portate in processione le “Madonne Stradaiole”, che, secondo la pia tradizione, versavano lacrime, per cui scriverà, nel 1797, Giovanni Marchetti: “…miracoli e miracoli specialissimi e ripetuti con una frequenza e una durata che non ha esempio…Dio sembra essersi compiaciuto di circondare questi prodigi di prove indiscutibili, proporzionate all’incredulità del nostro infelice secolo.”
Anche nel nostro Mugello le anime dei popolani erano esacerbate dall’atteggiamento degli invasori francesi che non si peritavano, parafrasando il Manzoni, “ad insegnar la modestia alle fanciulle”, a compiere ruberie ed atti di violenza, a profanare chiese e conventi, come avvenne, ad esempio, a Borgo San Lorenzo e a San Piero a Sieve. Eppure l’atteggiamento dell’arcivescovo fiorentino Antonio Martini fu fin troppo cauto, ai limiti della remissività, non certo favorevole agli insorgenti, tanto da vietare al priore di Remole, P. Luigi Luti (e con lui a tutti i parroci del Mugello, della Val di Sieve e di tutta la Diocesi) di cantare:”…una canzonetta (sic) fatta stampare da V.S.M. Rev. da, nella processione da farsi (il “Corpus Domini” n.p.c.)”. Si trattava di un inno ai “Viva Maria”, in cui si elogiavano, per il loro “Antigiacobinismo”, gli aretini e, poi i casentinesi, quindi, gli abitanti della Val di Sieve e del Mugello: “il buon popol cui bagna la Sieve”, insomma una laude “… in onore della B. V. Maria sull’aria della Marcia Militare” una sorta di inno per la liberazione della Toscana…una “chiamata alle armi”. Era un’esaltazione a Pio VII incarcerato da Napoleone:
“Viva Pio e tra poco il vedremo
trionfante tornare in sua sede,
e colà ricondursi la fede
che distrugger tentò l’empietà”
E ancora un’esaltazione al Granduca Ferdinando III, molto amato, al contrario di Pietro Leopoldo:
“E Fernando il nostr’ottimo Padre
lo vedrem dopo tanti perigli
con la sposa e coi cari suoi figli
lo vedrem sul suo Trono tornar.”
E infine l’invettiva contro i francesi:
“Sotto i piedi dell’Aquila Augusta
per Te Vergine il Gallo rapace
spennacchiato, e conquiso s’en giace
senza spema di sorger mai più.”
Infine l’elogio ai popolani cattolici del Mugello per la loro fedeltà al Papa e al Granduca:
“Né ostentò tra minacce d’incendi
per suo Prence premura non lieve
il buon popol che bagna la Sieve
e col pont
e separa il suo fin”.
Ma intanto la protesta monta e, in molti paesi del Mugello, nottetempo si bruciano gli alberi della falsa libertà, sfidando la prepotenza dei francesi che facevano continui bandi di requisizione, di minacce, di condanna iniziando con “Nous voulons” ovvero “Noi vogliamo…pretendiamo..” tanto che dai mugellani venivano chiamati “Nuvoloni”….e di che panni si vestissero i “Nuvoloni” ce lo raccontano le cronache dell’epoca e gli archivi parrocchiali: “Come piacque a Dio i Francesi e i Giacobini partitanti – si legge nel Diario parrocchiale dell’Archivio di San Piero a Sieve – che erano in San Piero a Sieve fuggirono alla volta di Firenze…Io stesso dovetti alloggiare diversi giorni i Giacobini toscani che tutti erano la più empia canaglia.” L’Armata della Santa Fede che muoveva per “liberare” il Mugello e la Toscana è formata da 38.000 combattenti, popolani e contadini, molti ex soldati, anche alcuni disertori dell’esercito francese: dunque, quella che fu chiamata “l’Inclita Armata della Santa Fede” era guidata da Alessandrina Mari, la Pulzella della Toscana, moglie del Capitano dei Dragoni del Granduca, l’aristocratico Alessandro Mari, conosciuta da tutti come “la Sandrina”; al fianco della Sandrina, oltre al marito, l’aristocratico Cav. William Frederick Wyndham (1763 – 1828) “Gran Paciere” inglese insieme al cappellano Fra’ Bortolo che portava, piantata sulla coscia destra, la Croce. Quest’esercito di popolani avanzava vittorioso di valle in valle, di villaggio in villaggio, di città in città, abbattendo gli alberi delle false libertà e, piantando al suo posto, la croce e l’immagine della Madonna del Conforto. Scrivono i giacobini francesi e nostrali:
“Or ch’è innalzato l’albero
s’abbassino i tiranni.
Da’ suoi superbi scranni
scenda la nobiltà”.
E i combattenti e i “Madonnari” alle rime classiche e “infranciosate” degli invasori rispondono con i loro versi abborracciati e barbarici ma che, attaccati agli alberi della libertà, rendono bene il clima dell’epoca:
“Finirà, finirà quando l’albero brucerà
Quando l’albero sarà bruciato
Chi è giacobino sarà ammazzato.
Io non ho da dirvi altro
Giacobini guardatevi l’un con l’altro.
Evviva Maria e il nostro Imperatore
Giacobini avete un gran ghiacciacuore”.
Dunque, anche se i versi del Luti restarono nel cassetto, gli animi dei mugellani erano già abbastanza infuocati e, all’arrivo degli aretini, la tradizione popolare vuole che a combattere lungo le strade, nei vicoli e nei chiassoli di Borgo San Lorenzo,vi fosse anche l’Alessandrina Cini in Mari, la popolana di Montevarchi, novella Giovanna d’Arco. La gente insorse attaccando l’esercito francese della Rivoluzione in un’epoca battaglia che il professor Francesco Niccolai così descrive nella sua Guida del Mugello: “Gli Aretini, odiatori dei Francesi, venuti pel Casentino a Dicomano, a Vicchio e poi a Borgo San Lorenzo, abbattevano quivi , il 19 giugno l’albero della libertà, ponendovi in sua vece la loro immagine di Maria SS. del Soccorso che si recata dalla loro città e, insieme coi borghigiani, ben si difesero da una guarnigione francese corsa dalla occupata Fortezza di San Martino. Il giorno dipoi i cannoni francesi lanciavano palle dalla Villa di Ripa, poco discosto dal paese; ma non sì tosto ebber puntato il cannone contro la Porta di Ponente e la Torre dell’Orologio, un borghigiano di soprannome Picchero fu lesto ad esplodere una fucilata sul cannoniere francese salvando il paese dallo sterminio. Con tuttociò, i Francesi, rotta la Porta di Ponente, si mischiarono sulla piazza del paese in aperta zuffa con aretini e borghigiani; ma quando videro (dalle finestre le donne gettavano sui francesi fuoco, pietre e acqua bollente, come racconta una cronaca dell’epoca n.p.c.), nonostante morti da ambo le parti, cadere il loro comandante colpito da una palla, se ne tornarono presto alla Fortezza. Dopo la sconfitta ritornava Ferdinando III(…)principe attivo, festeggiato dalle popolazioni” (Cfr. Francesco Niccolai : “Guida del Mugello e della Val di Sieve” pag. 158 – Ed. Officina Tipografica Mugellana, Borgo San Lorenzo, 1914). Cacciati i francesi – ma presto ritorneranno! – si fece festa nel Mugello e nella Val di Sieve. La popolazione si riversò nelle chiese dove venne cantato il Te Deum di ringraziamento e aretini e popolani della terra di Giotto e dell’Angelico ringraziarono anche la Madonna del Conforto cantando, a “una voce” quelle bella laude che il popolo d’Arezzo ancora ricorda:
“Bianca Regina fulgida,
stella del vasto mare
come dura ci appare
la nostra via quaggiù!
Ma il tuo sorriso,o Vergine,
è a noi conforto e vita,
e l’anima smarrita
ritorna al tuo Gesù…
…per Te se ostile esercito
calpesta il nostro suolo,
Vergine è un grido solo
Vittoria e Libertà”!
A Borgo San Lorenzo, nella piazza principale, le donne portarono in piazza pentole e paioli per fare la polenta e darla a tutti per festeggiare l’evento. Da allora si tramanda questa bella tradizione popolare della “polentata antigiacobina” che, però, è stata spostata al primo giorno di Quaresima (il mercoledì delle Ceneri). Nel giugno del 1999, duecentesimo anniversario delle Insorgenze antigiacobine in Toscana, il Comune di Borgo San Lorenzo, per iniziativa del Sindaco Antonio Margheri e dell’Assessore alla Cultura Patrizia Gherardi, indisse due giorni di festeggiamenti con la rievocazione storica e l’abbattimento dell’albero della libertà con conseguente innalzamento della Madonna del Conforto: una corona di fiori bianchi e rossi (i colori della bandiera toscana) fu posta sotto all’immagine della Madonna del Conforto davanti al Palazzo del Podestà, mentre il pievano Mons. Giancarlo Corti – oggi Vicario Generale della Diocesi di Firenze – celebrò la S. Messa e ricordò l’evento con elevate parole. Nel 2001 il Premio Letterario “Tito Casini” dedicò una sessione al Granducato di Toscana e ai “Viva Maria”, alla presenza, peraltro, dello stesso Granduca di Toscana, S.A.R. e I Sigismondo d’Asburgo Lorena.
Pucci Cipriani
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