di Alberto De Marchi
Verona, 22 luglio 2022, Presentazione di “Napoli, città del Trono e dell’Altare. Omaggio alla Capitale del Regno delle Due Sicilie” (Solfanelli Edizioni, Chieti 2022) di Pucci Cipriani.
Intervento del dottor Alberto De Marchi:
“Buon pomeriggio a tutti e grazie per essere qui nonostante il gran caldo; è proprio il caso di dirlo: pochi ma buoni.
Vorrei iniziare ringraziando don Nicola Agnoli, direttore del Centro Pastorale universitario veronese che gentilmente oggi ci ospita, i professori Lorenzo Gasperini e Pucci Cipriani, quest’ultimo autore del saggio sul quale, a breve, darò le mie modeste impressioni, e l’amico Lorenzo Magnabosco, organizzatore della presentazione, il quale ha tanto insistito affinché io oggi fossi qui.
Il libro del professor Cipriani, toscano di Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze, ma molto più napoletano di tanti che a Napoli ci sono nati, è un vero è proprio atto d’amore nei confronti della città, e come ogni amore sincero ne mette in primissimo piano i pregi, certamente, ma non ne nasconde i difetti o le mancanze che chiamar si vogliano sotto il tappeto.
Qui tratta di una città che, nonostante tutto, è riuscita nel tempo a mantenersi fedele al proprio Io più intimo e tradizionale, per quanto i germi della secolarizzazione e del modernismo siano – purtroppo – riusciti ad infettare anch’essa. Io, a Napoli, sono stato l’ultima volta nel 2019, assieme ad un gruppo di amici ed ho personalmente avuto riprova, da un lato, della continuità con la Napoli di ieri, dall’altro con una tragica regressione morale.
Partendo da quest’ultimo punto: mi recai, con la mia compagnia, nella Chiesa di San Gregorio Armeno, popolarmente conosciuta come “Santa Patrizia”, poiché puntualmente vi avviene un miracolo similare a quello certo molto più famoso del Santo Patrono, San Gennaro: la liquefazione del sangue, appunto, della nobile vergine Patrizia, perita in odor di santità giovanissima, a soli 21 anni, presso l’isola di Megaride. Ebbene, qui, oltre ad essere rimasto negativamente colpito dall’assoluta mancanza di fede e trasporto con cui alcune monache asiatiche reggevano l’ampolla contenente il miracoloso sangue (probabilmente “coscritte” delle ‘monacacce filippine schitarranti’ incontrate dal professor Cipriani nella medesima Chiesa e descritte nel libro) da mostrare ai “fedeli”, ha causato in me un vero e proprio colpo al cuore vedere torme di turisti non raccogliersi in devota preghiera di fronte all’avvenuto miracolo ma scalpitare per fotografarlo! Sì, avete capito bene, purtroppo: l’essenziale è dimostrare agli amici e parenti di essere stati lì ed aver assistito a quella “bizzarria” con tanto di prova fotografica: come si immortalano un tramonto od un’alba, come l’aurora boreale, che sento va sempre più di moda andare a vedere. Ma la stessa, tragica attitudine la ho riscontrata pure nella Cappella del Tesoro di San Gennaro: quale valore aggiunto potrà mai portare a casa chi, in uno scrigno di arte, fede e devozione come questo, vi passa tutto il tempo all’interno colla testa chinata sugli apparecchi fotografici o telefonici?
Ora però è giunto il momento di parlare di quella Napoli che si è mantenuta fedele a sé stessa, che io ho avuto modo di conoscere nel brulicare di una piazza nella vita di tutti i giorni: un giovane ragazzo (avrà avuto all’incirca 17/18 anni) mi si avvicinò infatti per domandarmi un’informazione dandomi del Lei (non del Voi, come è diverse volte capitato a Pucci Cipriani e come riporta Ascanio Ruschi nella postfazione al saggio, parlando con affettuoso trasporto della permasta signorilità partenopea anche presso i ceti più bassi, probabilmente vista la mia età abbastanza vicina alla sua – avevo allora, lo ripeto, si era nel 2019, 25 anni); un segno di rispetto nei confronti di una persona sconosciuta che va sempre più perdendosi, poiché del livellamento (chiaramente verso il basso) e dell’assenza sempre più totale di gerarchie il mondo moderno ne fa un vanto, con chiunque che si sente in diritto di dare del tu a chicchessia!
Napoli, città pienamente e squisitamente europea, fu un’importantissima capitale del Vecchio Mondo, molto più di quanto taluni semplicistici detrattori la considerino, ma ha sempre saputo mantenere un’orgogliosa indipendenza ideal-ideologica, anche in ambito politico: entrano qui in gioco le conoscenze personali di Pucci Cipriani, strette nel suo periodo napoletano ma poi proseguite e coltivate. I fratelli Ruggiero, Gennaro e Angelo, e soprattutto Silvio Vitale (beninteso, di nomi, lungo tutto il corso del saggio ne vengono fatti assai di più, ma non intendo rubare a nessuno il piacere della lettura), maestro – in quanto “signore d’altri tempi” – di cultura e stile per il professore. Tutti coloro che ho qui menzionati gravitavano, a vario titolo e in varie maniere, attorno al Movimento Sociale Italiano, partito, come lo definisce giustamente Pucci, normalmente considerabile “tricolorato e giacobino” ma non nella fu capitale del Regno Borbonico, laddove seppe attirare al suo interno le migliori menti della Tradizione Cattolica e dello studio critico della Rivoluzione Risorgimentale, le quali formarono a loro volta fior fiore di altrettanto affilate penne combattenti per la Tradizione (che, Vita e giovinezza della Chiesa, non può che essere Cattolica!) e, più generalmente, i benemeriti quadri responsabili della ridiffusione della Messa Cattolica di sempre, quella in latino nel cosiddetto “rito di San Pio V”. Per quanto concerne le prime, almeno da menzionare l’attività della tuttora attiva rivista L’Alfiere (titolo ripreso da quello di un romanzo di Carlo Alianello), sottotitolata “pubblicazione Napoletana Tradizionalista”; tra i secondi, da ricordare almeno il gruppo di “Fede e Libertà”, responsabile della pubblicazione dell’organo Fedeltà.
Per concludere – ringraziando l’uditorio, che spero di non aver tediato, per l’attenzione prestatami – una similitudine che m’è venuta nel corso del discorso: il bello di Napoli è che, nonostante i pro e i contro di cui dispone, come tutte le città, come tutte le persone, come tutti gli esseri viventi, essi non procedono su due binari paralleli che, per loro stessa definizione, giammai s’incontreranno. Napoli è un unicum, presto o tardi quei binari si uniranno e la Città del Trono e dell’Altare per antonomasia riotterrà l’importanza che merita. E ciò grazie anche e soprattutto alla meritoria opera di appassionati innamorati come il professor Pucci Cipriani, il quale, mi autocito, pur non nascondendo affatto sotto al tappeto i risvolti negativi della città, col suo alacre lavoro di ricerca ha saputo e saprà ottenere sempre più “combattenti lealisti” per la Napoli di ieri, che speriamo ardentemente tornerà ad essere quella di domani.
Grazie!”.