Il Sessantotto fu una rivoluzione in tutti i sensi. Si inserisce, secondo l’analisi fatta dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira in Rivoluzione e Controrivoluzione, in quella «lunga linea rossa», che parte dalla prima rivoluzione, il protestantesimo, passa alla seconda rivoluzione, quella francese e le varie rivoluzioni nazionali come il Risorgimento italiano, per giungere poi alla terza rivoluzione, il comunismo. Con il Sessantotto inizia la quarta rivoluzione, quella più grave perché ha radici profonde in interiore homine. Come scrive Corrêa de Oliveira: «Il ‘68 fu il risultato di una guerra psicologica totale, che ha in mira tutta la psiche dell’uomo,cioè lo lavora nelle diverse potenze della sua anima e in tutte le articolazioni della sua mentalità».
Il sessantotto “cattolico”
Prima che nella società, vi fu un Sessantotto “cattolico”, in anticipo su quello laico: «Il Concilio Vaticano II fu il nostro Sessantotto, il Sessantotto della Chiesa», sentenziò il “progressista” card. Leo Suanes, infatti vi fu un vero e proprio capovolgimento di secoli di Dottrina, certamente un «cedimento al mondo moderno», come dimostrato dal Prof. Roberto de Mattei nel suo importantissimo saggio Il Concilio Vaticano II – Una storia mai scritta.
Del resto Paolo VI, a proposito del Concilio – prima della famosa allocuzione, in cui denunziava piangendo come fosse entrato il fumo di Satana nella Chiesa da qualche fessura -, si dichiarava soddisfatto di questa rivoluzione, come affermava in un suo discorso del 7 dicembre 1975: «La Religione di Dio che si è fatto fatto Uomo si è incontrata con la religione (perché è tale) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro? Una lotta? Un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto: l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma».
Alla Neoscolastica subentrò la cosiddetta Teologia del Rinnovamento, giunta principalmente dalla Germania e dalla Francia con Karl Rahner, Yves Congar, Marie-Domenique Chenu, Henry de Lubac, Pierre Teilhar de Chardin.
In Francia, nel 1965, fu il famoso scrittore cattolico controrivoluzionario, visconte Michel de Saint-Pierre, con due famosi libri, I Nuovi preti e Collera Santa, pubblicati in Italia nello stesso anno dalle edizioni de Il Borghese, «a denunziare la Rivoluzione che sta travolgendo la Chiesa, dove si sono infiltrati tanti cristiani che collaborano, in buona fede o no, colla sovversione che tende a distruggere ogni libertà spirituale e, in primis, la Fede religiosa».
Quel “libretto rosso” di don Milani
Il Sessantotto appare in Italia con la contestazione nelle scuole e nelle università, col rifiuto di ogni gerarchia («siamo tutti uguali»), col rifiuto dei voti e della disciplina («vietato vietare»), con le promozioni per tutti («Todos caballeros»),con le occupazioni scolastiche, il voto unico garantito agli esami universitari e l’esame di “serie b”…
Non è un caso che uno dei precursori del Sessantotto sia stato un prete, don Lorenzo Milani, che con il suo libro Lettera a una professoressa, che rappresentò per una generazione di “maestrine indottrinate”, di giovani marxisteggianti “professionisti della Rivoluzione” e di preti progressisti, una sorta di “Libretto Rosso”. Nel testo si affermava che «la selezione è un peccato contro Dio e contro gli uomini», «una bestialità – scrive Marcello Veneziani in Rovesciare il Sessantotto – che ha distrutto la scuola mentre i ragazzi si allontanavano da Dio e dagli altri uomini. La selezione non era classista, ma, al contrario, faceva saltare le classi sociali, perché faceva risaltare le capacità personali, il valore del singolo rispetto alla provenienza ed all’appartenenza. La fine delle bocciature – continua Veneziani – ha coinciso con la fine della meritocrazia. Parole e consuetudini sono diventate impronunciabili dopo il 68: pudore, verginità, timor di Dio, lutto, gerarchia, disciplina, educazione, obbedienza, sacrificio, fedeltà, castità, autorità, peccato…Un piccolo universo pratico e lessicale è caduto nella zona del silenzio, dell’irrisione e della deplorazione».
Oltre alla contestazione scolastica, abbiamo la contestazione nelle fabbriche contro il concetto di impresa e la figura dell’imprenditore; la rivolta contro l’ordine pubblico: le forze dell’ordine venivano considerate al servizio della “repressione” e dei “padroni” e, mentre la Polizia veniva accolta al grido di «PS = SS» i Carabinieri del Battaglione Mobile (con il basco nero) venivano salutati con lo slogan «Camerata basco nero, il tuo posto è al cimitero»; la violenza dilagava all’interno delle Università, nelle strade e nelle piazze; c’è un vero e proprio “martirologio” tra le Forze dell’Ordine e tra i militanti delle formazioni politiche di “Destra”.
Dalla “persona” al “soggetto”
Una delle caratteristiche dei sessantottini è il “soggettivismo”: infatti, la soggettività sessantottina riguarda il soggetto – non la persona composta di corpo ed anima e che segue il diritto naturale -, che si rifà a “pulsioni”, “istinti” o “bisogni”, il cui soddisfacimento diviene un diritto (permissivismo).
Nel Sessantotto vanno di moda tra i giovani le nuove icone – siamo nella “civiltà delle immagini” -: “Che” Guevara, Ho Chi Min e Lumumba; le “star” ideologiche sono Rudy Dutsche a Francoforte, Cohn Bendit a Parigi e Mario Capanna in Italia a Milano, alla “Cattolica”. Il filosofo di riferimento dei sessantottini è Herbert Marcuse, autore de L’uomo a una sola dimensione (1964), fanno presa sui giovani i romanzi di Marquez e la Beat Generation, Piaget e la sua psicologia infantile del permissivismo, la citata Lettera a una professoressa di don Milani, che predica l’abolizione del latino e della meritocrazia…e poi Mary Quant e la minigonna, la libertà sessuale, l’abbigliamento cencioso e cialtronesco, la contestazione pilifera dei capelloni contro l’acqua, il sapone e i deodoranti, il rock, la trasgressione, le droghe, i Beatles. Abbiamo perfino le “prove” di un nuovo linguaggio giovanile, in quanto ci si rifiuta di parlare quello degli adulti (il padre quarantenne è il Matusa).
Marcuse aveva teorizzato come emarginati, nullafacenti e studenti rappresentassero le uniche categorie “non ricattabili” e che hanno il tempo di istruirsi e comprendere come funzioni il sistema. Sono dunque categorie potenzialmente eversive , in quanto, per Marcuse, la “democrazia” non è governo di popolo, bensì «un club esclusivo», nel quale regna soltanto il fantasma della libertà.
Contemporaneamente a questa critica della nostra società “consumistica”, si vedeva un simbolo nel Vietnam, dove si era combattuto una guerra vittoriosa contro la potenza coloniale francese e dove si stava combattendo una guerra contro gli Usa. La sconfitta degli Usa nel Vietnam non fu soltanto la sconfitta di una qualsiasi potenza militare, ma la presa di coscienza della sconfitta dell’Occidente, messo in ginocchi dalla resistenza e dalla determinazione di quel popolo contadino.
Dopo la vittoria del 1975 molti furono i delusi, diversa era l’aspettativa. Ma il Vietnam resta l’esempio di una guerra combattuta nella giungla e nelle risaie, però vinta nei campus e nelle università, nei club, nelle redazioni della grande stampa e nella televisione, nelle strade e nelle piazze d’America, dove i giovani sovversivi, spesso drogati, bruciavano le cartoline di leva.
I “sessantottini” di Destra
La critica alla società e al sistema di Marcuse e, soprattutto, l’antiamerikanismo (si scriveva “AMERIKA” con la K) piacquero non solo a “sinistra”, ma anche a una certa “falsa destra” – tra cui i “nazimaoisti” e altri gruppi di confusionari esaltati, molti dei quali, poi, si arruoleranno nel terrorismo nero o nella “nuova destra” pagana e filoislamica -, che a Roma, negli incidenti all’università e nella successiva carica a Valle Giulia da parte della polizia attaccata dai sessantottini, si schiererà a fianco dei contestatori “rossi”…fuori dalla facoltà di lettere apparve uno striscione gigante con un fascio littorio e l’immagine del “Che” Guevara!
Non c’è niente di più sbagliato del pensare che i contestatori si opponessero a certi aspetti della società americana, riprovevoli anche per ogni buon controrivoluzionario: la massificazione della società, il Melting Pot ovvero la società multirazziale, il femminismo più radicale. Aspetti che non sono solo della società d’Oltreoceano, ma che, in massima parte, sono stati trasmessi proprio dalla società americana alla vecchia Europa (vedi il pensiero psicoanalitico). Anche se uno degli slogan più declamato era «YANKEES GO HOME», proprio mentre le truppe dell’Armata Rossa – e allora il Comunismo era un pericolo tremendo – erano pronte ad invadere la nostra Patria.
Per avere un’idea della “sudditanza ideologica” al Sessantottismo di certa “destra”, lo scrittore Giordano Bruno Guerri (che peraltro lavorava al Giornale di Berlusconi) pubblicherà alcuni suoi libri dedicati “A mio padre, che mi liberò dal senso del peccato”.
I sessantottini importarono nel nostro Paese gli aspetti più deleteri della civiltà statunitense: dai ritmi assordanti e a volte satanisti della musica rock e pop al femminismo; dalla critica all’autorità in tutte le sue espressioni alla contestazione della scuola e della famiglia, dall’antimilitarismo al neomarxismo ovvero la rielaborazione del pensiero marxista con elementi della psicoanalisi freudiana e le tematiche libertarie.
Un attacco alla famiglia
La rivoluzione sessuale portò sugli scudi le teorie di Wilhelm Reich contro la famiglia, mentre il guru dell’antipsichiatria Usa David Cooper affermava: «Non ha senso parlare della morte di Dio o della morte dell’uomo, se non siamo in grado di concepire appieno la morte della famiglia, di quel sostegno che, come suo dovere sociale, filtra oscuramente la maggior parte della nostra esperienza e toglie alle nostre azioni ogni genuina e generosa spontaneità».
In Italia passerà il divorzio e intanto ci si prepara all’altra tappa, quella dell’aborto… insomma, sta avvenendo un mutamento genetico, la cui portata si sta delineando spaventosamente oggi, dopo cinquant’anni, col gender, i matrimoni pederastici, l’eutanasia, la libertà di droga, la violenza adolescenziale impressionante….
La pedofilia venne sdoganata proprio in quegli anni. Daniel Cohn Bendit, mentre guidava torme di contestatori per le vie di Parigi, fu rimandato in Germania per atti di teppismo. Qui fu educatore di un asilo e ricorda di essere «stato accusato di essere un pervertito e c’erano lettere al Consiglio Comunale che chiedevano se fossi stato pagato con i fondi pubblici. Meno male che avevo finito il mio contratto altrimenti sarei stato licenziato».
Anche la droga di massa (fenomeno tremendo, che oggi stiamo vivendo) è figlia del Sessantotto. L’ostentata trascuratezza nel vestire, l’esibizione di simboli propri della peggiore criminalità come, per gli uomini, l’orecchino, segno di riconoscimento degli spacciatori, i tatuaggi, l’uso generalizzato (quasi l’imposizione) fra giovani e non più giovani del “tu” , nonostante le differenze d’età, di rango e di estrazione sociale (anzi, forse proprio per il superamento coatto di queste differenze), sono tutte manifestazioni di una rivoluzione in movimento, che da cinquanta anni inquina la vita e la società.
Ci furono due personaggi, sia pur molto diversi tra loro, che “contestarono” a loro volta il Sessantotto: Giovannino Guareschi, che scrisse i suoi ultimi libri amari su don Camillo – Don Camillo e don Chichì e Don Camillo e i giovani d’oggi – e Pier Paolo Pasolini, che, nonostante le sue idee di sinistra e la sua vita disordinata finita in tragedia, scrisse alcune appassionanti pagine contro «l’omologazione della gioventù», mentre, durante i fatti di Valle Giulia, non esitò a schierasi con i “celerini” («figli del popolo») contro i contestatori sessantottini («figli viziati di papà»).
Questo testo di Pucci Cipriani è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it