Tratto da: Corrispondenza Romana
Di Tommaso Scandroglio
Il giornalista e medico Nelson Castro ha dato alle stampe il libro «La salud de los Papas» («La salute dei Papi») che è in uscita in questi giorni. In esso compare anche un’intervista a Papa Francesco, rilasciata dallo stesso nel febbraio del 2019, che il quotidiano argentino La Naciòn ha pubblicato in anteprima il 27 febbraio scorso. Nell’intervista vi sono molte curiosità relative alla salute del Pontefice, curiosità che possono mutarsi altresì in riflessioni su alcune tematiche di grande rilievo. Vogliamo qui però mettere l’accento sulle parole finali del Pontefice che chiudono l’intervista. Castro domanda al Papa: «Come immagina la sua morte?». La risposta: «Come Papa, in carica o emerito». Nel 2014, di ritorno da un viaggio apostolico in Corea, Papa Francesco così si espresse in merito alla vexata quaestio del «papa emerito» scoppiata dopo la rinuncia di Benedetto XVI: «penso che il Papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli, questo è il primo emerito[…]. Io penso: 70 anni fa anche i vescovi emeriti erano un’eccezione, non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono una istituzione. Io penso che “Papa emerito” sia già un’istituzione. Perché? Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca, la salute forse è buona ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI abbia fatto questo gesto che di fatto istituisce i Papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no, vedremo. Lei potrà dirmi: “E se Lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?”. Farei lo stesso, farei lo stesso! Pregherò molto, ma farei lo stesso. Ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale».
Non vogliamo qui tentare di dipanare la matassa intricatissima relativa alla tematica della figura del pontefice emerito, ma solo tentare di individuare quale potrebbe essere l’interpretazione fornita dal Pontefice regnante non tanto della figura del Papa emerito, bensì della natura del Papato stesso. E lo facciamo partendo proprio dalle sue parole riguardo al «Papa emerito». Il Codice di diritto canonico al canone 332 § 2 prevede la rinuncia dell’ufficio petrino da parte del Romano Pontefice ma come eccezione. Per quale motivo lo possiamo affermare? Perché a differenza degli altri vescovi, quello romano non va in pensione. Il suo munus è vitalizio. E la storia lo testimonia bene: i casi di rinuncia sono stati assai rari. Dunque la norma è che se vieni eletto Papa, muori da Papa.
All’opposto, Papa Francesco, lasciando l’ultima parola alla Storia che tutto può mutare, a chiare lettere afferma che il Papa emerito da eccezione deve diventare una istituzione. Insomma si tratterebbe di una scelta equipollente a quella di rimanere «in carica», per usare le parole del Pontefice. Questo ci fa comprendere che, per l’attuale Papa, il pontificato è più simile ad un lavoro che ad una vocazione, più somigliante ad una carica dirigenziale di una multinazionale (il lemma «cattolico» non significa più «universale», bensì «internazionale», acquisendo una sonorità più socialisticheggiante) che ad una istituzione di carattere divino. In breve fare il Papa parrebbe essere una professione e come tale, ad un certo punto e per motivi personali, si potrebbe lasciare e decidere di andare in pensione. Si dismette un ufficio che, così interpretato, non ha più una dimensione trascendente – il termine «pontifex» significa letteralmente «costruttore di ponti» tra il mondo sensibile e quello ultrasensibile, compito affidato nell’antica Roma ad un sacerdote – bensì solo immanente.
Questa visione pragmatica del papato è assolutamente coerente con l’orientamento culturale dell’attuale pontificato così impregnato da spinte storiciste che vogliono innescare processi senza mete (Benedetto XVI secondo Francesco «ha aperto una porta» che nei secoli futuri potrà rimanere aperta o chiudersi) e proprie delle filosofie fenomenologiche. L’orizzonte in cui si colloca la figura del Pontefice è asfittico perché chiuso in una prospettiva solo temporale, solo secolare. La fede ha perso di trascendenza, la morale di metafisica. Se queste sono le premesse culturali, le conclusioni, in merito all’interpretazione della figura del Papa, non possono che essere coerenti con tali premesse: la Chiesa è sostanzialmente una ONG o un’azienda al cui vertice viene nominato un presidente o un amministratore delegato (il Papa non è più vicario, ma delegato di Cristo in Terra), il quale, a causa dell’età e per motivi di salute, può andare in pensione. Il Papato viene ridotto al suo mero esercizio, tra l’altro privo di afflati divini e legato solo alle capacità psico-fisiche di governo, e scompare la figura del «dolce Cristo in Terra».
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