di Federico Catani
Tratto da: ATFP
Avrebbe dovuto cingere la corona di Francia e indossare il manto dei Re Cristianissimi di quella nazione che fu e resta la figlia primogenita della Chiesa. Ma, nato nel periodo più tragico e turbolento della storia del suo Paese, la Provvidenza dispose che, al posto dello scettro regale, le sue mani ricevessero soltanto la palma del martirio e che il suo trono, a imitazione del salvatore del mondo Gesù Cristo, fosse la croce. La sua missione su questa terra fu quella di soffrire, innocente, in espiazione dei peccati del suo popolo.
Questa la sorte di Luigi XVII, figlio degli ultimi sovrani di Francia, Luigi XVI e Maria Antonietta, le cui teste nel 1793 vennero fatte rotolare dalla ghigliottina eretta dai giacobini per spazzare via ogni resto di Ancien Régime. La vita di Luigi XVII, il Delfino, il “Piccolo Re”, fu di soli dieci anni. Nato a Versailles il 27 marzo 1785 e morto a Parigi l’8 giugno 1795, anche di lui si può dire “Consummatus in brevi, explevit tempora multa” (Sap 4,13).
Le sue drammatiche e tristi vicende sono narrate in ottanta pagine da Hilaire de Jésus in “La vera storia e il martirio del piccolo Re di Francia Luigi XVII” (Solfanelli, Chieti 2021). Un testo di cui si raccomanda vivamente la lettura.
“Non vogliamo che costui regni su di noi!”
I giacobini sapevano benissimo che, per abbattere la monarchia e sradicarla dai cuori dei sudditi, era necessario non solo tagliare la testa ai sovrani regnanti, ma anche cancellare e annientare la loro discendenza.
Fu così che decisero di strappare il piccolo Luigi dall’affetto e dalla protezione dei genitori per tenerlo prigioniero del nuovo Stato sorto dalla Rivoluzione. Questo però non era sufficiente. Il piano dei ribelli era luciferino. Non si accontentarono infatti di eliminarlo. No. Dovevano “spegnere in lui ogni incarnazione della regalità”. Andava “rieducato”. Pertanto lo affidarono ad un fanatico rivoluzionario, il ciabattino Simon. La vita del piccolo divenne un inferno. Cercò di resistere e di opporsi, e lo fece eroicamente finché le sue deboli forze di fanciullo glielo consentirono. Poi però dovette soccombere.
Venne trattato come uno schiavo, picchiato e costretto ai lavori più umilianti. Ma il sadismo diabolico di Simon andò oltre. Gli fece indossare il cappello frigio della Rivoluzione, lo portò ad ubriacarsi per fargli perdere ogni dignità e indurlo così a bestemmiare, pronunciare parolacce, cantare canzoni repubblicane e insultare la mamma. Addirittura venne obbligato ad assistere a ripugnanti orge. «Insomma – scrive Pucci Cipriani nella presentazione del libro -, ieri come oggi, i rivoluzionari usano l’indottrinamento prima di recidere una vita, vogliono far appassire il Giglio, ucciderlo nell’animo, nella purezza».
A causa di tutti i citati tormenti, la salute del piccolo ne risultò irrimediabilmente compromessa. Tuttavia il suo Calvario non finì con Simon. Le autorità giacobine disposero allora che fosse letteralmente murato vivo in prigione, vigilato dalle guardie. Passò così, nell’isolamento e nell’abbandono più totale, gli ultimi sei mesi della sua breve vita. Quali devono essere state le sue sofferenze, fisiche e ancor più interiori, lo sa solo Dio, che le accolse come sacrificio a Lui gradito.
Dopo tanto patire, finalmente arrivò la morte liberatrice. Vedendolo tribolare molto, uno dei carcerieri, Gomin, cercò di consolarlo: «Spero che ora voi non soffriate», gli disse. «Oh, sì! – rispose il Delfino – Soffro ancora, ma molto meno: questa musica è così bella!». «Da dove sentite questa musica?», domandò il carceriere. E Luigi: «Da lassù! Come? Non l’avete sentita? Ascoltate! Ascoltatela! Sentite! In mezzo alle altre voci ho riconosciuto quella di mia madre». E al suono di quella musica angelica, il piccolo sovrano rese la sua candida anima a Dio.
Guai a chi scandalizza i piccoli!
La storia di Luigi XVII, “un giglio fra i rovi” (Ct 2,2), non è soltanto qualcosa che riguarda un passato ormai lontano.
Nella già citata presentazione del libro, Cipriani infatti nota che nelle sofferenze del Delfino di Francia è possibile rivedere «le sofferenze e il “calvario” di tutti quei bimbi e di quelle famiglie (molte volte colpevoli di essere “povere”!) la cui vita è stata distrutta dai soliti “rivoluzionari della sinistra” istituzionalizzati. Rivedo mandrie di vigili, assistenti sociali, pitonesse, psicologi, strappare i bimbi, in mezzo alla disperazione, ai genitori naturali, alla famiglia “antiquata”, per dar vita a “nuove famiglie aperte”…». Un chiaro riferimento allo scandalo di Bibbiano, di cui si è parlato troppo poco, proprio perché riguarda il mondo progressista e arcobaleno.
«In quel piccino torturato e roso dal male, rinchiuso, murato vivo nella Torre del Tempio, dopo due anni di torture», Cipriani rivede «le tante vittime dei pedofili “rossi” del lager del Forteto, quando il Tribunale dei Minori di Firenze (Presidente Giampaolo Meucci, amico e sodale di don Milani) mandava “carne fresca”, ovvero i bambini, agli orchi pedofili del Forteto».
E conclude: «Rivedo in quel bambino, in quel puro Giglio di Francia, l’attacco all’infanzia fatto, ieri come oggi, nelle nostre scuole, a quella che don Bosco chiamava la “Sacra infanzia”, con la teoria del Gender… l’odio della Rivoluzione per l’innocenza, per la purezza, per la vita stessa dei fanciulli (pochi ricordano il genocidio perpetrato con il criminale aborto), bollato dal Santo Vangelo: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa una macina girata da asino al collo e fosse gettato in fondo al mare” (Mt 18,6-7)».
I patimenti di Luigi XVII sono un esempio per tutti, specialmente per i giovani. Dinanzi allo smarrimento, alla tentazione dello scoraggiamento di fronte al male che sembra invincibile e alle tristezze della vita, la dignità e la nobiltà d’animo mostrate sino all’ultimo dal “Piccolo Re” inducono alla speranza. Sì, Luigi XVII è un punto di riferimento, una bandiera, un simbolo anche per le battaglie e le vicende del XXI secolo.