Intervista del Prof. Roberto de Mattei
Professore, il summit Vaticano è stato un fallimento?
«Credo di sì. Lo hanno rilevato i maggiori organi di stampa, parlando di un messaggio debole e sottolineando l’insoddisfazione delle vittime. Io però credo che l’insuccesso dipenda da altro».
Da cosa?
«Ci si è concentrati sui sintomi, e non sulle cause del male».
Si spieghi.
«È stato trascurato un punto centrale, già emerso nel memoriale Viganò: quello della diffusione dell’omosessualità nella Chiesa come fenomeno organizzato».
C’è una lobby gay nella Chiesa?
«Sì. Mi sembra evidente».
Evidente?
«La maggior parte degli abusi del clero ha riguardato maschi adolescenti e non bambini. Dunque, se al summit non si è parlato di omosessualità, l’unica spiegazione è che ci fosse una fortissima pressione affinché l’argomento fosse evitato».
Pressione esterna o interna alla Chiesa?
«Sia esterna sia interna. I media vogliono impedire che la Chiesa ribadisca la sua dottrina tradizionale sull’omosessualità. ».
Perché?
«Perché la pedofilia è un crimine riconosciuto da tutti gli Stati laici contemporanei. Ma questi stessi Stati che condannano la pedofilia, promuovono l’omosessualità».
La promuovono?
«Sì. Tant’è che vogliono introdurre il reato di omofobia, il divieto di criticare l’omosessualità».
Quindi la Chiesa ha ceduto alla propaganda Lgbt?
«La Chiesa dovrebbe assumere una posizione profetica di sfida al mondo, condannando non solo quello che il mondo condanna, cioè gli abusi sessuali, ma anche quello che il mondo non condanna, cioè l’omosessualità».
E le pressioni interne?
«Nel clero, oggi, c’è un’atmosfera di omertà e di complicità “gayfriendly”, come si suol dire. Sembra che la parola omosessualità non possa essere nemmeno pronunciata».
Addirittura?
«Monsignor Charles Scicluna ha detto che non è legittimo condannare l’omosessualità, perché questa parola indica una categoria generica e su una “categoria” di persone non si può generalizzare».
E invece si può?
«Ma la “pedofilia non è anch’essa una categoria? Oppure la pedofilia è, in sé, un peccato mentre l’omosessualità non lo è più?
Padre Federico Lombardi ha parlato di «misure concrete» prese al termine del summit. Ha torto?
«Le presunte misure concrete sono dei richiami alle indicazioni Oms. Cioè, l’organismo che promuove la contraccezione, l’aborto, l’educazione sessuale… Sono rimasto sconcertato da come il vertice si sia appiattito sull’agenda di un’organizzazione internazionale da sempre contraria agli insegnamenti del magistero».
Cosa avrebbe dovuto fare il Papa?
«Sa, non c’è nulla di più concreto che richiamarsi alla legge morale della Chiesa. Che non è una regola astratta, ma la legge naturale impressa nel cuore e nella coscienza di ogni uomo. È soprattutto questo che è mancato al vertice in Vaticano: una visione soprannaturale dei problemi di oggi che lasci spazio a parole come grazia, peccato, legge morale, legge naturale».
E invece…
«E invece quelle parole sono assenti dal documento finale. Ecco perché il summit è stato un fallimento. Di cui è un sintomo l’esplosione del caso Pell».
A proposito del cardinale George Pell. Lei che idea si è fatto?
«Io penso che quando ci sono accuse che coinvolgono uomini di Chiesa, siccome la Chiesa ha un suo diritto canonico, i suoi tribunali ed è in grado di svolgere inchieste, non può limitarsi a dire: “Aspettiamo il risultato delle indagini” svolte dai tribunali laici».
Non bisogna affidarsi alla magistratura «secolare»?
«Trovo preoccupante una simile manifestazione di fiducia nei tribunali laici».
Perché?
«In Vaticano sono rimasti sconvolti dalla vicenda Pell, perché sanno che lui è innocente. E sono imbarazzati perché il Papa l’aveva nominato prefetto della Segreteria per l’economia. Ma se si decide di affidarsi ai tribunali laici, bisogna sopportarne le conseguenze…».
Dovrebbe essere la Chiesa a indagare sui preti abusatori?
«.La Chiesa, che ha un suo diritto penale e dei suoi tribunali, deve avere il coraggio di sfidare il giudizio dei tribunali del mondo, nella convinzione che non è il mondo a giudicare la Chiesa, ma la Chiesa a giudicare il mondo. Dovrebbe rivendicare la sua sovranità».
Anche la Chiesa deve diventare sovranista?
«Sì. Io trovo molto grave che la Chiesa abbia rinunciato alla sua sovranità. La Chiesa è una società sovrana, come lo Stato, anche se il suo fine, a differenza da quello dello Stato, è sovrannaturale».
Quindi?
«Se è una società sovrana, la Chiesa ha tutti gli strumenti per raggiungere i propri fini di giustizia. Non è un organismo puramente etico, che si spoglia della sua dimensione giuridica, per lasciare che sia la Stato a decidere tutto. La rinuncia alla sovranità è una deriva pericolosa».
Una deriva pericolosa?
«I tribunali laici possono arrivare anche a papa Francesco…».
Che c’entra il Papa?
«Le spiego. Quando la Chiesa rinuncia alla sua sovranità, diventa una specie di “azienda morale”. E questa aziendalizzazione rischia di rendere tutta la Chiesa, a partire dai vertici, responsabile degli atti dei suoi sottoposti. Cosa che non accade se la si considera come una società sovrana».
Cioè, se si comporta come uno Stato?
«Esatto. Se un cittadino italiano commette un crimine, non è che ne risponda il presidente del Consiglio. Di questo passo, invece, si arriverà a una persecuzione della Chiesa».
Una persecuzione?
«Temo di sì. Rinunciando alla sua sovranità, la Chiesa perde la sua libertà ed è costretta a sottomettersi allo Stato o ad essere perseguitata. Oggi siamo in un regime di sottomissione. Se un tempo lo Stato era il braccio secolare della Chiesa, ora la Chiesa sta diventando il braccio secolare dei poteri forti, politici e mediatici».
In che senso?
«Nel senso che obbedisce alle indicazioni che vengono dagli organismi nazionali e internazionali, che difendono una visione antitetica a quella cristiana».
E la persecuzione che c’entra?
«Se la Chiesa decidesse di sottrarsi a questo meccanismo, ne nascerebbe un contrasto con i poteri politici. Ora Chiesa non osa farlo. Ma se vi sarà costretta, si troverà in grande difficoltà, perché ha rinunciato alla sua prima linea di difesa, cioè all’esercizio della sua libertà e indipendenza giuridica».
Torniamo un attimo a Pell. Qualcuno ha notato che le accuse di abusi sessuali sono arrivate dopo che, da prefetto della Segreteria per l’economia, aveva scoperto un milione di euro depositato in conti segreti…
«È possibile che le due cose siano collegate. D’altro canto, si dice che la fonte delle accuse che lo hanno portato alla sbarra non fosse in Australia, ma in Vaticano…».
Quando ha detto che alla Chiesa manca il richiamo al sovrannaturale, che intendeva?
«La Chiesa sta rinunciando alla sua missione, che ha come fine la salvezza delle anime, per trasformarsi in una società per il benessere materiale delle persone. Si sta snaturando».
Si sta snaturando?
«Sta abdicando alla missione che le è stata affidata dal suo fondatore, Gesù Cristo. Così, diventa un organismo rivoluzionario».
Cioè?
«Quando viene meno il rapporto verticale con Dio, la Chiesa diventa una società politica. È la caratteristica principale di questo Pontificato, che è un Pontificato politico, anziché un Pontificato religioso».
Quello di Francesco è un Pontificato politico?
«Sì. E il suo leitmotiv è l’immigrazione. Il 14 febbraio incontrando una rappresentanza di popolazioni indigene al Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, il Papa ha auspicato un «meticciato culturale» tra i «cosiddetti popoli civilizzati. Il che significa espungere le radici cristiane su cui tanto avevano insistito Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.»
E cos’è per lui il «meticciato»?
«Il meticciato per Francesco non è solo culturale, ma anche etnico. Sembra che il suo progetto sia quello di una sostituzione etnica della popolazione europea, in netto declino demografico, con le nuove ondate di migranti africani ».
Ma perché tutto questo?
«Francesco ha una visione ideologica che nasce dalla sua formazione culturale».
E quale sarebbe?
«Quella di un uomo che ha assorbito la teologia progressista attraverso la mediazione della teologia della liberazione. È l’utopia del “mondo nuovo”. Solo che lui la sta riproponendo 30-40 anni dopo il suo fallimento».
Come definirebbe allora papa Francesco?
«Una deliberata ambiguità è la cifra della sua personalità. Ed è anche la causa dei suoi problemi. Ma a questo punto lasci che sia io a porre una domanda».
Prego.
«Benedetto XVI, che pure era molto avversato in patria, ha fatto tre viaggi in Germania. Giovanni Paolo II ha fatto nove visite in Polonia. Come mai, in sei anni di Pontificato, Francesco è andato ovunque, persino negli Emirati Arabi, ma mai nella sua Argentina?».
Ecco. Perché?
«La domanda è già una risposta…».
Tratto da: Unavox